Le truppe siriane di Bashar al-Asad, supportate dall’aviazione russa, hanno segnato un nuovo successo militare: ieri i jihadisti dello Stato Islamico si sono ritirati da gran parte di Palmira.
L’esercito di Damasco, entrato nel quartiere occidentale della città
ieri sera, avanza lentamente per paura di mine e attacchi suicidi. A
confermare i progressi militari dell’esercito è stato anche
l’Osservatorio siriano per i diritti umani, ong di stanza a Londra
vicina all’opposizione. Secondo il suo direttore, Rami Abdel Rahman, gli
uomini dell’autoproclamato califfo al-Baghdadi si sarebbero ritirati
nei quartieri orientali della città dove rimarrebbero diversi
attentatori suicidi pronti a farsi saltare in area. Off limits per i
lealisti resta anche il centro della città dove ancora si annidano le
forze del “califfato”.
Nonostante non possa ancora cantar vittoria, Bashar al-Asad può sicuramente sorridere. L’antico sito storico – patrimonio mondiale dell’Unesco – era stato riconquistato a dicembre del 2015 dalle sue truppe, ma era stato perso a maggio quando i jihadisti
– approfittando forse anche della massiccia offensiva del regime ad
Aleppo – erano riusciti a rientrare in città continuando l’opera di
distruzione dei reperti storici locali (come hanno dimostrato recenti
immagini satellitari russe).
Oggi, però, Damasco sembrerebbe aver registrato un altro successo militare: il
consiglio militare di Manbij ha detto infatti che consegnerà le aree
occidentali della cittadina siriana alle truppe del governo siriano in
seguito ad una intesa negoziata dalla Russia. La notizia
sembrerebbe essere confermata dalle prime notizie che giungono da
Manbij: personale armato battente bandiera statunitense è stato visto
muoversi verso le aree nel nord della cittadina. Al momento non è
possibile stabilire se i veicoli militari che si sono trasferiti siano
stati davvero statunitensi o, piuttosto delle Forze democratiche siriane
(Sdf, sostenute dagli Usa e costituite per lo più da unità curde, ma
anche da gruppi arabi e turkmeni) che avrebbero usato la bandiera stelle
e strisce solo per evitare possibili attacchi da parte di Ankara. Una
possibilità, quest’ultima, che non è affatto da escludere: l’intesa di
oggi giunge dopo prolungati scontri avvenuti ieri fra le Sdf e i ribelli
dell’Esercito libero siriano (ELS) sostenuti dalla Turchia.
La rabbia turca per l’accordo di stamane tra le Sdf e Damasco è enorme.
Per bocca del suo ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu, Ankara ha
fatto sapere che “se le [unità curde] Ypg non libereranno Manbij, noi
colpiremo”. “Non vogliamo che gli Usa continuino a cooperare con una
organizzazione terroristica che ci colpisce – ha poi aggiunto –
Washington deve immediatamente riparare a questo suo errore. Questo non è
territorio statunitense. Perché dobbiamo scontrarci con i loro
soldati?”
In una nota le Forze democratiche hanno spiegato l’obiettivo
dell’intesa con i russi: lasciare la difesa delle aree occidentali della
cittadina alle truppe del regime nella speranza di proteggere i civili.
L’intensificarsi dello scontro tra i due diversi campi appare ormai
imminente: secondo quanto riporta il quotidiano turco Cumhuryet citando
il sito russo Sputnik, la Turchia starebbe infatti fornendo pieno
sostegno militare ai ribelli dell’Els presenti nell’area.
Del resto Manbij è strategicamente importante:
situata sul fiume Eufrate è vicina al confine turco ed è stata ripresa
proprio dalle Sdf la scorsa estate. La partita qui è squisitamente
politica: i turchi, che proprio ad agosto hanno lanciato l’offensiva
“Scudo dell’Eufrate”, vogliono a tutti costi impedire l’unione dei tre
cantoni curdi del Rojova nel nord della Siria (e quindi a confine con la
Turchia) e porre fine alla loro “minaccia terroristica”. Martedì lo
stesso presidente turco Erdogan ha annunciato che l’Els marcerà verso
Manbij (“appartiene agli arabi, non all’Ypg o Pyd”) finché non sarà
completata la liberazione della cittadina di al-Bab (che è stata
riconquistata la scorsa settimana da turchi e dai ribelli).
“Gliel’abbiamo detto agli amici americani che queste forze se ne devono
andare a est dell’Eufrate. Queste zone dovrebbero essere lasciate ai
residenti [arabi] di Manbij”.
Le ultime vicende nel nord della Siria avranno sicuramente
ripercussioni nella campagna militare per Raqqa, la “capitale” siriana
dello Stato Islamico. Da tempo Ankara ha proposto una operazione
congiunta con gli Usa per “liberare” la città a condizione che non
partecipino i curdi. Di avviso diverso è Washington che, sia con Obama sia con la nuova presidenza Trump, li ritiene invece la forza sul
terreno più efficace e pertanto vuole continuare la collaborazione con
loro.
Ieri, intanto, un rapporto pubblicato dalle Nazioni Unite ha
denunciato “i crimini di guerra commessi da tutte le parti del
conflitto” nel corso della battaglia di Aleppo della scorsa estate. “Il
colpire deliberatamente i civili ha causato un grande numero di
vittime. Centinaia di bambini sono stati uccisi” ha detto Paulo
Pinheiro, il presidente della Commissione internazionale d’inchiesta
indipendente sulla Siria delle Nazioni Unite. Il regime viene accusato
di tattiche di assedio nella zona est della città e per i raid aerei che
hanno causato “centinaia di morti riducendo ospedali, scuole e mercati
in macerie”. Le forze siriane, inoltre, hanno usato anche bombe al cloro
(proibito dalla legge internazionale) nelle aree residenziali e,
sembrerebbe, anche munizioni a grappolo. I “ribelli”, invece, avrebbero
“bombardato indiscriminatamente le aree abitate da civili” nella parte
occidentale della città e, in alcuni distretti, avrebbero sparato ai
civili impedendo loro di fuggire “usandoli di fatto come scudi umani”.
Aggiornamento ore 16:35 Cremlino: “Damasco ha ripreso Palmira”
Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha detto poco fa che il presidente russo Vladimir Putin è stato informato dal ministro della difesa russo Sergei Shoigu che il governo siriano ha ripreso il controllo di Palmira grazie all’aviazione di Mosca.
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