Roma. E' stato rinviato al 17 febbraio 2017 lo sfratto della signora Maria, una donna anziana, gravemente malata, residente a Tor Bella Monaca. La signora per aiutare il figlio che aveva una piccola attività commerciale ha acceso un mutuo ipotecando la sua abitazione.
Il figlio della donna malata grave e allettata (non trasportabile!!) per mandare avanti questo piccolo esercizio commerciale ha contratto numerosi debiti che in seguito non ha più potuto onorare e quindi la banca ha venduto all'asta l'immobile.
La questione sfratti ormai non ha più una sola lettura e cioè la morosità incolpevole per chi non riesce più a pagare i canoni di affitto. Oggi centinaia di migliaia di proprietari della sola casa che abitano non riescono più a pagare il mutuo o – i più anziani – sono costretti a venderne la nuda proprietà; fino ad arrivare all'ipoteca del proprio alloggio pur di aiutare un figlio a risolvere il problema della mancanza di un lavoro.
Ieri un picchetto popolare dell'Asia-Usb ha impedito lo sfratto della signora Maria, denunciando però che questi sono gli effetti della mancanza di una politica pubblica della casa a fronte dell'emergenza abitativa e la perdurante indifferenza delle istituzioni di fronte a questi sfratti forzosi di persone anche in gravi condizioni di salute.
In queste settimane, a Roma come a Milano, a Bologna come a Torino, abbiamo dovuto risentire sindaci, giornalisti, consiglieri comunali starnazzare intorno alla legalità nella gestione delle case popolari. Dalle vicende di San Basilio alla Falchera, si parla di problemi omettendone i dettagli decisivi.
La scarsità di alloggi di edilizia popolare a fronte dell'emergenza abitativa (dovuta anche all'aumento degli sfratti senza alternative alloggiative), l'aumento della popolazione che ha bisogno di case ad affitti compatibili (dovuta anche alla crescita di nuclei familiari di immigrati spesso – e legittimamente – in cima alle graduatorie per le assegnazioni ), il completo abbandono dei quartieri ad edilizia popolare, hanno innescato un cortocircuito micidiale che alimentano disagio e rabbia sociale e, contestualmente, guerre tra poveri spesso attentamente amplificate.
Un cortocircuito che produce mostri. Quello messo in evidenza – spesso strumentalmente – è il razzismo. Quello determinante è il combinato disposto tra occupazioni abusive di alloggi popolari (in alcuni casi gestiti da piccoli clan malavitosi di quartiere) e “tecnofascismo” dei funzionari addetti alle assegnazioni (come nel caso di Roma), con task force di vigili-rambo e dirigenti che approfittano della assenza di un indirizzo politico sulla questione abitativa da parte delle amministrazioni, per agire in proprio, buttando famiglie “abusive” in mezzo alla strada, blindando gli appartamenti che continuano a rimanere vuoti e inutilizzati per anni e alimentando aspettative disattese, disperazione, soluzioni individuali e conflitti tra poveri.
Le organizzazioni sociali attive nelle periferie intendono prendere di petto la questione riaffermando tre scelte prioritarie: nessuno sfratto senza alternative alloggiative vere; sanatoria delle occupazioni abusive delle case popolari/comunali; requisizione dell'immenso patrimonio immobiliare sfitto per convertirlo in edilizia sociale. Sono solo tre aspetti dell'emergenza abitativa ai quali oggi si possono dare risposte e soluzioni subito. Un progetto generale sulla questione abitativa implica invece un rovesciamento radicale delle priorità sociali. Il fatto che l'Italia destini risorse irrisorie per l'edilizia sociale è lo specchio di quella deresponsabilizzazione del soggetto pubblico dal problema e della sua appropriazione privata che ha prodotto fin troppi danni.
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