di Michele Giorgio – Il Manifesto
Il Libano resta in
bilico nonostante la recente elezione a capo dello stato di Michel Aoun
abbia garantito una maggiore stabilità. La guerra civile siriana alle
porte, l’arrivo nel Paese di un milione di profughi e le tensioni
regionali tengono Beirut con il fiato sospeso. Ne abbiamo parlato con
Ali Hashem, analista libanese ed esperto di Iran, Paese dove è stato per
lungo tempo corrispondente per la tv al Mayadeen. Sue analisi sono
state pubblicate anche da Guardian e The Sunday Times.
Il leader cristiano Michel Aoun, un alleato del movimento
sciita Hezbollah, il mese scorso è diventato presidente del Libano con
il via libera del leader sunnita Saad Hariri, nemico della Siria e
dell’Iran e alleato di Arabia Saudita, Usa e Francia. È una vittoria,
come è stato scritto e detto, del fronte “8 marzo”, il fronte della
“resistenza”, figlia di quelle che sul campo di battaglia stanno
ottenendo le forze armate siriane contro jihadisti e ribelli?
A mio parere i festeggiamenti (del fronte “8 marzo”) sono stati
prematuri. Non dobbiamo parlare di vincitori e sconfitti perché il
quadro regionale e nazionale è molto complesso. Michel Aoun per oltre
dieci anni è stato un alleato di eccezionale importanza per Hezbollah.
Ma l’uomo politico è diverso dal presidente e due forze politiche che
prima avevano bisogno l’una dell’altra, potrebbero ora avere interessi
almeno in parte divergenti. Il fatto che Aoun farà in Arabia Saudita la
sua prima visita ufficiale all’estero è indicativo.
Quanto l’accordo sulla presidenza Aoun è frutto di una intesa
a distanza, di fatto, tra i due potenti rivali regionali, Iran e Arabia Saudita?
Lo è in parte. Tehran e Riyadh sono avversarie ma sono anche molto
stanche. I conflitti nella regione sono estenuanti dal punto di vista
diplomatico e politico. Senza dimenticare gli aspetti economici.
L’Arabia Saudita è sicuramente più in affanno finanziariamente (per gli
introiti ridotti generati dall’esportazione del petrolio, ndr) ma
sappiamo che anche l’Iran ha bisogno di rifiatare. E poi dopo la
vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane si sono aperti
scenari di incertezza sull’accordo per il programma nucleare iraniano
che tengono in allerta Tehran.
Incertezza che potrebbe riflettersi sulle presidenziali
iraniane del prossimo anno. Lei conosce bene l’Iran, ha vissuto di
recente a Tehran. Che aria si respira in quel Paese dopo l’elezione di
Trump alla presidenza degli Stati Uniti.
Fino a due mesi fa nessuno aveva dubbi, tutti prevedevano la
riconferma di Hassan Rohani, il presidente che ha raggiunto l’accordo
con l’Occidente sul nucleare e posto termine al regime di sanzioni
internazionali contro l’Iran. Oggi ai vertici politici e religiosi del
Paese, e anche nelle strade, tutti ripensano all’accordo e si domandano
se non sia stato firmato troppo in fretta, facendo troppe concessioni.
Non ci vuole molto a capire che se Trump darà seguito alla promessa
fatta in campagna elettorale di adottare una linea dura contro Tehran è
evidente che ciò si rifletterà direttamente sulle presidenziali
iraniane. E se prima non si annunciavano candidature forti (dei
conservatori) contro Rohani, adesso questa possibilità si è fatta
concreta. Le cose si stanno complicando e l’Iran in silenzio punta a
trovare un accomodamento parziale, non dichiarato, con gli avversari
sauditi su vari scacchieri, dallo Yemen al Libano, mentre la Siria resta
un punto interrogativo. Un accomodamento che interessa anche, se non
soprattutto, a Riyadh. Anche da questo deriva l’intesa che in Libano ha
portato alla presidenza Aoun.
Saad Hariri, attore protagonista fino a qualche anno fa e
avversario di Hezbollah, come esce da queste intese regionali e locali,
indebolito o rafforzato? E’ stato incaricato da Aoun di formare un nuovo
governo ma ogni giorno che passa il quadro politico si complica.
Diciamo che da premier e alla guida del nuovo esecutivo, dovrebbe
poter recuperare una parte dei consensi perduti in questi anni, avviando
politiche sociali di sostegno alla parte più povera della popolazione.
Ha le possibilità di riemergere come un leader sunnita in Libano e nella
regione.
Però ora ha le spalle scoperte, i sauditi non sembrano più avere fiducia in lui.
Saad Hariri resta un alleato di Riyadh. Tuttavia ha difficoltà di
rapporto con il figlio di re Salman e vice principe ereditario Mohammed
bin Salman, che si sta affermando come l’uomo forte della monarchia
saudita. Da quando furono diffuse le registrazioni di telefonate in cui
Hariri esprimeva giudizi poco lusinghieri su Mohammad bin Salman, per il
premier incaricato libanese i rapporti con Riyadh si sono fatti
delicati. Pesano anche i problemi che affrontano le imprese di Hariri in
Arabia Saudita, con tanti lavoratori rimasti senza stipendio.
Difficoltà che hanno avuto riflessi diretti in Libano. Questo ha
contribuito ad indebolire Hariri e ad erodere la sua base di consenso.
Anche questo lo ha spinto ad accettare la presidenza Aoun in cambio
della poltrona di premier.
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