Dilagano le analisi sul referendum, in particolare in rapporto alle differenti collocazioni politiche degli elettori, ma a me il dato che pare più evidente è la ripartizione sociale del voto. Più sale il reddito più crescono i SI, più cala più vince il NO. Questo è il solo dato costante in ogni parte del paese. E la vittoria schiacciante del NO dimostra che per una volta la maggioranza più povera o impoverita del paese non si è fatta irretire dal potere e dagli interessi economici che il potere tutela.
Sono decenni che questo potere fa lotta di classe dall'alto, cioè colpisce e riduce i diritti e l'eguaglianza sociale nel nome del mercato e della competitività. E spesso, grazie alla egemonia culturale e al potere mediatico, questo stesso potere riesce a convincere i poveri che sia loro interesse cambiare, cioè favorire i ricchi.
Questa volta in Italia, come in altri paesi negli ultimi tempi, questo gioco non è riuscito e i poveri hanno per un raro momento vinto un round della lotta di classe.
Ciò che la stampa benpensante chiama scandalizzata "populismo" è prima di tutto questo: la rottura politica che matura tra i poveri e tra gli esclusi dall'arricchimento della globalizzazione, che sono sempre più numerosi. Che a differenza del passato questi segnali di rivolta sociale non trovino rispondenza nella sinistra ufficiale, è solo il segnale della modifica genetica di quest'ultima. Che dopo decenni di adeguamento al riformismo liberista è diventata l'espressione dei ceti vincenti nella selezione sociale globale.
Oggi il tipico elettore di centrosinistra è il professionista medio borghese che vive nel centro e nelle colline delle grandi città. Che è progressista nei diritti civili e reazionario su quelli sociali, che ama l'Europa, i mercati, la vita luminosa dei nuovi centri cittadini e che pensa che il suo successo sia esclusivamente dovuto al merito.
Questo nuovo borghese medio sta a metà tra i grandi ricchi che decidono tutto e coloro che aspirano a raggiungere la sua posizione. Tutti costoro assieme costituiscono il blocco sociale che ha dominato questi trenta anni di globalizzazione, schiacciando e frantumando la massa dei poveri e degli impoveriti, dagli operai, ai disoccupati, ai piccoli imprenditori strangolati dalle banche.
Ora però, a causa del perdurare della crisi, questo dominio comincia a incrinarsi e anche il controllo completo che il blocco sociale borghese esercita sui mass media e sulla produzione culturale, anche questo non basta più. I poveri cominciano a ribellarsi, tornano in campo come popolo e, a differenza del passato, non trovano più sulla loro strada quella che è diventata gran parte della sinistra. Che perde così la propria funzione storica e per questo sempre di più anche il proprio peso elettorale.
Così il campo della moderna lotta di classe, della ribellione dei poveri alla sopraffazione sociale, viene occupato da altre forze, a volte esplicitamente di destra, altre semplicemente populiste. Ma è la sinistra che si è ritirata nelle sfilate di moda di via Montenapoleone. Lasciamo questa sinistra al suo destino e proviamo a organizzare e rappresentare la lotta di classe dei poveri così come oggi ricomincia ad esprimersi e a manifestarsi.
Lotta di classe populista che in Italia ha salvato la Costituzione nata dalla Resistenza.
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