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16/05/2017

L’Unione Europea si “riforma” da sola. Accentrando poteri

L’asse franco-tedesco prende in mano la barra del timone europeo. Scavallato il rischio di una Francia in mano a qualche “populista” (e il primo turno aveva sancito la sostanziale parità tra reazionari di destra e il fronte delle sinistre), issato Emmanuel Macron all’Eliseo grazie a una legge elettorale che in Italia sarebbe stata dichiarata incostituzionale (ha vinto un movimento che ha preso solo il 24%, e che al secondo turno ha largamente beneficiato dall’avere come contendente una “fascista ripulita”), si procede a tappe forzate per sfruttare al meglio il periodo di “luna di miele” tra popolo gabbato e nuovo presidente.

Ma il gioco non riguarda solo la Francia. L’incontro tra Macron e Angela Merkel ha posto la prima pietra di un percorso di “riforma” dell’Unione Europea che ovviamente non ha nulla a che vedere con i sogni dei “sinistri per l’Europa”. Macron si è presentato a Berlino per seppellire la storica ritrosia francese ad eliminare il proprio “patto sociale” e costituzionale, fatto di libero mercato, settori strategici in mano al “pubblico” e uno stato sociale decisamente su standard elevati.

“La modifica dei trattati era un tabù francese. Per me non lo è” rappresenta qualcosa di più di una semplice rettifica. E’ una svolta radicale. Naturalmente a destra sul piano sociale, ed “europeista” nel senso del pieno accoglimento delle indicazioni che verranno date a livello dell’Unione.

L’unico punto concreto – il resto sono dichiarazioni d’intenti, al momento – riguarda l’idea messa sul piatto dal duo Merkel-Schaeuble: creare un ministro delle finanze europeo, con un proprio budget (grosso modo l’attuale fondo salva-stati, il cosiddetto Esm) e poteri di intervento sulle politiche di bilancio nazionali, per rendere più stringenti le “regole” decise a Bruxelles ma applicate con eccessiva “flessibilità” da un po’ tutti gli Stati. Su questo piano, del resto, la Francia aveva fin qui goduto praticamente dell’impunità totale sforando sistematicamente da anni ogni parametro di Maastricht, a partire dal rapporto deficit-Pil.

Approvato anche il corollario-foglia di fico proposto da Schaeuble: un “controllo” da parte dei parlamentari dell’eurozona, che potranno addirittura dare il loro “parere consultivo” non vincolante. Ossia parole al vento.

Naturalmente quello che è stato preso è solo un accordo politico, con diversi punti di “disomogenità” tra i punti di vista dei due paesi, ma si tratta comunque di un insieme di cambiamenti che presuppongono comunque una revisione di alcuni trattati. Non è stato precisato in sede di conferenza stampa, ma già Schaeuble aveva fatto presente che le modifiche necessarie sono così disive sulla libertà politica dei singoli popoli e stati che ben difficilmente potrebbero passare l’esame di tutti i parlamenti del Vecchio Continente e ancora meno i referendum popolari (in quei paesi che li prevedono).

Sul taglio generale delle politiche economiche che Macron intende mette all’ordine del giorno, comunque, non ci possono essere equivoci. Per un italiano, quando si ascolta una frase come questa – «riformeremo anzi tutto la Francia, non perché ce lo chiede l'Europa, ma perché la Francia ne ha bisogno» – è immediatamente chiaro che i prossimi anni saranno per i francesi soprattutto “lacrime e sangue”.

Sembra tuttavia chiaro – anche alla Merkel, a questo punto – che nessuna “ripresa economica” dell’Unione Europea potrà essere messa in moto senza investimenti pubblici. Le parole forse più chiare sono state spese proprio su questo punto: "Non dobbiamo duplicare il piano di Juncker (che immaginava di attivare grandi investimenti privati partendo da pochi incentivi pubblici, ndr). È molto utile, ma non sono soldi freschi, non dà agevolazioni in sede di bilancio. Quello di cui ha particolarmente bisogno l'eurozona è una politica determinata di investimenti, privati e pubblici. Dobbiamo portare nuovi soldi freschi, per avere mezzi nel bilancio. Questo comporta convergenze, regole, riforme strutturali vere. E questo è l'obiettivo per il quale lavoriamo nel nostro piano". Tra le convergenze, la stessa Merkel ha accennato alla ipotesi di un'armonizzazione del sistema fiscale delle imprese. Oltre, com’era scontato, a questioni più immediate come il diritto d'asilo comune e la “sicurezza”.

Potrebbe sembrare il solito inno alla “libertà di mercato”, ma nelle pieghe delle dichiarazioni si cominciano a notare diversi segnali di chiusura su alcune comparti considerati strategici. La Merkel, per esempio, ha fatto chiare aperture alla proposta avanzata da Macron in tema di “reciprocità” nelle relazioni commerciali con i Paesi extraeuropei per arrivare fino all'idea di “Comprare europeo” nei contratti pubblici, nella difesa degli interessi strategici che diventano obiettivo di investimenti stranieri, fino all'armonizzazione delle imposte sulle imprese.

Un blocco di “rettifiche” che delinea un “protezionismo selettivo” e che recepisce dunque il cambiamento in atto nelle relazioni commerciali globali, indirizzato verso la costruzione di aree continentali o intercontinentali “in competizione” fra loro.

L’Unione Europea – se nessuno la disturba – si “riformerà” da sola, senza il parere di nessuno. Tantomeno di quelli che – qui in basso – dovranno subire le sue decisioni.

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