di Michele Giorgio – Il Manifesto
«Il principe
Mohammed considera sua eccellenza (Donald Trump) come un vero amico dei
musulmani, che servirà il mondo musulmano in un modo inimmaginabile».
No, non è una barzelletta. Queste frasi sono contenute nel comunicato
diffuso delle autorità di Riyadh dopo l’incontro di inizio settimana a
Washington tra Trump e Mohammed bin Salman, 31 enne figlio del re
dell’Arabia Saudita Salman, nonché vice principe ereditario e ministro
della difesa.
Non è finita. Stando al comunicato il principe Mohammad e il
presidente Usa «hanno discusso l’esperienza di successo dell’Arabia Saudita nella costruzione di una recinzione sul confine con l’Iraq, che ha portato a prevenire l’ingresso illegale di persone ed operazioni di contrabbando». Il
rampollo di casa Saud quindi ha esortato Trump ad andare avanti con il
suo progetto per la costruzione di una barriera lungo tutto il confine
tra gli Usa e il Messico.
Dulcis in fundo Mohammed bin Salman ha trovato legittimo il
provvedimento esecutivo del presidente americano che blocca l’ingresso
negli Usa ai cittadini di sei Paesi a maggioranza islamica, lasciando
fuori, ovviamente, l’Arabia Saudita. «Questa misura è una
decisione sovrana volta a impedire ai terroristi di entrare negli Stati
Uniti d’America», recita il comunicato diffuso da Riyadh, tralasciando
il “particolare” dei passaporti sauditi di cui erano in possesso 15 dei
19 dirottatori dell’11 settembre.
È scontato a questo punto un passo del presidente dalla chioma gialla
volto a silurare il Justice Against Sponsors of Terrorism Act (Jasta),
la legge che autorizza i parenti delle vittime degli attentati del 2001 a
fare causa ai paesi stranieri che ritengono essere coinvolti negli
attacchi sul suolo americano. Il Paese è uno solo, l’Arabia Saudita,
sospettata di aver fornito sostegno al piano di al Qaeda.
I Saud, l’anno scorso, avevano protestato dopo la sua approvazione da
parte del Congresso, minacciando di ritirare gli investimenti per
centinaia di miliardi di dollari che hanno fatto negli Stati Uniti. Poi
alla Casa Bianca è entrato Trump ed è cambiato tutto. Le
relazioni tra i due Paesi sono tornate floride come e più di prima. È
quasi superfluo riferire della soddisfazione con la quale i media
sauditi hanno salutato l’ingresso del principe Mohammed nello Studio
Ovale.
Dopo gli «anni amari» della presidenza Obama, culminati nell’accordo
internazionale sul programma nucleare iraniano contestato dalla casa
reale saudita, ora a Riyadh non solo tirano un sospiro di sollievo ma
guardano anche a come consolidare i rapporti con l’Amministrazione Usa. E
in questi casi non c’è di meglio di un buon affare, come ai bei
tempi dei presidenti Bush padre e Bush figlio. Mohammed bin Salmam e
Donald Trump hanno discusso lo sviluppo di un programma congiunto, da
200 miliardi di dollari, nel settore dell’energia, del commercio e delle
infrastrutture. Il principe saudita ha anche illustrato il suo
piano Vision 2030 che prevede la creazione di un fondo di investimento
sovrano che potrebbe essere il più grande nel mondo.
Non è sfuggito che l’invito a Washington sia stato fatto al vice
principe ereditario e a Mohammad bin Nayef, il primo in linea di
successione, che pure era stato l’interlocutore privilegiato di Mike
Pompeo durante la recente missione del direttore della Cia a Riyadh.
Secondo l’autorevole giornale arabo online Raiaalyoum «Trump
si rende conto che (Mohammed bin Salman) ha ricevuto ampi poteri
economici, politici e di sicurezza... e che ha voce in capitolo in tutte le
decisioni del regno. Nonostante la sua giovane età è dietro le
decisione di andare in guerra in Yemen, di vendere le azioni della
Aramco e di fondare la Coalizione araba (contro l’Iran)». La benedizione di Washington, prevede Raiaalyoum, potrebbe favorire l’ascesa al trono di Mohammed bin Salman a danno del principe ereditario Mohammad bin Nayef.
Una benedizione da Trump la aspetta anche Benyamin Netanyahu che ieri
ha incontrato di nuovo Jason Greenblatt, inviato speciale del
presidente Usa. Il primo ministro vuole un accordo Usa-Israele
sull’espansione degli insediamenti ebraici nei Territori palestinesi
occupati e ha ribadito ieri la volontà di costruire una colonia ex novo.
Dopo il nuovo faccia a faccia l’ufficio del premier israeliano ha
comunicato che «sono stati fatti progressi». Greenblatt ieri ha avuto
colloqui con i leader del movimento dei coloni.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento