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14/02/2017

L’“impazzimento” della politica come riflesso della crisi di egemonia del capitale

Relazione introduttiva al Forum "Il vecchio muore ma il nuovo non può nascere" organizzato dalla Rete dei Comunisti a Roma il 17 e 18 dicembre.

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Nell’introduzione al forum di oggi invece di partire dall’alto dell’analisi teorica scegliamo, diversamente che in altre occasioni, di partire dal “basso” dei fenomeni politici. La crisi sistemica, che da tempo come Rete dei Comunisti stiamo cercando di analizzare, si manifesta come competizione tra paesi imperialisti e con le altre potenze economiche, tramite conflitti militari ed enormi trasformazioni sociali ed oggi sta sfociando nella dimensione politico istituzionale delle “cittadelle imperialiste”.

I sintomi ormai sono conclamati; sia nei paesi dell’Unione Europea sia negli USA è in atto uno inaspettato e sincronizzato scombussolamento politico che porta inevitabilmente a ragionare sui motivi strutturali che hanno condotto a questo punto. Certamente l’esempio più eclatante è quello Statunitense dove un outsider come Trump sembra aver trionfato sulla stantia e familista classe dirigente democratica ma anche repubblicana, in quanto parte di questa a cominciare dai Bush si è subito schierata contro la sua candidatura.

Associata a questi eventi dai commentatori politici è la Brexit dove l’insubordinazione della vecchia e “diligente” classe operaia laburista al proprio storico partito ha avviato un incerto percorso esterno all’Unione Europea sovraesponendo, nel contempo, le acrobazie tattiche fatte dal partito conservatore e da Camerun. Certamente quello che si sta verificando è l’emergere della “faglia atlantica” tra il mondo anglosassone e l’Europa che manifesta, però, gli stessi acciacchi politici.

Nella Unione Europea da tempo si stanno mostrando, infatti, gli stessi fenomeni; sono iniziati drammaticamente, nonostante la ritirata successiva, in Grecia con la crisi del debito pubblico, l’affermazione di Syriza e la vittoria al Referendum antimemorandum dell’OXI nel Luglio del 2015. Sono proseguiti in Spagna con Podemos, in Italia con il M5S, oggi con i pirati in Islanda e, nelle forme più reazionarie, in Francia con il Front National, in Austria ed in altri paesi inclusa la Germania. Ma si sono anche affacciati in forme più contraddittorie anche nei “nuovi” paesi dell’est Europa dove processi e tendenze sono molto più condizionati dagli equilibri internazionali. Infine non possiamo dimenticare la clamorosa vittoria nel nostro paese del No al Referendum Costituzionale voluto, in primis, dall’ex presidente della repubblica Napolitano da tempo “agente” influente della borghesia europeista, in realtà Renzi si è rivelato alla fine solo una pessimo interprete di quelle scelte.

Troppo estesi sono tali processi per limitarsi a dare una lettura sovrastrutturale legata alle “classi politiche” o ai “poteri forti” che nel caos che si prospetta non sembrano affatto essere forti. E’ evidente, tardivamente, a tutti che la crisi politico-istituzionale ha le proprie radici nella crisi sociale che non è solo legata al reddito complessivo che si riduce ma alla modifica di “status” e di prospettive di interi pezzi della società che hanno rappresentato la stabilità dei paesi imperialisti negli ultimi trent’anni. I cosiddetti ceti medi impoveriti composti da lavoro dipendente con disponibilità materiale, e non solo, al consumismo e da piccola e media borghesia spiazzata e spazzata via dalla competizione globale che sta facendo giustizia di ogni ideologia del piccolo mondo, del piccolo è bello, della autoimprenditorialità, ideologia che pure ha preso piede nella “sinistra” nostrana.

Ma questa condizione sgorga dalla crisi di sovrapproduzione di capitale che, certificata come patologia dal 2007, oggi si manifesta come stagnazione “secolare”, almeno cosi viene definita dagli economisti borghesi; ovvero di uno stato permanente di impossibilità di crescita che produce l’incrudimento delle relazioni di classe e la riduzione del reddito diretto, indiretto e differito. Per i marxisti questa non è nient’altro che la manifestazione della caduta tendenziale del saggio di profitto che segna i limiti di un determinato stadio di sviluppo. Ed è qui che noi vogliamo collocare il nostro Forum, concepito come necessità di apertura di una intera fase di riflessione, e da questi elementi caratterizzanti il Modo di Produzione Capitalista vediamo il crearsi delle condizioni per un passaggio storico che per spessore richiama quello avuto con la crisi dell’URSS ma di segno politico potenzialmente opposto.

Siamo di fronte ad una crisi della politica e delle sue forme che riguarda direttamente i paesi imperialisti ma che tocca marginalmente i paesi della periferia produttiva, inclusi quei paesi come Cina, Russia ed India detentori di un ruolo internazionale rilevante, che mantengono ancora le forme politiche affermatisi nel ‘900. Dalla presenza di Partiti Comunisti, al governo o meno, a quella di forze sindacali conflittuali non collaborazioniste fino alle problematiche ma importanti sperimentazioni dell’America Latina sul socialismo del XXI secolo.

In merito a questo non possiamo però non ricordare che se nel culmine del ‘900 la Rivoluzione ha marciato dalle campagne circondando le città con le lotte di liberazione nazionale va detto anche che il processo rivoluzionario nel ‘17 ha preso le mosse dalla crisi dei centri imperialisti europei. Quella che si sta manifestando oggi in effetti è la crisi dei centri imperialisti che apre scenari del tutto inediti che hanno bisogno di una corretta chiave di lettura.

L’incepparsi, dunque, delle funzioni della politica nell’occidente capitalistico è il sintomo che le tendenze della struttura economica e produttiva entrano in conflitto con la sovrastruttura politica, istituzionale ed anche culturale ereditata dalla fase precedente, vedi ad esempio i processi di accentramento decisionale per la costituzione dell’Unione Europea ed il contrarsi della democrazia rappresentativa. E’ in questo passaggio che la politica, quale snodo fondamentale dell’egemonia della borghesia, manifesta i “fenomeni morbosi” ricordati da Gramsci e che oggi vediamo palesemente sotto i nostri occhi. Questa non è più il collettore tra i “dominanti” ed i “dominati”; quello che si apre è un lungo periodo di transizione dove i riferimenti politici e culturali a noi noti verranno nettamente modificati dalle forze sociali che si stanno mettendo in moto sotto la “pressa” della crisi.

Questo non significa affatto che il “nuovo” che sta emergendo possa sostituire le vecchie formazioni ne che possa durare a lungo (vedi l'indeterminatezza e ambiguità del M5S in Italia o la rapida “riconversione” di Syriza in Grecia) ma che la trasformazione strutturale iniziata da circa trent’anni si sta riversando nelle dinamiche della politica e delle istituzioni producendo instabilità e cambiamenti dei quali oggi non ne riusciamo, ancora, a capire concretamente gli sviluppi. Qui riemerge con forza il nodo della soggettività organizzata; se il conflitto di classe, nelle modalità storiche date, è la condizione oggettiva per la trasformazione sociale bisogna sapere, e oggi più che mai possiamo verificarlo nello sviluppo concreto degli eventi, che di per se questo non è la garanzia di un esito progressista e socialista rispetto al quale ritorna determinante la soggettività organizzata.

L’importanza del lavoro teorico nella crisi della mondializzazione del Capitale

Se come forza comunista intendiamo continuare ad agire nel vivo del conflitto politico e sociale del paese, ora collocato nel contesto dell’Unione Europea, riprende quota la necessità di rimettere mano all’analisi e all’elaborazione teorica in quanto, se è vero che vanno confermati gli strumenti di lettura del marxismo, e della parte migliore del pensiero del movimento comunista, è anche vero che le modalità in cui si presenta lo sviluppo del capitalismo sono, sempre, storicamente nuove. Sappiamo tutti che la storia non si ripete e dunque riproporre letture dei processi che non tengono conto dello sviluppo complessivo del capitale inevitabilmente portano a fare errori di valutazione che sono propedeutici a quelli dell’azione politica e sociale. Stiamo andando verso una fase di instabilità internazionale, di cui nell’incontro di oggi potremo tracciare solo alcuni caratteri, ma è a questo livello che si pone il problema di capire a che punto è la trasformazione iniziata alla fine del XX° secolo dal capitale; trasformazione che mostra sempre più segni di irrazionalità che difficilmente potranno riportare al “piano” del capitale, quello che è stato praticato dagli anni ’70 per uscire da quella prima fase della crisi strutturale. Oggi forse l’unica pianificazione possibile è solo quella dei “capitali” con tutti gli effetti devastanti che questo può e sta producendo.

Se è vero che siamo di fronte ad un passaggio storico, e di questo ne siamo convinti, la cosa che non possiamo ripetere è quella accaduta dopo la fine dell’URSS quando di fronte ad una sfida enorme che riguardava la prospettiva dei cambiamenti sociali ci si è chiusi nell’orticello del politicismo convinti che questo potesse essere sufficiente per far passare la nottata. In realtà la nottata ora è passata ma questa ha prodotto anche una mutazione delle soggettività politiche producendo le macerie che oggi sono sotto gli occhi di tutti. Abbandonare una lettura marxista della realtà, non lavorare per un suo aggiornamento e adeguamento alle modifiche complessive, non sforzarsi di avere una visione dei processi storici in atto è stato l’approccio maggioritario tra i comunisti, approccio che presupponeva l’introiezione della sconfitta del proprio punto di vista, in sintesi dire che un altro mondo è possibile ma non crederci affatto.

Ora di fronte alla ripresa delle contraddizioni di fondo del Modo di Produzione Capitalista, che è possibile ancora leggere lucidamente con gli strumenti del marxismo, si ripropone purtroppo con rapporti forza ben più arretrati la sfida della teoria che va intesa sempre come guida per l’azione e non come sterile astrazione intellettuale. Siamo perciò, ancora una volta, posti di fronte alla necessità di tornare alle “fonti” sapendo però molto bene che queste nelle diverse epoche storiche non riproducono mai schemi di interpretazione immutabili e stereotipati, errore di lettura uguale e speculare a quello della “fallacia politicista” che ha segnato specificamente nel nostro paese il PRC, e le sue successive code riformiste, egemone negli anni ’90.

L’evoluzione capitalista a cavallo del secolo

Nella ricostruzione di un punto di vista storico è perciò necessario andare ad una rilettura (che qui non può che essere approssimata) del passaggio precedente che ha permesso la mondializzazione, la cosiddetta globalizzazione, del Modo di Produzione Capitalista. Uno snodo fondamentale per quel passaggio è stato il marxisticamente “classico” sviluppo delle Forze Produttive tramite la scienza e la tecnologia che ha aumentato la produttività complessiva dei paesi capitalisti nel contesto tra gli anni ’70 ed ’80. Molti degli effetti della riorganizzazione produttiva, dei licenziamenti nelle grandi fabbriche, del superamento della classe operaia fordista di quel periodo nascono dal processo di incremento scientifico e tecnologico. In quella fase caratterizzata dalla sovrapproduzione di merci sono state adottate anche altre misure che hanno coinvolto i paesi capitalisti; l’incremento della leva finanziaria, ad esempio creando il debito pubblico dei paesi dell’America Latina all’epoca governati da regimi golpisti, che oggi ha esaurito l’efficacia nella sua funzione di controtendenza. Ma è stato sviluppato anche il mercato interno aumentando la spinta verso il consumismo. Insomma la controffensiva del capitale, unica epoca con un solo imperialismo al comando cioè gli USA, ha agito su diversi piani individuando i terreni su cui rilanciare la sfida al movimento rivoluzionario dell’epoca e non per ultima la corsa agli armamenti sulla quale l’URSS si era illusa di poter tenere testa.

Questa offensiva non è stata solo di carattere materiale ma ha avuto un supporto potente sul piano ideologico riuscendo a presentare l’occidente come difensore della democrazia, spacciando il suo stile di vita consumistico come quello più avanzato e riuscendo a mettere sulla difensiva il movimento di classe a livello internazionale sia nelle sue versioni più riformiste o revisioniste, sia in quelle più schiettamente rivoluzionarie. Inizia in quel periodo a rendersi palese nel nostro paese l’arretramento politico del PCI e del sindacato che fu il presupposto degli sviluppi successivi negli anni ‘90.

La sintesi qui fatta è assolutamente insufficiente ma intende solo tracciare la traiettoria di quegli anni in quanto se pensiamo di essere in un passaggio storico è con la storia che bisogna fare i conti. Gli sviluppi successivi sono noti e su questo non ci dilunghiamo ma l’insieme dei fattori messi in moto dalla controffensiva borghese ha cambiato completamente il contesto dell’azione volta al cambiamento verso il socialismo. Lo sviluppo delle Forze Produttive intese come scienza e tecnologia, ma anche come modifica dei caratteri della forza lavoro; l’accumulo di risorse finanziarie che si stava trasformando già negli anni ‘80 in sovrapproduzione di capitale; la successiva apertura di mercati immensi, di materie prime, di sbocchi commerciali e di lavoro a basso costo, come l’ex URSS, la Cina ma anche l’India ed altri paesi di quello che allora era definito terzo mondo; tutti questi sono stati gli elementi che hanno permesso la mondializzazione effettiva del Modo di Produzione che fino agli anni ’90 aveva avuto in termini materiali e territoriali forti limiti al suo sviluppo potenziale.

Qui è utile ricordare, per avere chiara la dimensione delle questioni poste, un passo di Marx da “Per la Critica dell'Economia Politica” in cui si afferma:
“Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione.”
Se questo enorme processo di riorganizzazione è riuscito a ricostruire l’egemonia persa nel conflitto internazionale del secolo precedente ha prodotto anche una modifica radicale all’interno dei paesi imperialisti, ovvero sono mutate le caratteristiche e le funzioni della forza lavoro che hanno seguito la ristrutturazione internazionale dove la produzione di merci veniva, e viene ancora, delocalizzata nei paesi a basso costo del lavoro. Mentre le produzioni a maggior valore aggiunto che rimangono in occidente sono sempre più caratterizzate dall’uso intensivo della tecnologia, cioè dall’aumento della composizione organica di capitale, con un conseguente cambiamento della forza lavoro impiegata. Si afferma con forza la terziarizzazione dell’economia, certo con qualifiche elevate ma in un contesto di disgregazione produttiva e di precarizzazione generalizzata. Si allargano i settori di lavoro dequalificato e servile che coinvolgono lavoratori italiani ma sempre più lavoratori immigrati dai paesi periferici ed in crisi. Insomma se va detto e ribadito con forza che rimane intatto il rapporto di subordinazione e di sfruttamento nelle relazioni lavorative, quelle che cambiano sono le condizioni e le forme. In altre parole non è possibile fare riferimento alle vecchie forme della classe lavoratrice in quanto queste sono state radicalmente modificate nei paesi imperialisti e disperse nel contesto internazionale.

Di fronte a questa mutazione profonda e radicale del modo di agire del capitale mondializzato va chiarita una questione fondamentale per avere un’idea compiuta del processo che si è innestato e cioè che questo salto avuto a cavallo del secolo non è stato prodotto per lungimiranza delle borghesie ma perché le classi dominanti dell’epoca sono state messe con le spalle al muro dall’offensiva rivoluzionaria iniziata con il 17. Offensiva di cui facevano parte gli Stati Socialisti dell’epoca, anche in conflitto tra di loro, ma anche le masse contadine dei paesi del terzo mondo e la classe operaia delle grandi fabbriche fordiste, da Detroit a Torino, dove il capitale doveva inevitabilmente passare per autovalorizzarsi. Le mutazioni indotte da quel conflitto non sono state indifferenti; dall’emergere di un imperialismo dominante reso necessario dal pericolo della rivoluzione proletaria, in precedenza si era sempre parlato degli imperialismi, all’accettazione del Welfare mutato in strumento di controllo sociale. Infine anche il ruolo dello Stato nell’economia è stata una novità prima sempre osteggiata dal liberalismo ed infine accettata come possibile pianificazione delle economie occidentali. Dunque la relazione dialettica tra la lotta di classe, nelle sue molteplici forme, e l’evoluzione sociale complessiva in quella fase storica ha mostrato la sua importanza e ciò che va evitato nel ragionare su questi passaggi è quello di gettare “il bambino con l’acqua sporca”. Questo invece è quello che è stato fatto aggiungendo alla sconfitta di quegli anni una incapacità di resistere prima di tutto ideologicamente e teoricamente e poi anche, come si è ampiamente visto, socialmente e politicamente. Purtroppo l’Italia è un esempio emblematico di questa deriva in quanto è passata da paese dove il movimento di classe era il più potente dell’Europa occidentale ad un paese dove la difficoltà del conflitto politico per le forze di classe e comuniste è palese. Per noi oggi non gettare il bambino con l’acqua sporca significa anche recuperare il bagaglio culturale, teorico e politico del marxismo e del movimento comunista e tentare di metterlo al servizio di un progetto di modifica dei rapporti di forza nella società.

Le vigenti leggi del Capitale

Per converso la sconfitta di quel ciclo di lotte e alternativa ha riportato in auge tutte le leggi immanenti del capitale che oggi manifestano i propri effetti ma che ci danno anche la possibilità di verifica della modernità degli strumenti interpretativi fondamentali, che vanno oltre gli specifici politici contingenti dei vari periodi, del marxismo e del movimento comunista. Questo è quello che abbiamo cercato di fare come RdC dagli anni ’90 andando a rileggere la categoria di imperialismo fuori dalle forme manifestatisi nella seconda metà del ‘900 e nella ripresa della competizione interimperialista e nel ruolo unificante che questa stava assumendo nel continente Europeo.

Detto in termini più espliciti una lettura corretta delle dinamiche che si stanno svelando nel corso di questi anni per noi può essere fatta correttamente usando ancora la teoria marxiana del valore, osteggiata da tutta una serie di forze ed intellettuali di sinistra e di movimento che per decenni ci hanno detto che quella era ormai una teoria superata. Questa ci da la possibilità di risalire alla caduta tendenziale del saggio di profitto ed al relativo aumento della composizione organica di capitale ed, infine, allo sviluppo della conseguente contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione, cioè quello che è il motore del cambiamento sociale.

Ed è proprio dalla caduta del saggio di profitto che nasce la frammentazione del capitale mondiale in frazioni sempre più in lotta tra di loro per spartirsi una “torta” che ineluttabilmente va a ridursi. Dunque il passaggio dall’“imperialismo” statunitense di fine ‘900 agli “imperialismi” della nostra epoca può essere interpretato sulle basi strutturali del processo e inoltre ci indica le prospettive, in quanto può farci capire la dinamica che oggi si svolge sotto i nostri occhi a livello internazionale.

Così come utilizzare la chiave di lettura dell’aumento della composizione organica del capitale ci mette in condizione di collocare le nuove forme della Forza Lavoro a livello internazionale, cioè della classe reale, dentro i parametri di una lettura pienamente marxista e contro i nuovismi che hanno appiattito e confuso la dinamica di fondo del capitalismo sulle forme contingenti delle classi.

Infine nella lettura marxista si possono ritrovare le motivazioni dell’attuale crisi sociale e non solo quelle della mutazione dei soggetti di classe. Nella caduta tendenziale agiscono delle controtendenze ed è necessario capire oggi su quali di queste il capitale può contare per rilanciare un ciclo economico consistente. Senza entrare troppo nello specifico, quello che possiamo empiricamente osservare è che alcune controtendenze classiche oggi non possono avere una funzione sostanziale nel rilanciare il ciclo; certamente la leva finanziaria dopo decenni di “abuso” rischia, se non governata e limitata, di scatenare bolle speculative come si è visto con la crisi dei “subprime” che hanno prodotto effetti destabilizzanti. Come l’altra leva storica, la distruzione generalizzata di capitale praticata nelle due guerre mondiali, oggi è obiettivamente limitata dal potenziale autodistruttivo delle armi nucleari e, di conseguenza, probabilmente per recuperare margini di crescita relativi si potrà andare a conflitti bellici limitati, come concretamente finora possiamo verificare nella realtà.

L’unica controtendenza alla caduta del saggio che sembra possa essere usata a piene mani, visti i rapporti di forza tra le classi a livello internazionale, è quella della riduzione del reddito delle classi subalterne in tutte le sue forme ricostruendo i margini di profitto ed operando anche sulla concentrazione dei capitali e dunque delle imprese con le conseguenti riorganizzazioni produttive e di riduzione di personale. Su questo piano reazioni forti ancora non se ne vedono ma la crisi della “politica” che abbiamo descritto all’inizio della relazione può essere l’avvio di una reazione delle classi subalterne a questa continua compressione delle condizioni di reddito e di vita.

In questo “elenco” di riferimenti teorici non possiamo non aggiungere una riflessione compiuta sulla soggettività, infatti l’errore dell’economicismo è sempre in agguato in quanto non bastano le contraddizioni materiali per ipotizzare una risposta politica ma è sempre necessario l’intervento di una soggettività che ha nei propri obiettivi l’emancipazione e il socialismo. Dunque qui facciamo solo un richiamo anche perché come Rete dei Comunisti a Giugno del 2016 abbiamo tenuto un altro Forum finalizzato ad evidenziare l’importanza della soggettività e dell’organizzazione di classe in tutte le sue forme. Dunque su questo rinviamo a quel Forum.

Un’altra avvertenza necessaria che vogliamo fare è che un simile elenco di riferimenti teorici rischia di sembrare schematismo, certamente il rischio c’è e va anche tenuto ben presente in quanto il contesto reale è quello che alla fine determina le possibilità di riuscita di un progetto politico. Detto questo però pensiamo che sia giunto il momento, determinato dal passaggio storico che abbiamo di fronte, di avere dei parametri di lettura delle dinamiche generali molto precisi in quanto il “relativismo” politico e teorico prevalente a sinistra, ma anche tra i comunisti, fin qui ha creato solo danni. Riteniamo utile definire i parametri fondamentali, le loro reciproche relazioni ed in sostanza restituire una organicità alla lettura della realtà, fondamentale per svolgere quella funzione della teoria che deve essere sempre una guida per l’azione e non un pensiero a se stante.

Le finalità del Forum

Un incontro come quello che stiamo organizzando non può non parlare, quantomeno accennare, alle potenzialità alternative che emergono da un passaggio storico come quello che stiamo vivendo e che abbiamo citato nella lettera di convocazione del Forum. Qui facciamo riferimento allo scenario di una instaurazione di un lungo periodo di conflitto ed instabilità dato dall’equilibrio dei rapporti di forza tra potenze, equilibrio sul quale per ora e purtroppo non si intravvedono interazioni con una lotta di classe internazionale in senso stretto. Oppure a quello di una sostituzione dell’imperialismo statunitense con i due poli potenzialmente “sostitutrici”, ovvero l’Unione Europea o la Cina. O, ancora, alla nascita di una alternativa sociale, prospettiva per la quale dobbiamo lavorare.

Le relazioni che abbiamo proposto per questo incontro hanno l’obiettivo di avviare un percorso di ricerca e verifica di questa condizione storica e materiale. Sappiamo bene che questi processi non possono essere determinati a tavolino in quanto il dato oggettivo non è l’unica componente che interviene e modifica la realtà in atto. Quello che cerchiamo di fare è riportare la qualità del pensiero teorico e analitico all’altezza dei compiti che ci pone la situazione in quanto precondizione per poter pensare di svolgere una qualche funzione positiva, come comunisti, in una società a capitalismo sviluppato. Come ricordato prima, nel Giugno scorso abbiamo fatto un altro incontro nazionale che titolato “La Ragione e la Forza”, quell’incontro per noi è collocato dentro una ipotesi di lavoro politico e teorico che mai come oggi va curato, seguito, fatto oggetto di confronto tra comunisti e con la realtà; dunque l’impegno che ci prendiamo come RdC è di far marciare parallelamente al nostro impegno politico, sociale e di classe quotidiano, un lavoro analitico e teorico che mettiamo a disposizione sapendo bene che oggi, non esistendo una teoria generale del movimento comunista che tracci la “linea” della rivoluzione, dobbiamo continuare ad adottare la modestia e la prudenza necessaria in un contesto sempre più complesso e in evoluzione verso esiti ancora poco chiari.

* Coord. Nazionale Rete dei Comunisti


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