Prosegue senza sosta la battaglia finale per Aleppo, con le sue
atrocità e qualche scampolo di negoziato. Stamattina l’esercito siriano
ha annunciato la ripresa di un altro quartiere, Tariq al-Bab,
strappandolo alle opposizioni ormai prossime alla capitolazione. Damasco
controlla ormai il 60% della parte est, dal 2012 bastione delle milizie
armate anti-Assad. Ora il governo ha in mano la strada che collega
Aleppo ovest all’aeroporto.
E con un bilancio già di 350 morti, 300 a est e 50 ad ovest,
continua anche la fuga dei civili: secondo l’Onu sarebbero oltre 31mila i
residenti di Aleppo est fuggiti verso le zone governative e kurde in
cerca di salvezza, in alcuni casi portandosi dietro denunce ai
ribelli, accusati di aver impedito per mesi l’evacuazione per usare la
popolazione come scudo. Sul campo si confrontano ormai due schieramenti:
8-10mila miliziani anti-Assad contro le truppe del governo e i
suoi alleati, iraniani, libanesi e iracheni, a cui si sono aggiunti i
combattenti kurdi delle Ypg. Ufficialmente non combattono insieme, kurdi
e governativi, ma l’obiettivo è lo stesso.
Stretti in un assedio ormai invincibile, i “ribelli” hanno
aperto vie di comunicazione con la Russia attraverso uno dei loro
principali sponsor, la Turchia. Ma il dialogo non sembrerebbe andare
bene per le opposizioni che dopo settimane di contatti segreti
hanno accusato di Mosca di procrastinare un eventuale accordo a
beneficio di Assad. L’idea, dicono, è quella di una tregua e non una
vera e propria evacuazione, eventualità che potrebbe non piacere a
Damasco che teme una loro riorganizzazione nel caso di uno stop del
conflitto.
Per ora le opposizioni restano a sud est, ormai circondate, e c’è
chi immagina un negoziato volto a giungere ad un accordo sul modello di
quello passato di Daraya o quello implementato ieri nella comunità di
al-Tal, vicino Damasco: circa 2mila miliziani hanno accettato
di evacuare insieme alle proprie famiglie per essere portati a Idlib,
roccaforte dell’ex Al-Nusra dove ripiegano tutti i “ribelli” che si
arrendono.
La Russia avrebbe proposto l’allontanamento dei miliziani di Jabhat
Fatah al-Sham, l’ex al-Nusra, leader delle opposizioni, e la creazione
di quattro corridoi umanitari per l’ingresso di aiuti ad Aleppo est.
Davanti a loro, un fronte composito e indebolito che ha cercato
nei giorni scorsi di ricompattare le fila creando una nuova coalizione
anti-Assad, l’Esercito di Aleppo. È guidato dal Fronte del
Levante, partner turco della prima ora, e conta tra le sue fila i
salafiti di Jaysh al-Islam e Ahrar al-Sham e unità dell’Esercito Libero
Siriano.
A peggiorare le cose c’è la Turchia che continua a tenere il
piede in due staffe per garantirsi scampoli di influenza nel
post-conflitto. Non ha mai cessato di sostenere le opposizioni e ha
portato i suoi carri armati a 40 km da Aleppo, nei pressi di al-Bab.
E sebbene Erdogan sia tornato su suoi passi negando di aver lanciato
l’operazione “Scudo dell’Eufrate” per far cadere Assad, è chiaro il
ruolo di incendiario che continua a giocare, stavolta nelle vesti di
infido mediatore.
Ankara guarda all’intervento armato, ancora oggi, come forma di ampliamento del proprio raggio di influenza.
La questione è stata ampiamente discussa mercoledì durante il meeting
del Consiglio di Sicurezza Nazionale: «Si enfatizza con forza – è stato
detto nelle sei ore di riunione – che Pkk, Pyd e Ypg e altre strutture
terroristiche non saranno assolutamente tollerate nel nord della Siria e
nella regione di Sinjar in Iraq. Ogni mezzo necessario sarà usato per
distruggerle».
Dichiarazioni che aprono al proseguimento della guerra, nel nord
della Siria e in Iraq, in chiave anti-kurda ma anche anti-sciita. Nello
specifico ciò si tradurrà nell’avanzata su Manbij, liberata dai
kurdo-siriani di Rojava ad agosto, e in un intervento a Sinjar, dove si
trovano unità di Pkk e Ypg, e che resta regione strategica, a
metà tra il confine siriano e Mosul, poco distante da Tal Afar in cui
stanno per entrare le milizie sciite irachene.
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