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03/12/2016

Siria - Negoziato in stallo tra Russia e opposizioni

Prosegue senza sosta la battaglia finale per Aleppo, con le sue atrocità e qualche scampolo di negoziato. Stamattina l’esercito siriano ha annunciato la ripresa di un altro quartiere, Tariq al-Bab, strappandolo alle opposizioni ormai prossime alla capitolazione. Damasco controlla ormai il 60% della parte est, dal 2012 bastione delle milizie armate anti-Assad. Ora il governo ha in mano la strada che collega Aleppo ovest all’aeroporto.
 
E con un bilancio già di 350 morti, 300 a est e 50 ad ovest, continua anche la fuga dei civili: secondo l’Onu sarebbero oltre 31mila i residenti di Aleppo est fuggiti verso le zone governative e kurde in cerca di salvezza, in alcuni casi portandosi dietro denunce ai ribelli, accusati di aver impedito per mesi l’evacuazione per usare la popolazione come scudo. Sul campo si confrontano ormai due schieramenti: 8-10mila miliziani anti-Assad contro le truppe del governo e i suoi alleati, iraniani, libanesi e iracheni, a cui si sono aggiunti i combattenti kurdi delle Ypg. Ufficialmente non combattono insieme, kurdi e governativi, ma l’obiettivo è lo stesso.

Stretti in un assedio ormai invincibile, i “ribelli” hanno aperto vie di comunicazione con la Russia attraverso uno dei loro principali sponsor, la Turchia. Ma il dialogo non sembrerebbe andare bene per le opposizioni che dopo settimane di contatti segreti hanno accusato di Mosca di procrastinare un eventuale accordo a beneficio di Assad. L’idea, dicono, è quella di una tregua e non una vera e propria evacuazione, eventualità che potrebbe non piacere a Damasco che teme una loro riorganizzazione nel caso di uno stop del conflitto.
Per ora le opposizioni restano a sud est, ormai circondate, e c’è chi immagina un negoziato volto a giungere ad un accordo sul modello di quello passato di Daraya o quello implementato ieri nella comunità di al-Tal, vicino Damasco: circa 2mila miliziani hanno accettato di evacuare insieme alle proprie famiglie per essere portati a Idlib, roccaforte dell’ex Al-Nusra dove ripiegano tutti i “ribelli” che si arrendono.

La Russia avrebbe proposto l’allontanamento dei miliziani di Jabhat Fatah al-Sham, l’ex al-Nusra, leader delle opposizioni, e la creazione di quattro corridoi umanitari per l’ingresso di aiuti ad Aleppo est. Davanti a loro, un fronte composito e indebolito che ha cercato nei giorni scorsi di ricompattare le fila creando una nuova coalizione anti-Assad, l’Esercito di Aleppo. È guidato dal Fronte del Levante, partner turco della prima ora, e conta tra le sue fila i salafiti di Jaysh al-Islam e Ahrar al-Sham e unità dell’Esercito Libero Siriano.

A peggiorare le cose c’è la Turchia che continua a tenere il piede in due staffe per garantirsi scampoli di influenza nel post-conflitto. Non ha mai cessato di sostenere le opposizioni e ha portato i suoi carri armati a 40 km da Aleppo, nei pressi di al-Bab. E sebbene Erdogan sia tornato su suoi passi negando di aver lanciato l’operazione “Scudo dell’Eufrate” per far cadere Assad, è chiaro il ruolo di incendiario che continua a giocare, stavolta nelle vesti di infido mediatore.

Ankara guarda all’intervento armato, ancora oggi, come forma di ampliamento del proprio raggio di influenza. La questione è stata ampiamente discussa mercoledì durante il meeting del Consiglio di Sicurezza Nazionale: «Si enfatizza con forza – è stato detto nelle sei ore di riunione – che Pkk, Pyd e Ypg e altre strutture terroristiche non saranno assolutamente tollerate nel nord della Siria e nella regione di Sinjar in Iraq. Ogni mezzo necessario sarà usato per distruggerle».

Dichiarazioni che aprono al proseguimento della guerra, nel nord della Siria e in Iraq, in chiave anti-kurda ma anche anti-sciita. Nello specifico ciò si tradurrà nell’avanzata su Manbij, liberata dai kurdo-siriani di Rojava ad agosto, e in un intervento a Sinjar, dove si trovano unità di Pkk e Ypg, e che resta regione strategica, a metà tra il confine siriano e Mosul, poco distante da Tal Afar in cui stanno per entrare le milizie sciite irachene.

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