Dopo i risultati delle elezioni del 26 giugno che hanno riconfermato e anzi rafforzato la leadership della destra e stoppato l’ascesa di Podemos, il premier uscente Mariano Rajoy è alle prese con il difficile rompicapo della formazione di una possibile maggioranza di governo. Rajoy spera che ciò che non gli è riuscito dopo il voto del 20 dicembre gli riesca ora che il PP ha aumentato il suo peso nel parlamento appena eletto. Visto che i sondaggi prevedevano lo sfondamento dell’alleanza tra sinistre e Podemos – che poi non c’è stato – il PP ha goduto di un effetto ‘diga’ che ha penalizzato soprattutto la nuova destra di Ciudadanos, il cui messaggio ‘anticorruzione’ non ha funzionato come sperava il suo leader Albert Rivera. L’opaco risultato di Ciudadanos rende di fatto il partito della nuova destra modernizzatrice e liberista una sorta di “ruota di scorta” di una grande coalizione tra popolari e socialisti alla quale Rajoy sembra puntare esplicitamente. Una opzione, quella del governo a tre PP-Psoe-Ciudadanos che la formazione di Rivera afferma almeno ufficialmente di sostenere.
Da ieri sono iniziate le consultazioni informali in vista della formazione di una possibile maggioranza di governo. Rajoy ha incontrato Fernando Clavijo, il leader della formazione regionalista di centro-destra “Coalicion Canaria”, che però alle Cortes dispone di un solo seggio. Secondo fonti vicine al Pp il premier uscente avrebbe intenzione nei prossimi giorni di offrire ai socialisti la proposta di una riforma costituzionale in cambio di un sostegno attivo alla “Grande coalizione”; offerta che il Psoe per ora ha già rifiutato, per timore dell’elevato costo elettorale insito in un appoggio, anche indiretto, alla destra.
Se l’accordo con i socialisti non dovesse andare in porto – scartata a priori l’ipotesi di un’alleanza “di sinistra” che veda l’ingresso in maggioranza di Unidos Podemos, che necessiterebbe oltretutto dell’improbabile appoggio degli indipendentisti catalani – l’unica alternativa a un via libera a Rajoy è un ritorno al voto per quelle che sarebbero le terze elezioni consecutive nel giro di un anno: un’ipotesi che non sembra attirare né i leader politici né tantomeno gli elettori né soprattutto l’Unione Europea e gli ambienti economici, che premono ora sui socialisti affinché rimuovano il loro ‘no’ ad un governo guidato dal PP.
In campo, certo, c’è anche l’ipotesi di un governo di destra che veda il PP, Ciudadanos e qualche esponente dei partiti regionalisti più moderati, anche se per ora il Pnv basco ha detto che non è disponibile per questa opzione. Si tratterebbe comunque di una maggioranza risicata e instabile. Senza i socialisti difficilmente Madrid potrà vedere la formazione di un governo che riesca a passare indenne i primi mesi.
Lo scenario più verosimile per il Psoe sembra l’organizzazione di una consultazione con la base del partito che tolga le castagne dal fuoco dal segretario Pedro Sanchez, non certo amato dalla maggior parte dei suoi “baroni” locali che al momento però non sembrano in grado di proporre un’alternativa alla guida del partito. In particolare Susana Diaz, la leader dei socialisti nella tradizionale roccaforte andalusa, e fino a pochi giorni fa in pole position per la successione a Sanchez, è stata infatti una delle grandi sconfitte di questa tornata elettorale, dal momento che in Andalusia il Pp ha tolto al Psoe voti e seggi.
Secondo alcune indiscrezioni riportate dalla stampa iberica, Rajoy potrebbe essere incaricato formalmente da re Felipe VI di tentare di formare il nuovo governo il prossimo 23 luglio. Il nuovo Parlamento spagnolo si costituirà il 19 luglio.
Se Rajoy riuscirà a trovare una maggioranza, almeno per l’investitura, il nuovo governo di coalizione, o di minoranza Pp, potrebbe essere formato a fine luglio, inizio agosto.
Se anche dovesse andare in porto l’accordo tra i tre partiti di centro-destra, sia il Psoe sia C’s potrebbero però impuntarsi sul nome del nuovo premier, chiedendo che il capo di un governo di coalizione non sia il solito Mariano Rajoy. E alcuni esponenti politici delle tre formazioni hanno cominciato a citare l’ipotesi di un governo di coalizione “a tempo”, della durata di due o forse tre anni. Il tempo di riportare quella stabilità che i mercati, gli ambienti economici dominanti e le istituzioni europee pretendono per l’implementazione di misure economiche da troppo tempo rimandate.
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