Francesi e tedeschi hanno le banche italiane nel mirino, a prescindere dal referendum, e cercano di farle pagare ai contribuenti italiani. Oltre a temere un governo 5 stelle
Calato il sipario sul referendum, in attesa dei prossimi spettacoli previsti dalla politica istituzionale, si è diffuso subito un interrogativo. Quello che ha riguardato il mancato Armageddon del mercato finanziario italiano all’indomani della vittoria del No. Al di là della propaganda renziana, che per un pugno di voti avrebbe sparso anche la peste indicando pure i capri espiatori dell’unzione, i fattori di contenimento dei danni di borsa sono noti. Il primo sta nella disponibilità, da parte della Bce e di Bankitalia, di acquistare bond pubblici sul mercato in modo da calmierare i prezzi e una eventuale bolla speculativa. Il secondo sta nell’attesa, di quelle che pare non consigliare azzardi, del dipanarsi della situazione di MPS e, non dimentichiamolo, della ricapitalizzazione di Unicredit (questione meno mediatizzata ma seria). Il terzo sta nel fatto che sarà l’eventuale aumento dei tassi di interesse Usa, come accaduto per il primo aumento di circa un anno fa, a movimentare la situazione. In questo caso italiana perché, stavolta, il rischio di un aumento dei tassi Usa, assieme al riaccendersi eventuale dell’inflazione americana, può contribuire davvero ad allargare il debito pubblico, con i soliti tagli alla spesa sociale in agguato.
Per il momento vediamo una reazione dei mercati alle dichiarazioni di Alfano su possibili elezioni a febbraio.
La linea bianca riguarda i BTP future, le obbligazioni del tesoro a lungo termine, e il deciso ribasso significa che, nonostante il fragore di possibili elezioni politiche, annunciato da Alfano, l’intervento della Bce sui titoli pubblici è considerato in grado di arginare il rischio immediato. Va anche notato che le dichiarazioni di Alfano, come si vede, non finiscono solo nello spazio ilarità di Facebook ma vengono prezzate come una qualsiasi commodity. Premesso che Alfano, secondo alcuni operatori di borsa, ha fatto danni anche sui mercati, probabilmente per il contributo all’effetto calo azionario delle banche (linea arancione): la trasformazione delle dichiarazioni del teatrino della politica in commodity da mercato globale, fenomeno conosciuto da tempo agli operatori del settore, deve essere ancora metabolizzato dalla politica.
Resta però fermo il fatto che con il referendum del 4 dicembre, al di là delle manovre di Renzi e della retorica istituzionale, la situazione italiana, vista dal resto mondo, si è notevolmente ingarbugliata. Nonostante l’intervento di Bce e Bankitalia, un soluzione dei nodi immediatamente più dolenti è lontana. E ci fermiamo all’ABC, senza volare sulle cime dei problemi epocali. Il punto è che in Europa, l’Italia è vista ormai come il grande appestato non tanto delle passate ma delle prossime stagioni politiche. Il problema principale, mettendo tra parentesi la questione del debito pubblico che può riaprirsi nel 2017, è proprio quello non di una singola banca ma del sistema bancario. Sia per i rapporti, a sua volta, sistemici che questo comporta per l’Europa, dalla politica monetaria alla sostenibilità stessa dell’euro, a quelli legati alla cosiddetta economia reale. Non è infatti un caso che, all’indomani del referendum, sia Le Monde che la Handelsblatt, che è il maggiore quotidiano economico-finanziario tedesco, abbiano parlato di Italia fortemente a rischio. Le Monde dice, apertamente, che con la sconfitta di Renzi “si concretizza il peggiore scenario per la stabilità finanziaria europea”. Insomma la crisi sistemica della banche italiane, rappresentata dai media italiani con minor tempo di quello dedicato ai mal di pancia di Gianni Cuperlo, minaccia l’Europa. Marketing della crisi per fare pressione sull’Italia e sulla Bce per una soluzione sistemica alle banche italiane? Sicuramente c’è anche quello, oltre a un po’ di dati reali preoccupanti, anche perché nella crisi la Francia deve metter sotto controllo il debitore italiano. Credit Agricole per il mondo è più pericolosa di Mps ma, mentre la Francia è in grado di mettere sotto pressione le banche italiane, l’Italia non è in grado di fare la voce grossa sulle politiche bancarie di Parigi (vettore di grosse ineguaglianze sovrane e globali ma è altra questione).
Certo viene da sorridere quando Le Monde fa parlare un analista spagnolo che afferma “l’Italia ha bisogno di una riforma bancaria rapida che si trasmetta all’economia reale che, a sua volta, cessi di produrre crediti deteriorati”. Neanche il Bonaparte con pieni poteri imperiali potrebbe farlo, questo lo sanno sia le Monde sia l’analista spagnolo, ma è evidente il clima di pressione che si sta creando. Insomma, le banche italiane sono nel mirino e si rincorrono le voci di una soluzione dell’enigma MPS entro il fine settimana, a mercati chiusi. Ma cosa si vuole dall’Italia? Sempre se seguiamo Le Monde alla Francia, paese che ha banche tra l’altro colme di titoli tossici, non dispiacerebbe un salvataggio pubblico, a spese del contribuente italiano di MPS, unito a un intervento della Bce. Qualcosa di leggermente diverso, e più tosto, c’è invece nell’altro allarme banche italiane, quello che viene dalla Germania. La Handelsblatt, usando i soliti toni da catastrofe sull’Italia (comunque tratti da dati reali), simili nella stampa tedesca di ogni inclinazione, è più netta rispetto a Le Monde sulle soluzioni possibili. Ed ecco che rispunta una vecchia soluzione, già proposta all’Italia circa quattro anni fa: mettere le banche in crisi sotto il commissariamento della Bce e (pure) sotto la supervisione del FMI. Come se, con questo metodo, la Grecia fosse diventata un prato fiorito. Se andiamo a vedere l’intervista che la Handelsblatt dedica a Volker Wieland, economista consigliere del governo tedesco, si capisce bene da quale “linea” dovrà difendersi questo martoriato paese. Wieland non dice cose diverse da quello che Le Monde fa dire all’analista spagnolo, del resto quell’oggetto che la retorica chiama “Europa” è un nesso sistemico bancario franco-tedesco, ma aggiunge un passaggio. Dopo aver detto che la situazione bancaria italiana è particolarmente grave, lontano da ogni diplomazia, con brusca franchezza teutonica, Wieland dice che deve formarsi un nuovo governo e che deve porre le banche sotto l’ombrello del meccanismo di stabilità (quello che in Italia è chiamato SME) della Bce, monitorato dal FMI. Lo SME è una semplice e secca cessione di sovranità dell’Italia sul proprio sistema bancario. Un commissariamento non solo delle banche ma, se ne stia certi, in ultima istanza anche degli insegnanti o del pubblico impiego.
Come si vede, la questione della crisi italiana, dopo il referendum, nell’opinione pubblica finanziaria tedesca, e francese, viene affrontata in modo draconiano. Questo per Wieland è quello che deve avvenire dopo la fine della stagione dei tassi bassi e dell’intervento della Bce, quella che tiene i bond del tesoro sotto controllo. Certo, tanto più la crisi politica a Roma si farà forte, tra l’altro il timore dei pentastellati a Parigi e Berlino è altissimo, tanto più le soluzioni alla Wieland prenderanno fiato. Con economia reale italiana che avrà, ovviamente, un peso secondario rispetto alle esigenze immediate delle banche franco-tedesche. C’è solo, in questo senso, da sperare che chi parla di ripresa nel 2017 trascinata dagli Usa ci prenda in pieno. Altrimenti questa vicenda delle banche italiane è destinata ad essere pesante. Anche perché il Financial Stability Review di novembre della Banca centrale europea parla chiaro.
Le banche, come Deutsche Bank, che hanno una forte esposizione globale, nello scenario peggiore devono trovare un intervento pubblico che eviti, sostanzialmente, nuove Lehman. Intervento che poi pagheranno i cittadini del continente. Le banche italiane, essendo sostanzialmente finanziate in patria, possono invece scaricare, proprio non si riuscisse a fare di meglio, i loro disastri sul nostro paese senza grossi effetti globali (l’unica cosa che interessa a Bce e, ovviamente, Fmi). Se la situazione precipitasse almeno sappiamo una cosa: il “salvataggio” delle banche sarà fatto in nome dell’economia reale. Ma c’è il rischio che tutto questo sia solo un semplice scaricare debiti sulla nostra società e in modo doloroso.
Ma che tipo di banca regge in questa situazione? Facciamo vedere un grafico apparentemente proveniente da Marte. Un qualcosa che, secondo l’esperienza empirica, non esiste in natura. Siamo negli Usa ma si guardi bene la linea verde e quella rossa.
La linea verde riguarda l’aumento del valore azionario delle banche americane. La linea rossa la diminuzione del credito fornito (a imprese, famiglie e singoli) delle stesse banche. Nei mesi scorsi abbiamo visto, in Europa, grafici che dimostravano come quanto più la Bce abbia fornito soldi alle banche quanto meno si sia sviluppato credito. Ecco il tallone d'Achille di tutte le ristrutturazioni: le banche, quanto più godono dell’intervento pubblico (QE) in Europa o in Usa, tanto più gonfiano il loro valore azionario, tirando su le borse, tanto meno prestano soldi all’economia. E’ un caso, per alcuni economisti, classico. Il punto è che sta accadendo entro una molteplicità di crisi, innovazioni e ristrutturazioni.
Insomma, le banche italiane sono nel mirino in una crisi politica molto complessa. Crisi per adesso anestetizzata dagli interventi della Banca centrale europea. Ma le banche, e la stessa economia capitalistica, stanno subendo trasformazioni che non sembrano mantenere quello che promettono: l'iniezione di liquidità alla società per lo sviluppo economico. Anzi, tanto guadagnano in borsa tanto meno prestano soldi all’economia. Insomma vecchi problemi, da anni ’30, in nuova veste. Tutti pronti per i nuovi capitoli della crisi italiana. Con un occhio franco-tedesco evidentemente rivolto a quanto accade a Roma.
Redazione, 6 dicembre 2016
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