di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Il corridoio che da Mosul
va verso occidente, attraversa il labile confine siriano e da lì conduce
a Damasco è oggi il cuore della guerra mediorientale. La sconfitta ormai prossima dell’Isis a Mosul (l’esercito iracheno ha liberato quasi l’intera città e combatte ora per gli ultimi 4 chilometri quadrati) e a Raqqa (con le Forze Democratiche Siriane, Sdf, che circondano la “capitale” del califfato su tre lati) lascerà spazio alla resa dei conti regionale.
La stessa che si gioca sui tavoli della diplomazia mediorientale a
cui Trump è stato fatto sedere con ogni onore: l’obiettivo è l’Iran e il
corridoio Teheran-Baghdad-Damasco. Ad apparecchiare il tavolo è il fronte sunnita a cui la nuova amministrazione Usa ha fornito gli armamenti necessari (110 miliardi di dollari in contratti di vendita a Riyadh), mai negati negli anni passati e con cui le petromonarchie hanno fatto prosperare il bubbone jihadista.
Armi ne stanno arrivando anche alle opposizioni siriane di stanza al confine tra Siria e Iraq,
chiamate da Washington a impedire il passaggio, al di qua della
frontiera, delle milizie sciite legate al governo iracheno e a Teheran.
Quelle milizie ieri hanno segnato un punto fondamentale nella guerra a
al-Baghdadi: hanno ripreso la città irachena di Baaj, nel nord ovest del
paese, un’area desertica dove si pensa che il “califfo” si sia nascosto
negli ultimi anni e da cui si accede al valico di al-Qaim.
Le ultime sacche di miliziani islamisti è fuggita nella notte tra
sabato e domenica, permettendo l’ingresso degli sciiti che hanno issato
la bandiera irachena. Una vittoria dall’immenso valore simbolico. A
coprire l’avanzata delle Unità di mobilitazione popolare (Pmu) è stata
l’aviazione irachena, dunque un’alleata ufficiale degli Usa. Ennesima
contraddizione.
E il corridoio diventa esplosivo. Lì ad operare sono in tanti: c’è la Turchia
che vuole creare una zona cuscinetto che corra dal nord dell’Iraq al
nord della Siria, ripulita dalla presenza del Pkk; c’è, appunto, il Partito Kurdo dei Lavoratori che ha liberato la yazidi Sinjar e ora mantiene le posizioni; c’è il Kurdistan iracheno del presidente Barzani, alleato di Ankara, che il mese scorso ha inviato i peshmerga ad attaccare le unità del Pkk; e c’è l’Iran che punta a valicare la frontiera a sostegno del presidente siriano Assad.
Non è certo un caso che gli ultimi interventi aerei Usa si
siano registrati nella zona di Badia, estremo confine orientale siriano,
dove sono presenti 3mila uomini di Hezbollah e dove le milizie sciite
irachene mirano a infilarsi. Il 18 maggio un raid statunitense
ha colpito postazioni sciite a Badia, primo di una serie di avvertimenti
a Damasco perché ritiri da lì i propri alleati.
Contrarie all’intervento sciita iracheno sono anche le Sdf:
«Respingeremo qualsiasi tentativo delle milizie sciite irachene di
entrare nei territori controllati dalle nostre forze e non permetteremo a
nessuno di entrare in Siria», il commento del portavoce delle Sdf,
Talal Salu.
Baghdad abbozza: ieri il premier al-Abadi ha detto che le
forze alleate dell’esercito non interverranno fuori dei confini
nazionali, né intendono minare la sicurezza di altri paesi. Conferma Abu
Mahdi al Muhandis, vice comandante delle Pmu, figura legata a
doppio filo a Teheran, lo stesso che ieri ha annunciato la liberazione
di Baaj: lasceremo – ha detto – i compiti di sicurezza nell’area di
confine alla polizia irachena. Il portavoce delle Pmu, Ahmad al-Asadi,
ha aggiunto: «La partecipazione di qualsiasi forza armata irachena al di
fuori dei confini richiede un voto del parlamento».
A Baghdad si getta acqua sul fuoco. Ma il fronte sunnita ci lancia su benzina: c’è da sfruttare i pruriti bellici di Trump.
Mandando nuove armi ai miliziani sul campo; fingendo di combattere le
metastasi jihadiste chirurgicamente create e che ad oggi hanno come solo
reale argine kurdi e milizie sciite; puntando il dito sull’asse sciita
quando il mondo intero subisce gli effetti di una rete islamista
transnazionale foraggiata per anni da Stati Uniti e Riyadh.
Le conseguenze arriveranno a breve: un rinnovato conflitto sui campi
siriano e iracheno, Stati fatti fallire, con milioni di sfollati e
società devastate dalle divisioni settarie.
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