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03/12/2016

Libano - Nessun vincitore, paese sempre in bilico

di Michele Giorgio – Il Manifesto

Il Libano resta in bilico nonostante la recente elezione a capo dello stato di Michel Aoun abbia garantito una maggiore stabilità. La guerra civile siriana alle porte, l’arrivo nel Paese di un milione di profughi e le tensioni regionali tengono Beirut con il fiato sospeso. Ne abbiamo parlato con Ali Hashem, analista libanese ed esperto di Iran, Paese dove è stato per lungo tempo corrispondente per la tv al Mayadeen. Sue analisi sono state pubblicate anche da Guardian e The Sunday Times.

Il leader cristiano Michel Aoun, un alleato del movimento sciita Hezbollah, il mese scorso è diventato presidente del Libano con il via libera del leader sunnita Saad Hariri, nemico della Siria e dell’Iran e alleato di Arabia Saudita, Usa e Francia. È una vittoria, come è stato scritto e detto, del fronte “8 marzo”, il fronte della “resistenza”, figlia di quelle che sul campo di battaglia stanno ottenendo le forze armate siriane contro jihadisti e ribelli?

A mio parere i festeggiamenti (del fronte “8 marzo”) sono stati prematuri. Non dobbiamo parlare di vincitori e sconfitti perché il quadro regionale e nazionale è molto complesso. Michel Aoun per oltre dieci anni è stato un alleato di eccezionale importanza per Hezbollah. Ma l’uomo politico è diverso dal presidente e due forze politiche che prima avevano bisogno l’una dell’altra, potrebbero ora avere interessi almeno in parte divergenti. Il fatto che Aoun farà in Arabia Saudita la sua prima visita ufficiale all’estero è indicativo.

Quanto l’accordo sulla presidenza Aoun è frutto di una intesa a distanza, di fatto, tra i due potenti rivali regionali, Iran e Arabia Saudita?

Lo è in parte. Tehran e Riyadh sono avversarie ma sono anche molto stanche. I conflitti nella regione sono estenuanti dal punto di vista diplomatico e politico. Senza dimenticare gli aspetti economici. L’Arabia Saudita è sicuramente più in affanno finanziariamente (per gli introiti ridotti generati dall’esportazione del petrolio, ndr) ma sappiamo che anche l’Iran ha bisogno di rifiatare. E poi dopo la vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane si sono aperti scenari di incertezza sull’accordo per il programma nucleare iraniano che tengono in allerta Tehran.

Incertezza che potrebbe riflettersi sulle presidenziali iraniane del prossimo anno. Lei conosce bene l’Iran, ha vissuto di recente a Tehran. Che aria si respira in quel Paese dopo l’elezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti.

Fino a due mesi fa nessuno aveva dubbi, tutti prevedevano la riconferma di Hassan Rohani, il presidente che ha raggiunto l’accordo con l’Occidente sul nucleare e posto termine al regime di sanzioni internazionali contro l’Iran. Oggi ai vertici politici e religiosi del Paese, e anche nelle strade, tutti ripensano all’accordo e si domandano se non sia stato firmato troppo in fretta, facendo troppe concessioni. Non ci vuole molto a capire che se Trump darà seguito alla promessa fatta in campagna elettorale di adottare una linea dura contro Tehran è evidente che ciò si rifletterà direttamente sulle presidenziali iraniane. E se prima non si annunciavano candidature forti (dei conservatori) contro Rohani, adesso questa possibilità si è fatta concreta. Le cose si stanno complicando e l’Iran in silenzio punta a trovare un accomodamento parziale, non dichiarato, con gli avversari sauditi su vari scacchieri, dallo Yemen al Libano, mentre la Siria resta un punto interrogativo. Un accomodamento che interessa anche, se non soprattutto, a Riyadh. Anche da questo deriva l’intesa che in Libano ha portato alla presidenza Aoun.

Saad Hariri, attore protagonista fino a qualche anno fa e avversario di Hezbollah, come esce da queste intese regionali e locali, indebolito o rafforzato? E’ stato incaricato da Aoun di formare un nuovo governo ma ogni giorno che passa il quadro politico si complica.

Diciamo che da premier e alla guida del nuovo esecutivo, dovrebbe poter recuperare una parte dei consensi perduti in questi anni, avviando politiche sociali di sostegno alla parte più povera della popolazione. Ha le possibilità di riemergere come un leader sunnita in Libano e nella regione.

Però ora ha le spalle scoperte, i sauditi non sembrano più avere fiducia in lui.

Saad Hariri resta un alleato di Riyadh. Tuttavia ha difficoltà di rapporto con il figlio di re Salman e vice principe ereditario Mohammed bin Salman, che si sta affermando come l’uomo forte della monarchia saudita. Da quando furono diffuse le registrazioni di telefonate in cui Hariri esprimeva giudizi poco lusinghieri su Mohammad bin Salman, per il premier incaricato libanese i rapporti con Riyadh si sono fatti delicati. Pesano anche i problemi che affrontano le imprese di Hariri in Arabia Saudita, con tanti lavoratori rimasti senza stipendio. Difficoltà che hanno avuto riflessi diretti in Libano. Questo ha contribuito ad indebolire Hariri e ad erodere la sua base di consenso. Anche questo lo ha spinto ad accettare la presidenza Aoun in cambio della poltrona di premier.

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