Dopo l’indecorosa débâcle del Partito socialista francese – e mentre la persistente crisi della socialdemocrazia tedesca minaccia di spalancare un’autostrada alla riconferma della Merkel, e della politica “imperiale” tedesca che pesa sulle spalle degli altri popoli europei – sembrano arrivare segnali in controtendenza dall’Inghilterra e dalla Spagna, anche se non è scontato che si tratti di novità dello stesso segno.
Partiamo dal Regno Unito. Uno sgomento articolo di Luigi Ippolito sul Corriere del 30 maggio – “Corbyn il rosso. La rimonta (im)possibile” – è costretto a prendere atto che il presunto, enorme vantaggio (venti punti percentuali!) che i sondaggi attribuivano fino a poco fa ai conservatori nelle imminenti elezioni anticipate sembra essersi dissolto: allo stato parrebbe ridotto a cinque punti, in ulteriore calo. Se Corbyn – anche senza vincere – dovesse ottenere il 35%, scrive l’autore dell’articolo, l’ala blairiana del partito non potrebbe più chiederne la testa e il baratro fra la base, che sostiene il “vecchio” segretario movimentista, e il gruppo parlamentare, espressione del peggior establishment liblab, si farebbe ancora più profondo.
E se Corbyn dovesse addirittura vincere e “appendere le sue stazzonate giacchette di tweed all’attaccapanni del numero 10 di Downing Street” (notare la vena di disprezzo del giornalista di regime per il parvenu plebeo)? Dopo il sospiro di sollievo che la vittoria di Macron ha fatto tirare ai fan del pensiero unico, l’establishment globale rischia di incassare un’altra botta paragonabile all’elezione di Trump, alla Brexit, e al voto italiano che ha sepolto la “riforma” di Renzi? In verità qui la botta sarebbe ancora più dura. Corbyn è stato infatti tirato fuori dal sottoscala in cui lo aveva relegato il New Labour da un colpo di mano delle sinistre sindacali (restaurando la tradizione, visto che il Labour è nato come braccio politico delle Trade Unions) e, da quando è diventato segretario, è oggetto di feroci, sistematici attacchi da parte del suo gruppo parlamentare, mentre i media ne ridicolizzano le velleità da vecchio socialista che pretende di ri-pubblicizzare i servizi privatizzati, tassare i super ricchi, abolire le tasse universitarie e approvare misure a favore di giovani, donne e anziani. Queste categorie non sembrano però trovare così ridicole e antiquate le sue idee, mentre non si riconoscono in quelle d’un gruppo parlamentare blairiano che non si è mai opposto alle politiche di austerità imposte dai conservatori. Insomma il “rischio” è trovarsi di fronte a un Bernie Sanders in versione inglese, abbastanza forte da condizionare la politica governativa, o addirittura vittorioso.
Qualcosa di simile al “ripescaggio” di Corbyn è avvenuto in Spagna con il ritorno di Pedro Sanchez alla guida del PSOE. Fatto fuori dall’ala destra del partito, che ne aveva imposto le dimissioni perché si rifiutava di sostenere il governo di unità nazionale del conservatore Mariano Rajoy, alleato ai populisti di destra di Ciudadanos, Sanchez è stato rimesso al suo posto dalla rivolta della base. Tuttavia l’equazione politica spagnola è più complessa, perché qui, a egemonizzare l’opposizione alle politiche liberiste è oggi l’alleanza elettorale fra Podemos e Izquierda Unida (Unidos Podemos) con un programma politico ancora più radicale di quello di Corbyn e con un consistente seguito di massa. In passato Sanchez aveva cercato, senza riuscirci, di costringere Podemos a convergere sulle sue posizioni moderate, dopodiché era rimasto isolato e schiacciato nella morsa fra Rajoy e l’ala destra del suo stesso partito.
Quale sarà ora il suo atteggiamento, si chiede Manolo Monereo, deputato di Unidos Podemos, in un articolo sul sito cuartopoder. Si tratta di capire se sarà disponibile a impostare su basi nuove il dialogo con Podemos, radicalizzando le proprie posizioni per andare allo scontro frontale con il governo conservatore, o se insisterà nel perseguire un disegno egemonico nei confronti di una sinistra che ha assunto una configurazione inedita con l’apparizione di nuove forze e movimenti. In ogni caso, per quanto diversi, i due eventi appena esaminati, insieme alla buona affermazione di Jean-Luc Mélenchon nel primo turno delle presidenziali francesi, dimostrano che l’illusione liberale di poter conservare indefinitamente un consenso elettorale schiacciante e un’egemonia politico-culturale incontrastata ha ormai imboccato il viale del tramonto.
Carlo Formenti
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