Mentre arrivano ancora i dati definitivi del voto referendario, è già possibile abbozzare una prima analisi sommaria in termini di aree geografiche e di percentuali. La vittoria del NO è stata schiacciante, per non dire imbarazzante, nel Sud e nelle Isole, con punte che, in alcune aree, superano il settanta per cento.
Il Sì ha vinto, non a caso, a Milano, a Firenze per ovvie ragioni, in Trentino – Alto Adige e in Emilia Romagna. Anche un occhio distratto non può fare a meno di notare che il NO ha sbancato, con percentuali bulgare, laddove la crisi ha colpito più duro, laddove il lavoro manca e si è costretti a migrare, laddove il Nord dell’Africa e il Sud del Mediterraneo ormai si toccano e si abbracciano nella disperazione e nella mancanza di prospettive.
La controprova del fatto che si tratta di un voto legato agli interessi materiali, possiamo averla analizzando le aree geografiche nelle quali ha vinto il Sì: la Milano gentrificata dell’Expo e della borghesia che ha votato Sala; il Trentino – Alto Adige che da decenni è in vetta alle classifiche italiane per qualità della vita e ricchezza pro capite. La ricchezza prodotta da città come Bolzano, nelle rilevazioni degli ultimi anni, ha doppiato abbondantemente quella dei maggiori centri del Sud. Anche molti capoluoghi del Nord Ovest e alcune città del Nord Est emiliano hanno percentuali non molto dissimili da quelle altoatesine.
La faglia sociale che va ormai separando l’Europa del Sud, politicamente ed economicamente sempre più ai margini, da quella del Nord si dirama anche lungo lo Stivale e mostra chiaramente che termini quali “euroscetticismo” o “nazionalismo” sono desueti e non più in linea con la situazione sociale del nostro Paese, fino a pochi anni fa uno dei più europeisti del Continente.
La protesta sociale si afferma e si manifesta nelle poche forme rese ancora possibili dalla UE ordoliberista e imbocca vie sino ad oggi inedite: disaffezione; astensionismo; rabbia cibernetica; protesste di piazza; voto contro l’establishment.
Il fiume ormai è uscito dagli argini e anche le classi popolari italiane, come quelle elleniche e britanniche, hanno capito, sebbene in modo ancora aurorale e confuso, che la UE e la finanza internazionale, con tutte le loro controriforme, lungi dal curare il malessere sociale ne sono la causa e lo acuiscono.
Ora, vinta una battaglia epocale, arriva la sfida più difficile: è necessario che tutti i soggetti sfruttati dal sistema, dai giovani disoccupati e sottoccupati, a quelli che lavorano e sono poveri, per arrivare fino alle classi medie impoverite, capiscano che dalla UE e dalla sua gabbia si deve uscire e che se ne esce solo attraverso la sovranità popolare e la lotta di classe dal basso, in una parola costruendo l’unica alternativa politica possibile, una società fondata sull’uguaglianza e l'equità sociale. L'Europa mediterranea, da zavorra del meccanismo liberista, deve diventare locomotiva che traina il convoglio in direzione opposta, verso il socialismo.
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