di Chiara Cruciati Il Manifesto
Si sono ritrovati al
Washington Monument, l’obelisco a poca distanza dalla Casa bianca.
Domenica, mentre il presidente egiziano al-Sisi incontrava l’entourage
di Trump, i manifestanti hanno iniziato una veglia per ricordare quello
che in agenda non c’è: la repressione in Egitto e i 60mila prigionieri
politici.
Ieri si è replicato con una marcia, mentre Trump accoglieva il generale golpista e ne tesseva le lodi:
«Sta facendo un lavoro fantastico in una situazione molto complessa.
Noi lo sosteniamo». Fuori, accompagnati da una mascotte con il volto di
al-Sisi, le orecchie di Topolino e le mani sporche di sangue, i
manifestanti hanno mostrato cartelli con i volti di alcuni prigionieri e
la conta dei giorni passati dietro le sbarre.
Tra i manifesti attaccati in tutta Washington, ai lampioni,
sulle panchine e sui muri del consolato egiziano, c’è anche il viso di
Giulio Regeni. Non è mancata la contro-manifestazione: a bordo di dieci
autobus sostenitori del generale sono stati portati a Washington.
Tra i prigionieri politici anche sette cittadini statunitensi:
l’appello a Trump parte da loro per allargarsi a chi condivide lo stesso
destino. «Diamo 1,5 miliardi ad un autocrate che ha ucciso migliaia di
persone e ne ha imprigionate decine di migliaia», dice l’organizzatore
della protesta #FreedomFirst, Mohamed Soltan, egiziano con passaporto
Usa detenuto per due anni dal Cairo per aver manifestato a Rabaa con i
Fratelli Musulmani.
Ma la Casa bianca lo ripete da giorni: la questione dei
diritti umani sarebbe stata trattata «in privato, in modo discreto»
perché «è il modo più efficace». Si è parlato di business e
anti-islamismo. Domenica al-Sisi ha incontrato Jim Tong Kim, capo della
Banca Mondiale, che nel 2016 ha accordato all’Egitto un prestito di tre
miliardi in cambio di un austerity che sta devastando le classi medie e
basse del paese. «L’Egitto è determinato a continuare il suo programma
di riforme economiche e raggiungere tassi di crescita stabiliti», ha
detto il presidente egiziano a Kim.
Resta garantito anche il pacchetto annuale girato dagli Usa
(1,3 miliardi in aiuti militari e 250 milioni in aiuti economici), ha
confermato un funzionario della Casa bianca prima del meeting. Aiuti
sospesi per 18 mesi da Obama dopo il golpe del luglio 2013, ma
riattivati nel 2015. È quello che al-Sisi cerca a Washington, conferme:
«Stiamo costruendo la nostra capacità militare al livello più alto di
sempre – ha detto Trump al generale – Ordini di aerei, navi, portaerei».
Ma non sono pochi gli analisti secondo cui al-Sisi resterà deluso:
è vero che tra i punti di convergenza ribaditi da Trump c’è la lotta al
terrorismo islamista («Lo combatteremo insieme»), ma il presidente Usa
ha appena inserito nel budget 2018 un taglio consistente degli aiuti ai
paesi alleati (meno 29%, dai 38 miliardi attuali a 27, di cui tre già
destinati a Israele).
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