No al cessate il fuoco di sette giorni: la battaglia di Aleppo si
sposta a New York dove ieri la risoluzione proposta al Consiglio di
Sicurezza è stata bocciata da Russia e Cina che hanno posto il veto.
Così, in fretta, si chiude il solo tentativo debole e arruffato delle
Nazioni Unite di intervenire politicamente nel conflitto in corso nella
capitale del nord siriana.
Il silenzio assordante dell’Onu fa il paio con quello di
Stati Uniti e Europa che, a parte qualche richiamo spicciolo al rispetto
dei diritti umani, hanno completamente messo all’angolo la Siria e la
sua guerra civile. Tutto in mano alla Russia che fa il bello e il
cattivo tempo e che sta portando Damasco alla vittoria.
L’amministrazione Obama, in chiusura di mandato, non pare intenzionata a
spendersi oltre lasciando la patata bollente al successore, dichiarato
putiniano. L’Unione Europea sul pezzo non c’è mai stata, limitandosi a
ignorare il dramma dei rifugiati pagando fior di miliardi alla Turchia.
Ieri il veto all’Onu non è nulla di nuovo o inaspettato. La
Russia sa di essere ad un passo dalla vittoria e pone le sue condizioni:
no ad un cessate il fuoco ora ma solo quando le opposizioni
accetteranno la resa. Lo ha spiegato il ministro degli Esteri
russo Lavrov al segretario di Stato Usa Kerry a cui ha presentato il suo
piano: accordo con i “ribelli”, individuazione delle vie di transito e
dei tempi dell’evacuazione e solo dopo la tregua.
Dopotutto né Mosca né Damasco hanno fretta: in poche
settimane hanno ripreso quasi il 70% di Aleppo est, accerchiando su ogni
lato le opposizioni armate e tagliando le vie di rifornimento.
Un cessate il fuoco adesso permetterebbe ai “ribelli” di riorganizzarsi
nel momento in cui stanno perdendo tutto: terreno, armi e anche scudi,
con la fuga di oltre 31mila civili che con l’avanzata del governo sono
riusciti ad uscire dall’assedio interno ed esterno che li ha soffocati
per quattro anni. Colpiti dal cielo dall’aviazione governativa,
intrappolati a terra dai gruppi armati.
Le opposizioni provano a tenere insieme i pezzi, unendosi in una
nuova coalizione, l’Esercito di Aleppo. Ma sono consapevoli della
prossima sconfitta. Per questo hanno accettato di dialogare con
la Russia, tramite la mediazione dell’alleato della prima ora, la
Turchia, ma quel negoziato non sta portando da nessuna parte: ieri i
“ribelli” hanno detto di no alla resa e all’evacuazione, nonostante il
governo si sia nel frattempo ripreso altri quartieri portandosi a 800
metri dalla cittadella.
L’idea russa è un accordo sulla falsa riga di quelli di Daraya a
Damasco o al-Waer a Homs: il governo garantisce l’uscita in sicurezza
dei miliziani e le famiglie, la messa a disposizione di autobus diretti a
Idlib, distretto quasi del tutto in mano all’ex al-Nusra, e la ripresa
del sobborgo da parte delle truppe governative. Ad oggi tutti i
“ribelli” arresi sono finiti tutti a Idlib, per una ragione precisa: da
tempo Assad, non potendo sradicare del tutto la presenza dei gruppi
armati, ha individuato nella creazione di enclavi la soluzione al
momento migliore. Infilare i miliziani in zone precise,
definite, circondate da territori in mano governativa, così da impedire
loro di muoversi e portandoli così a morte naturale.
Resta da vedere quando resisteranno ad Aleppo est. La situazione dei civili è ogni giorno più drammatica: fonti
locali parlano di 310 civili uccisi dall’inizio delle operazioni
governative, a novembre, ad Aleppo est e quasi 100 ad Aleppo ovest,
uccisi dai missili e gli attacchi dei miliziani. Acqua potabile e cibo
sono introvabili, di ospedali non ne esistono praticamente più.
Ieri è stata Mosca ad accusare i “ribelli” di aver colpito una clinica:
razzi hanno colpito un ospedale da campo russo appena arrivato a ovest,
uccidendo due infermieri e ferendo due medici.
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