Cara Eretica,
sto leggendo i post sullo stupro di gruppo a Parma e altre storie di donne che raccontano mettendo in rilievo la rabbia sopita per tanto tempo, come se non ne avessero diritto e non vi fosse alcuna ragione per nutrirla o spingerla in direzione di chi le ha ferite. Vorrei contribuire con una riflessione a posteriori, su un fatto che ha riguardato me e che avrei preferito non ricordare.
Qualche anno fa io ero quella con le calze strappate e gli abiti scollati che frequentava lo spazio occupato, partecipavo alle feste e mi ubriacavo o assumevo sostanze che mi rincoglionivano per tutta la serata. Ci sono state situazioni in cui qualcuno mi ha messo le mani addosso approfittando del mio stato. Amici che mi riaccompagnavano a casa, compagni che mi sorreggevano per portarmi in macchina o quelli che venivano a farmi “compagnia”, anche loro ubriachi, nel letto in cui avevo trovato posto per smaltire.
Non mi sono mai sentita una cattiva persona per quello che facevo e non rimpiango di aver vissuto così un po’ di anni della mia vita. Mi sentivo circondata da persone simili a me ed ero parte di un gruppo che in un modo o nell’altro faceva cordone in situazioni di conflitto. Ero parte di qualcosa fino a quando il ragazzo di una dello spazio non mi accompagnò per tutta la serata e poi con la scusa di aiutarmi ad andare in bagno a vomitare mi stese per terra e senza che io avessi la forza di muovermi mi stuprò.
La porta del bagno non era chiusa a chiave e quando un ragazzo la aprì trovò me per terra, semisvenuta, con i pantaloni e le mutandine abbassate e lui che si stava sistemando per uscire. Li sentii ridere e commentare il mio stato e l’altro disse che se non mi alzavo era perché ne volevo ancora. Si abbassò e la sua mano mi sfiorò sul viso, mentre la porta si richiudeva e io ebbi una reazione adrenalinica per paura di essere rimasta sola con un altro stupratore. Mi tirai su come una bambola a molla.
Avevo la faccia sfatta, il trucco spalmato sulla faccia e a malapena riuscii a sistemare i pantaloni e le mutande e poi cercai di raggiungere l’esterno per trovare qualcuno che mi desse un passaggio fino a casa. La voce si era già diffusa e mi vidi arrivare una spinta dalla fidanzata del mio stupratore. Non ebbi la forza di fare niente e ma ricordo con chiarezza che risuonarono nella stanza le parole “troia” e “vattene”.
La vergogna mi impedì di tornare in quel posto per qualche settimana e quando tornai trovai la stessa situazione e la ragazza che faceva la padrona del gruppo e che sfidava il fidanzato a farmi capire che non c’era posto per me. Lui eseguiva perché pagava lo scotto del “tradimento”, immagino, e doveva dimostrare che ero stata io a buttarmi tra le sue braccia e a provocarlo.
Ho trascorso mesi a ricevere insulti su internet e quello che mi è dispiaciuto di più è stato l’isolamento sociale. Eppure, pensavo, non ho fatto niente per farmi odiare. Non l’ho denunciato, non l’ho neppure sputtanato e mi sono tenuta per me l’umiliazione e la vergogna che continuavo a provare. Che idiota che ero. Imbecille, ridicola e codarda.
Sono sparita da quel contesto o, per meglio dire, la prima donna del gruppo, l’altra, è riuscita a farmi il vuoto attorno, lei e gli altri, e a impedirmi di restare nei luoghi che frequentavo. Ho dovuto ricrearmi un’altra vita, mentre quelli mi perseguitavano e mi insultavano dicendo ad altre persone che non dovevano fidarsi di me perché ero solo una troia che si scopava i ragazzi di altre e che poi li accusava di stupro.
Ho pagato con la solitudine quello che vissuto e anch’io sono passata attraverso il mio periodo di depressione, farmaci, psichiatra, tutte cose che avrei potuto evitare, forse, se avessi avuto una rete sociale migliore. La solitudine ti ammazza. L’isolamento è istigazione al suicidio, bisogna ricordarselo.
Ora sto bene, è passata, non mi interessa di quello che dicono, ho cambiato vita, mi sono messa a studiare, mi divertiva andare in altri posti e oggi sono una persona serena. O almeno lo ero fino a che non ho letto dello stupro a Parma. Mi ha smosso tutto e mi sento male come se fosse successo a me. Quanti altri episodi come il mio o il suo esistono e nessuno ne sa niente? Quante sono le compagne chiamate bugiarde, pazze, infami?
Che il numero sia alto o basso ora ci sono anch’io che abbraccio la compagna di Parma e altre che hanno vissuto episodi analoghi. Grazie per lo spazio.
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Lungi da me voler proporre/imporre giudizi di qualsiasi “moralità”, per altro su ambienti che conosco soltanto esteriormente, ma leggendo queste testimonianze non riesco a capacitarmi di quale “movimento” possano produrre questi spazi sociali di aggregazione oltre una versione esteticamente alternativa del canonico “sballo” di sistema – quello da discoteca con tutte le proprie declinazioni: dal nazional popolare alla “nella notte” di memoria 883, alle cronache degli sballi VIP-borghesi alla Lapo Elkann –.
Nel mio piccolo, sono condotto a supporre che anche per questo, a livello di “sistema”, i movimenti, da un trentennio abbiano imboccato la via dell’assoluta marginalità all’interno dei contesti sociali.
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