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03/12/2016

Yemen - Gli Houti formano un governo di "salvezza nazionale"

I ribelli houthi e i loro alleati rappresentati dal partito del “Congresso del popolo” dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh hanno dichiarato ieri sera di aver formato un governo di «salvezza nazionale» nella capitale Sana’a.
 
Ad annunciare la formazione del nuovo esecutivo è stato il Consiglio politico supremo, l’organismo con cui i ribelli già amministrano le aree del Paese sotto il loro controllo. «La riunione [del Consiglio] ha sottolineato come il governo, formato nelle difficili condizioni in cui versa lo stato, si propone come obiettivo quello di mettere ordine internamente e di contrapporsi all’aggressione [della coalizione]» si legge in una nota ufficiale riportata dall’agenzia di stampa Saba vicina agli houthi.

Immediato è stato il commento dei loro rivali di Aden. «Questa mossa segna il disprezzo [degli houthi] non solo per il popolo yemenita, ma anche per la comunità internazionale» ha detto Rajeh Badi, portavoce del governo del presidente Hadi. «Da più di un anno e mezzo dal colpo di stato degli houthi, nessuno ha mai riconosciuto le entità [politiche] che hanno formato» ha poi aggiunto.

L’annuncio di un secondo governo in Yemen – l’altro è quello nella città meridionale di Aden, riconosciuto dalla comunità internazionale e sostenuto militarmente dalla coalizione sunnita a guida saudita – aggrava le tensioni esistenti nel Paese allontanando le possibilità di giungere ad un accordo di pace. Un processo di pacificazione che gli houthi continuano a non escludere nonostante il comunicato di ieri del Consiglio supremo. I ribelli, infatti, sostengono di aver accettato in più occasioni il piano di pace dell’inviato Onu Shaykh Ahmed (governo di unità nazionale, loro ritiro dalle aree occupate e consegna delle armi) a condizione che il presidente in esilio Hadi, figura considerata da loro troppo vicina ai sauditi, si faccia da parte.

Tuttavia, l’atto politico compiuto ieri sembra andare in direzione del tutto contraria al proseguimento del dialogo per una soluzione pacifica e contraddice le speranze delle Nazioni Unite che auspicano da tempo un governo di unità nazionale che includa sia i ribelli sia il campo che orbita attorno ad Hadi.

E se l’annuncio di ieri non lascia ben sperare per il futuro di un Paese già sull’orlo del baratro (oltre 10.000 morti, più di 3 milioni di rifugiati interni e la gran maggioranza della popolazione malnutrita), non stemperano sicuramente gli animi i ripetuti massacri ad opera della coalizione. Soltanto nella giornata di sabato, per esempio, un raid aereo del blocco sunnita ha ucciso almeno 13 civili vicino al porto della città occidentale di Hodeida. Secondo fonti mediche dell’ospedale ath-Thawra, nell’attacco sono morti anche donne e bambini.

Sabato, inoltre, è stato anche il giorno in cui il presidente Hadi è ritornato nella sua «capitale temporanea» di Aden (ci resterà però solo per per pochi giorni). La visita del presidente giunge ad un anno dal suo ultimo viaggio in città e due mesi dopo che il premier Ahmed bin Dagher e sette ministri si sono lì stabiliti. Numeri che già da soli fanno ben capire il fallimento della coalizione: dopo 20 mesi di guerra, il blocco sunnita che appoggia Hadi non è ancora riuscito a rendere sicuro il cuore del governo yemenita. Troppo spesso, infatti, Aden è teatro dei devastanti attacchi compiuti dal ramo locale di al-Qa’eda e da gruppi affiliati all’autoproclamato Stato Islamico.

I combattimenti tra i due schieramenti (e rispettivi alleati) continuano anche in altre aree del Paese. I ribelli hanno attaccato in questi giorni la città di Midi sul mar Rosso e vicina al confine saudita uccidendo sei soldati e ferendone 14. Negli scontri hanno perso la vita anche due combattenti houthi. Una battaglia violenta si registra anche ad est dove le forze governative hanno lanciato una incursione dalla provincia saudita di Najran e sono riuscite a conquistare il punto di controllo di Baqaa. Pesante il tributo di sangue: 18 ribelli e 6 filo-governativi sono rimasti uccisi nel corso delle violenze. In una nota, inoltre, l’esercito yemenita ha fatto sapere ieri di aver neutralizzato nelle ultime 24 ore 50 combattenti dello schieramento rivale nei pressi della provincia di Hajja, vicina al confine saudita.

Domenica, intanto, è tornato nella regione l’inviato Onu Shaykh Ahmed per provare a riattivare un moribondo (e finora fallimentare) processo di pace. Ahmed visiterà l’Arabia Saudita, lo Yemen e l’Oman cercando di giungere ad una mediazione tra le parti in lotta. Secondo gli osservatori internazionali, la missione diplomatica dell’alto funzionario internazionale ha poche possibilità di aver successo visto il profondo divario tra le proposte avanzate dalle Nazioni Unite e quelle del governo yemenita e dei suoi alleati arabi. A pesare è anche l’assenza di una chiara posizione da parte degli Stati Uniti durante l’attuale periodo di transizione politica dovuto all’imminente fine del secondo mandato presidenziale di Obama.

Non sono poi incoraggianti per Ahmed i risultati finora raggiunti: l’ultimo cessate il fuoco è collassato lo scorso agosto, mentre un cessate-il-fuoco di 48 ore, dichiarato dalla coalizione e mai completamente rispettato, è terminato lo scorso lunedì.

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