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01/07/2016

“È tempo per l’élite di sollevarsi contro le masse ignoranti”

Si sono proprio messi paura... Non tanto i mercati finanziari, ormai guidati da robusti algoritmi più che dal fiuto degli speculatori, quanto proprio le élite politiche, i think tank del dominio geostrategico. Il voto per la Brexit – nonostante la “strategia del terrore” praticata da tutti i media e nonostante l’assassinio della deputata laburista Jo Cox – ha segnalato che le classi sociali più impoverite da globalizzazione, crisi economica e gestione “austera” della crisi stessa stanno recidendo il legame di subordinazione rispetto alla volontà egemonica delle classi dirigenti.

La reazione popolare è stata fin qui molto diversificata (dalle lotte operaie in Francia fino al voto “antisistema” alle amministrative italiane), “sporca” come tutte le risposte che non si dipanano dietro un progetto politico vero, “rivoluzionario” negli obiettivi sociali più che nella retorica; una reazione spesso brutalmente reazionaria, nazionalista, identitaria e dunque razzista, egemonizzata com’è (in alcuni paesi) da partiti di quel tipo, pienamente sponsorizzati da un sistema dei media che li presentano consapevolmente come “l’unica alternativa” alla “razionalità” che sarebbe rappresentata dai mercati, dall’Unione Europea, dall’inevitabilità di processi storici che trascendono e travolgono miliardi di esseri umani. Non è un caso, insomma, che per illustrare il “malessere francese” i nostri media “democratici” facciano parlare solo Marine Le Pen anziché operai e sindacalisti che staccano la luce a Confindustria o ai parlamentari “socialisti”. Fanno lo stesso con l’Italia, dove parlano solo di Salvini, Meloni, Casapound, e non nominano mai le realtà di lotta antagonista (se non per demonizzarle come “black bloc”, “antagonisti”, ecc).

Si sono comunque messi davvero paura. E si ascoltano ora, fuori dai denti, discorsi seminazisti e aristocratici in forma di “difesa della democrazia”. Il top, in questi giorni lo abbiamo rintracciato in questo articolo apparso sulla prestigiosa rivista Foreign Policy, bimestrale fondato dalla Caregie Foundation e ora di proprietà di un importante quotidiano liberal, come The Washington Post.

Già il titolo è agghiacciante, come potete leggere. Trasuda aristocrazia malata, supponenza, odio. Ma è un sintomo rivelatore, forse fin troppo esplicito, di un mood in incubazione da tempo. La democrazia è un regime politico riesumato dal capitalismo novecentesco quasi esclusivamente in funzione anticomunista (“noi abbiamo le libere elezioni, l’Urss no”), senza peraltro negarsi sanguinosi golpe effettuati da eserciti fascisti che hanno compiuto stragi di dimensioni ancora non quantificate appieno.

Ma ora la democrazia è in aperto conflitto con questo stadio di sviluppo e crisi del modo di produzione.

I poveri sono ignoranti, non sanno perché non devono sapere; devono lavorare e basta, o restare disoccupati, ma in silenzio; non devono chiedere, non devono ribellarsi, non devono pretendere. Dunque non devono votare su questioni che mettono in discussione interessi così vasti e “coperti” che nessuno che ne sia escluso – non soltanto i poveri, dunque – è in grado di conoscere e capire.

Secondo dettaglio rilevante: la portata dello sconvolgimento in corso è superiore a quello registrato – diciamo così – nel “Sessantotto globale”. Allora sono state “normali oscillazioni di un sistema politico relativamente stabile“. Oggi c’è un sistema che non regge più il peso dei fenomeni contraddittori che lo attraversano…

È un fatto nuovo, nella storia dell’Occidente. Difficile sottovalutarlo...

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È tempo per l’élite di sollevarsi contro le masse ignoranti

Il Brexit ha messo a nudo lo scisma politico del nostro tempo. Non si tratta dello scontro tra destra e sinistra; si tratta del sano contro la rabbia senza pensiero.

JAMES TRAUB


Sono nato nel 1954, e finora avrei detto che la fine degli anni ’60 sono stati il più grande periodo di convulsione politica che ho vissuto. Eppure, nonostante tutto quello che la guerra del Vietnam e la lotta per i diritti civili hanno cambiato nella cultura americana e rimodellato i partiti politici, in retrospettiva quelle tempeste selvagge assomigliano alle normali oscillazioni di un sistema politico relativamente stabile. Il momento attuale è diverso. Oggi la rivolta dei cittadini – negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Europa – può capovolgere la politica come niente altro ha fatto durante la mia vita.

Alla fine del 1960, le élite erano in disordine, come sono ora – ma allora fuggivano dalla ribellione dei figli contro il mondo dei loro genitori; ora le elite stanno fuggendo dai genitori. L’estremismo è diventato dominante. Una delle caratteristiche più evidenti del voto Brexit è stato il ripudio totale di banchieri ed economisti e capi di stato occidentali, che hanno messo in guardia gli elettori contro i pericoli di una spaccatura con l’Unione europea. Il primo ministro britannico David Cameron ha pensato che gli elettori avrebbero rispettato il parere quasi universale degli esperti; il che dimostra solo quanto abbia mal giudicato il suo stesso popolo.

Sia il partito conservatore che quello laburista, in Gran Bretagna, sono ormai in crisi. Gli inglesi hanno avutola loro resa dei conti; gli americani stanno per averla. Se Donald Trump perde, e perde male (mi perdoni il mio ottimismo spericolato, ma credo che sarà così) il Partito Repubblicano può dover affrontare una spaccatura storica tra la sua base di ignoranti totali e la sua classe dirigente uscita da K Street o dalla Camera di Commercio. Il governo socialista di Francia può affrontare un fiasco simile nelle elezioni nazionali della prossima primavera: i sondaggi indicano che il presidente François Hollande non riuscirerebbe nemmeno arrivare al ballottaggio. I partiti di destra in tutta Europa chiedono a gran voce di poter votare anche loro per l’uscita (dall’Unione Europea, ndr).

Sì, è possibile che tutti i pezzi politici volino in aria per sistemarsi più o meno dove erano prima, ma il voto Brexit dimostra che anche un cambiamento sconvolgente non è più così tanto scioccante. Dove, allora, potrebbero finire quei pezzi? L’Europa sta già puntando in una direzione. In gran parte dell’Europa i partiti nazionalisti di estrema destra sono in testa nei sondaggi. Finora, nessuno ha raccolto la maggioranza, anche se il mese scorso Norbert Hofer, il leader di estrema destra Partito della Libertà austriaco, che si crogiola nella simbologia nazista, è stato a un soffio dal vincere le elezioni per la presidenza della Repubblica. partiti tradizionali di destra e sinistra possono combinare sempre più le forze per tenere fuori i nazionalisti. Questo è già successo in Svezia, dove un partito di centrodestra funge da socio di minoranza del governo di centrosinistra. Se in Francia i socialisti perdono davvero al primo turno, saranno costretti quasi certamente a sostenere i repubblicani conservatori contro l’estrema destra del Fronte Nazionale.

Forse queste coalizioni informali possono sopravvivere fino alla fine della febbre. Ma l’imperativo della convivenza potrebbe anche portare a veri e propri riallineamenti. Cioè, pezzi di partiti di sinistra e centro destra potrebbero staccarsi in modo da formare un diverso tipo di centro, difendendo pragmatismo, migliorismo, conoscenze tecniche, e una governance efficace contro le forze ideologiche raccolte su entrambi i lati. Non è difficile immaginare il partito repubblicano negli Stati Uniti – e, forse, i conservatori britannici, se il processo della Brexit dovesse andare terribilmente male – possa perdere il controllo della rabbia, dell’orgoglio nazionalista e quindi ricorìtruirsi alla maniera di Main Street, il partito pro-business che erano una generazione fa, prima che il loro zelo ideologico li portasse in un vicolo cieco. Questa otrebbe essere la loro unica alternativa all’irrilevanza.

La questione, in fondo, è la globalizzazione. Brexit, Trump, il Fronte Nazionale, e così via mostrano che le élite politiche hanno giudicato male la profondità della rabbia forze globali e quindi la domanda di ripristinare, in qualche modo, lo status quo ante. Può sembrare strano che la reazione sia arrivata oggi piuttosto che immediatamente dopo la crisi economica del 2008, ma il riflusso della crisi ha portato a un nuovo senso di stagnazione. Con prospettive di crescita piatta in Europa e la crescita del reddito al minimo negli Stati Uniti, gli elettori si ribellano contro le loro prospettive tristi a lungo termine. E globalizzazione significa cultura così come economia: le persone anziane, il cui mondo familiare è scomparso sotto una ridda di lingue straniere e feste multiculturali, stanno agitando i pugni verso le élite cosmopolite. Recentemente sono stato in Polonia, dove un partito di estrema destra che fa appello al nazionalismo e alla tradizione ha conquistato il potere, nonostante anni di prosperità innegabile sotto un regime di centro. I sostenitori usano le stesse parole più e più volte per spiegare loro voto: “I valori e la tradizione”. Hanno votato per la “polonità” contro la modernità dell’Europa occidentale.

Forse la politica stessa potrebbe riallinearsi attorno all’asse della globalizzazione, con gli agita-pugni da una parte e i pragmatici dall’altro. I nazionalisti avrebbero ottenuto la fedeltà della classe operaia bianca e della classe media, che si vedono come i difensori della sovranità. Il centro riformato dovrebbe includere i beneficiari della globalizzazione e i cittadini poveri e i non-bianchi e marginali, che riconoscono che la celebrazione dell’identità nazionale li esclude.

Naturalmente, i partiti tradizionali sia della sinistra e la destra stanno cercando di raggiungere i nazionalisti arrabbiati. A volte questo prende la forma di trucco grossolano, come quando Nicolas Sarkozy, che sta cercando di riconquistare la presidenza francese, denuncia la “tirannia della minoranza” e richiama il “per sempre la Francia” di un passato tutto bianco. Da sinistra, Hillary Clinton ha gettato il suo passato di fautrice del libero scambio per fare appello ai membri del sindacato e altri che vogliono proteggere i confini nazionali contro il mercato globale. Ma a destra e a sinistra non sono poi d’accordo così profondamente sul modo migliore per attutire gli effetti della globalizzazione, né come affrontare il vasto afflusso di rifugiati e migranti; e anche la minaccia di estremismo può non ssere abbastanza forte da portarli a fare causa comune.

Lo scisma che vediamo aprirsi di fronte a noi non riguarda solo le politiche, ma la realtà. Le forze per la Brexit hanno vinto perché alcuni leader cinici erano pronti a soddisfare la paranoia degli elettori, mentendo loro sui pericoli dell’immigrazione e i costi dell’adesione all’Unione europea. Alcuni di questi leader hanno già cominciato ad ammettere che stavano mentendo. Donald Trump ha, ovviamente, stabilito un nuovo standard per la falsità e la capacità di alimentare i timori degli elettori, in materia di immigrazione o di commercio estero, o su qualsiasi altra cosa si possa pensare. Il partito repubblicano, già pieno di negazionisti della scienza e negazionisti delle realtà economiche, si è gettato nelle braccia di un uomo che fabbrica le realtà che la gente ignorante va poi ad abitare.

Ho detto “ignorante”? Si l’ho fatto. E ‘necessario dire che il popolo è stato illuso e il compito della leadership è disilluderli. È questo “elitario”? Forse lo è; forse siamo diventati così inclini a celebrare la veridicità delle convinzione personale che ora sembra elitario credere nella ragione, la competenza, nelle lezioni della storia. Se è così, il partito che accetta la realtà deve essere pronto a contrastare il partito della negazione della realtà, e i suoi dirigenti sono tra coloro che lo sanno meglio. Se questo è il prossimo riallineamento, dovremmo abbracciarlo

da Foreign policy

It’s Time for the Elites to Rise Up Against the Ignorant Masses

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