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05/12/2016

Referendum: si aspettava una tempesta, ma è uno tsunami. Ora presentare il conto al Pd

C’è poco da interpretare: il risultato parla da solo. Quasi il 60% degli italiani hanno respinto l’orribile proposta di riforma costituzionale e, insieme, hanno bocciato il governo Renzi rottamandolo. La cosa più rilevante è l’alta (altissima, dati i tempi) soglia di partecipazione al voto che ha segnato il ritorno di molti elettori alle urne dall’area dell’astensione. Come dire “Io non voto, ma se si tratta di mandare a casa quel cialtrone, ci sono”.

In questo confluiscono molte ragioni: in primo luogo il montare della rivolta elettorale del ceto medio dopo 8 anni di crisi, che ha portato alla vittoria di Brexit e di Trump, il crollo del bluff di Renzi dopo il successo iniziale (che aveva ubriacato il suo protagonista), anche l’attaccamento di una parte degli italiani ad una costituzione non inventata ma prodotta da grandi processi storici e che ha retto questo paese per quasi 70 anni.

Un grazie speciale lo dobbiamo all’elettorato giovanile (quello da 18 a 34 anni) che è quello che ha trainato il risultato con quasi un 70% di No. Da diversi anni ho la sensazione che questa generazione sia molto promettente e valga la pena di spendercisi per farla maturare. E’ l’unica in cui possiamo sperare. Vice versa le generazioni dei sessanta-ottantenni sono state quelle che hanno fatto un ultimo regalo con un 51% del si (a quanto pare): decisamente passano alla storia come le peggiori del secolo, le più spregevoli.

A pagare il conto del voto è in primo luogo Renzi personalmente, che aveva molto sottovalutato questo appuntamento. Ora credo che debba prepararsi a lasciare non solo Palazzo Chigi, ma anche la segreteria del partito: il risultato è troppo impietoso ed in molti lo azzanneranno già martedì. Il giullare fiorentino si è inventato un’urgenza che non esisteva (questa riforma che aspetta da 40 anni: quando mai? E se aspettava da 40 anni, come mai non era prevista nemmeno nel programma elettorale del Pd nel 2013?) ed ha imposto al paese una spaccatura violenta e non necessaria. In un paese che è ai massimi storici di disoccupazione, con le aziende che chiudono, con i giovani che emigrano per mancanza di futuro, era questa la questione più urgente, tanto da paralizzare il dibattito politico per un anno?

Ovviamente il boomerang arriva addosso a lui ed al suo partito: il Pd lascia sul campo un terzo dei suoi elettori ed è isolato come non mai. Unica prospettiva l’alleanza con Fi in un guado che boccia politicamente questa alleanza: auguri.

Naturalmente ora arriverà il contraccolpo elettorale che porterà il Pd al di sotto del 30%. Ed è giusto che sia così: non ci interessa la testa del solo Renzi (che ormai vale molto poco) ma quella di un partito che, da almeno 5 anni sta accumulando disastri su disastri, con Monti, con Letta, da ultimo Renzi.

Si apre la stagione del declino di questo partito e forse della sua dissoluzione, ed è un bene che sia così.

Al Pd restano alcune  lezioni:
 
a) non si gioca con la Costituzione;
 
b) un successo elettorale momentaneo non può essere scambiato per una assicurazione di consenso a vita;
 
c) il fondamentalismo dà sempre pessimi risultati;
 
d) non ogni mediazione politica è un inciucio. Soprattutto se si tratta di fare le regole del gioco.

Il risultato va molto oltre la questione in se, come sempre accade quando scattano certi numeri. Lo tsunami sta travolgendo il sistema politico e pensare di riscaldare qualche vecchia minestra (un nuovo nazareno o qualche stampella della sinistra come la abortenda lista Pisapia ecc.) non serve a niente, sono tutte formule esaurite mentre sta venendo giù tutto.

Ragione di più perché il M5s pensi molto approfonditamente al da farsi ed eviti di fare sciocchezze: gestire il successo è molto più difficile che gestire le sconfitte. Ricordiamolo sempre.

In particolare parlo della questione del “voto subito”, anche con l’Italicum, che è una aspettativa del tutto irrealistica. Mi spiego: come si ricorderà, la Corte rinviò l’udienza del 3 ottobre “per non influenzare il referendum”. Ora che il referendum è passato il giudizio non può farsi attendere: al più tardi entro gennaio la Corte si pronuncerà (sarebbe scandaloso il contrario), impossibile un ricorso alle urne prima di quella scadenza. E questo anche per una ragione di principio che capisce anche un bambino: l’Italicum non è solo una legge elettorale che abbiamo criticato, è una legge che lo stesso M5s ha definito, a ragione, incostituzionale, per cui che facciamo? Votiamo con l’Italicum, poi la Corte lo dichiara incostituzionale e siamo daccapo con un Parlamento eletto con una legge incostituzionale. Vi sembra serio?

Non è che l’Italicum era incostituzionale, per il M5s, quando si pensava facesse vincere il Pd e cessa di esserlo quando si spera che faccia vincere il M5s. Posso capire che ci si sia affezionati all’idea, ma la cosa non funziona, anche perché al Senato il M5s non prenderebbe la maggioranza e non potrebbe fare il governo a meno di accordi di coalizione, ma allora diciamolo da adesso. Quindi niente elezioni prima del verdetto della Corte che difficilmente boccerà in toto l’Italicum e difficilmente lo ammetterà in toto, realisticamente andremo ad una sentenza manipolativa tale da produrre una sorta di Consultellum bis che risentirà dell’esito del referendum. Peraltro occorre poi vedere se non sia necessario rifare o ritoccare i collegi (una cosa che richiederebbe uno o due mesi di tempo).

Insomma, bene che vada, prima di maggio non se ne parla di votare e non certo con questa legge elettorale. I partiti ne farebbero una peggiore?

Possibilissimo, ma al M5s non resta che mantenere la sua posizione proporzionalista. Pensiamoci su a mente fredda e non facciamoci prendere da fregole governiste.

Il sistema politico entra naturalmente in una fase di ristrutturazione interna che lo cambierà profondamente anche con la nascita di nuovi soggetti politici come accadde nel 1992-93 e con questa realtà occorrerà misurarsi.

Vediamoci domani per un commento più meditato.

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