C’è poco da interpretare: il
risultato parla da solo. Quasi il 60% degli italiani hanno respinto
l’orribile proposta di riforma costituzionale e, insieme, hanno bocciato
il governo Renzi rottamandolo. La cosa più rilevante è l’alta (altissima, dati i tempi) soglia di partecipazione al voto che ha segnato il ritorno di molti elettori alle urne dall’area dell’astensione. Come dire “Io non voto, ma se si tratta di mandare a casa quel cialtrone, ci sono”.
In questo confluiscono molte ragioni:
in primo luogo il montare della rivolta elettorale del ceto medio dopo 8
anni di crisi, che ha portato alla vittoria di Brexit e di Trump, il
crollo del bluff di Renzi dopo il successo iniziale (che aveva ubriacato
il suo protagonista), anche l’attaccamento di una parte degli italiani
ad una costituzione non inventata ma prodotta da grandi processi storici
e che ha retto questo paese per quasi 70 anni.
Un grazie speciale lo dobbiamo all’elettorato giovanile
(quello da 18 a 34 anni) che è quello che ha trainato il risultato con
quasi un 70% di No. Da diversi anni ho la sensazione che questa
generazione sia molto promettente e valga la pena di spendercisi per
farla maturare. E’ l’unica in cui possiamo sperare. Vice versa le
generazioni dei sessanta-ottantenni sono state quelle che hanno fatto un
ultimo regalo con un 51% del si (a quanto pare): decisamente passano
alla storia come le peggiori del secolo, le più spregevoli.
A pagare il conto del voto è in primo
luogo Renzi personalmente, che aveva molto sottovalutato questo
appuntamento. Ora credo che debba prepararsi a lasciare non solo Palazzo
Chigi, ma anche la segreteria del partito: il risultato è troppo
impietoso ed in molti lo azzanneranno già martedì. Il giullare
fiorentino si è inventato un’urgenza che non esisteva (questa riforma
che aspetta da 40 anni: quando mai? E se aspettava da 40 anni, come mai
non era prevista nemmeno nel programma elettorale del Pd nel 2013?) ed
ha imposto al paese una spaccatura violenta e non necessaria. In un
paese che è ai massimi storici di disoccupazione, con le aziende che
chiudono, con i giovani che emigrano per mancanza di futuro, era questa
la questione più urgente, tanto da paralizzare il dibattito politico per
un anno?
Ovviamente il boomerang arriva addosso a
lui ed al suo partito: il Pd lascia sul campo un terzo dei suoi
elettori ed è isolato come non mai. Unica prospettiva l’alleanza con Fi
in un guado che boccia politicamente questa alleanza: auguri.
Naturalmente ora arriverà il
contraccolpo elettorale che porterà il Pd al di sotto del 30%. Ed è
giusto che sia così: non ci interessa la testa del solo Renzi (che ormai
vale molto poco) ma quella di un partito che, da almeno 5 anni sta
accumulando disastri su disastri, con Monti, con Letta, da ultimo Renzi.
Si apre la stagione del declino di questo partito e forse della sua dissoluzione, ed è un bene che sia così.
Al Pd restano alcune lezioni:
a) non si gioca con la Costituzione;
b) un successo elettorale momentaneo non può essere scambiato per una assicurazione di consenso a vita;
c) il fondamentalismo dà sempre pessimi risultati;
d) non ogni mediazione politica è un inciucio. Soprattutto se si tratta di fare le regole del gioco.
Il risultato va molto oltre la questione in se, come sempre accade quando scattano certi numeri.
Lo tsunami sta travolgendo il sistema politico e pensare di riscaldare
qualche vecchia minestra (un nuovo nazareno o qualche stampella della
sinistra come la abortenda lista Pisapia ecc.) non serve a niente, sono
tutte formule esaurite mentre sta venendo giù tutto.
Ragione di più perché il M5s pensi molto
approfonditamente al da farsi ed eviti di fare sciocchezze: gestire il
successo è molto più difficile che gestire le sconfitte. Ricordiamolo
sempre.
In particolare parlo della questione del
“voto subito”, anche con l’Italicum, che è una aspettativa del tutto
irrealistica. Mi spiego: come si ricorderà, la Corte rinviò l’udienza
del 3 ottobre “per non influenzare il referendum”. Ora che il referendum
è passato il giudizio non può farsi attendere: al più tardi entro
gennaio la Corte si pronuncerà (sarebbe scandaloso il contrario),
impossibile un ricorso alle urne prima di quella scadenza. E questo
anche per una ragione di principio che capisce anche un bambino:
l’Italicum non è solo una legge elettorale che abbiamo criticato, è una
legge che lo stesso M5s ha definito, a ragione, incostituzionale, per
cui che facciamo? Votiamo con l’Italicum, poi la Corte lo dichiara
incostituzionale e siamo daccapo con un Parlamento eletto con una legge
incostituzionale. Vi sembra serio?
Non è che l’Italicum era
incostituzionale, per il M5s, quando si pensava facesse vincere il Pd e
cessa di esserlo quando si spera che faccia vincere il M5s. Posso capire
che ci si sia affezionati all’idea, ma la cosa non funziona, anche
perché al Senato il M5s non prenderebbe la maggioranza e non potrebbe
fare il governo a meno di accordi di coalizione, ma allora diciamolo da
adesso. Quindi niente elezioni prima del verdetto della Corte che
difficilmente boccerà in toto l’Italicum e difficilmente lo ammetterà in
toto, realisticamente andremo ad una sentenza manipolativa tale da
produrre una sorta di Consultellum bis che risentirà dell’esito del
referendum. Peraltro occorre poi vedere se non sia necessario rifare o
ritoccare i collegi (una cosa che richiederebbe uno o due mesi di
tempo).
Insomma, bene che vada, prima di maggio
non se ne parla di votare e non certo con questa legge elettorale. I
partiti ne farebbero una peggiore?
Possibilissimo, ma al M5s non
resta che mantenere la sua posizione proporzionalista. Pensiamoci su a
mente fredda e non facciamoci prendere da fregole governiste.
Il sistema politico entra naturalmente
in una fase di ristrutturazione interna che lo cambierà profondamente
anche con la nascita di nuovi soggetti politici come accadde nel 1992-93
e con questa realtà occorrerà misurarsi.
Vediamoci domani per un commento più meditato.
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