Dal nuovo piano industriale solo altra disoccupazione e nessuno sviluppo.
Dalle notizie stampa e dalle dichiarazioni dell'amministratore delegato di Alitalia Cramer Ball il nuovo Piano Industriale varato dal Consiglio di Amministrazione disegna uno scenario che ripropone i tanti inutili e dannosi interventi degli ultimi due decenni. Se infatti ripercorriamo questi anni, tutti i vertici aziendali che si sono succeduti, pubblici o privati, fuggiti o defenestrati, premiati o condannati, hanno sempre ripetuto gli stessi errori ed applicato le medesime strategie:
- riduzione sconsiderata dei costi, che ha prodotto l'abbandono di asset e settori importanti e strategici;
- abbandono di linee e direttrici produttive;
- messa a terra di aerei;
- taglio di personale e di professionalità acquisite in decenni;
- accordi commerciali capestro come quelli con Air France dal quale è costoso uscire ancora oggi;
- contratti di leasing degli aerei a condizioni che rasentano l'usura.
In poche parole un miscuglio di provvedimenti che mai hanno colto nel segno e mai hanno permesso alla ex compagnia di bandiera di uscire dal guado e rilanciarsi a livello internazionale. Peggio, queste misure e questa gestione hanno ridotto Alitalia ad essere un vettore più che secondario a livello internazionale e addirittura a perdere anche la supremazia nel mercato italiano.
Il peccato principale che sembra ripetersi ancor oggi con il nuovo Piano Industriale, è quello di pensare di poter ridurre Alitalia ad un vettore a basso costo che dovrebbe fare concorrenza alle vere e proprie low cost, come Ryanair.
Dire e perseguire un tale obiettivo dimostra o malafede che nasconde altri obiettivi ed interessi o una estrema incapacità manageriale.
Fare concorrenza alle low cost con un impianto, una struttura, una storia come quelli di Alitalia, equivale a dire che si vuol far fallire l'ennesimo piano Industriale.
Se questo è l'obiettivo significa che si vuole percorrere la stessa strada del 2008, con il commissariamento e il fallimento della società e la costituzione di una bad company nella quale scaricare personale da licenziare e debiti.
Una girandola infinita che questa volta ridurrebbe l'Alitalia a poco o nulla, pronta per essere svenduta a pezzi, producendo di fatto la fine della storia e dell'industria del trasporto aereo in Italia.
Non si spiega infatti altrimenti la condizione posta dalle banche di subordinare il Piano all'accordo con il sindacato. Come è altrettanto evidente che i soldi che dovrebbero entrare non servano a rilanciare l'azienda ma soltanto a ripianare debiti e anticipazioni proprio degli attuali azionisti (banche e Etihad).
Il Piano di Cramer Ball prevede la messa a terra di 20 aerei e l'abbandono di molte attività, la conseguente riduzione del personale e il taglio del costo del lavoro.
Tutto ciò senza neanche intervenire minimamente sull'aumento del settore dei voli intercontinentali, cioè gli unici che producono reddito e margini di guadagno, soprattutto perché non soggetti a forte concorrenza.
Questo è il settore dove invece si dovrebbe sviluppare l'attività e dove investire: ma di questo nel Piano non si parla.
Ci vogliono soldi, tanti soldi per aumentare l'attività intercontinentale. E non ci sono alternative se si vuole veramente rilanciare l'Alitalia.
Come sindacato lo diciamo da 20 anni, inascoltati, mentre vedevamo compagnie come Air France, British o Lufthansa raddoppiare le proprie flotte aeree di lungo raggio, chiedere e ottenere il sostegno reale dei propri governi contro lo strapotere delle low cost, con regole uguali per tutti, riuscendo così a sviluppare mercati e affari.
Al contrario in Italia le low cost, prima fra tutte Ryanair, hanno ottenuto facilitazioni, finanziamenti da parte di società di gestione aeroportuale ed enti locali: una mancanza patologica di regole che ha fatto sviluppare a dismisura queste compagnie e ha prosciugato e messo in crisi Alitalia e Meridiana.
Per ricostruire le condizioni necessarie al rilancio di Alitalia in un mercato, quello del trasporto aereo, comunque in forte crescita, e per salvaguardare l'occupazione e i diritti di chi lavora, servono quindi interventi economici, politici ed istituzionali che non possono certo essere prerogativa di privati.
Serve l'intervento diretto dello Stato nella ridefinizione delle regole del settore che prevedano condizioni uguali per tutti i vettori; serve un intervento economico diretto dello stato, sino alla vera e propria nazionalizzazione di Alitalia che permetta investimenti importanti: un impegno economico che produrrebbero anche occupazione buona e ritorni produttivi per lo stato.
Per questi motivi non accetteremo soluzioni che vadano nel senso di un ulteriore ridimensionamento o che prevedano licenziamenti.
Ci opporremo con tutte le nostre energie e tenteremo di impedire l'ennesimo scempio di Alitalia utilizzando tutti gli strumenti a nostra disposizione. La prima scadenza è quella del 20 marzo, data nella quale è stato indetto uno sciopero al quale riteniamo che i lavoratori di Alitalia debbano aderire.
Il 5 aprile USB ha indetto lo sciopero Alitalia per 24 ore al quale chiamiamo a partecipare tutte le lavoratrici ed i lavoratori, siano essi tecnici, impiegati, operai, piloti o assistenti di volo: costruiamo una risposta adeguata alla situazione. Facciamolo ora o sarà troppo tardi.
Fonte
Diventa sempre più macroscopico il fatto che a tutte queste mobilitazioni e scioperi manchi una sponda di rappresentanza politica.
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