Nell’intervista rilasciata a La Stampa lo aveva solo accennato, ma dopo l’incontro al Pentagono con il collega americano James Mattis, la ministra della Difesa Roberta Pinotti ha fatto sapere che non solo “l’Italia aiuterà la stabilizzazione di Mosul, addestrando le milizie che hanno liberato la città per inquadrarle in forze regolari” ma che “è pronta a fare lo stesso a Raqqa, in Siria, quando la capitale del Califfato sarà caduta”.
Come è noto il governo italiano ha già inviato 600 militari a Mosul, ufficialmente per proteggere i lavori alla diga affidati ad una azienda italiana. “Noi finora abbiamo scelto di essere in Iraq perché c’è una risoluzione Onu e una richiesta del governo legittimo”. Ma la vera e inquietante novità – con parecchi problemi che si andrebbero ad aprire – è il possibile invio di militari italiani anche in Siria. “In Siria il mandato Onu di sconfiggere il terrorismo esiste, ma la situazione politica è confusa, non tutti considerano il governo legittimo, e l’autorità locale non è riconosciuta. Questi paletti noi li manterremo” ha detto la Pinotti, precisando che “per allargare la nostra azione a Raqqa bisognerà vedere se si chiarisce la questione politica in Siria, quali truppe addestrare, e su che base. Nell’ambito di una possibile chiarificazione delle condizioni, le forze in campo, e il percorso politico, potremmo valutare un contributo”.
Nell’incontro con il segretario alla Difesa Usa Mattis, “Abbiamo analizzato tutti gli scenari – ha proseguito la ministra – La crisi del Golfo, l’Arabia Saudita, il Qatar, la questione Corea del Nord. Quindi Afghanistan, Iraq, Libia e Siria. Un ragionamento a 360 gradi”.
Da questo elenco ovviamente manca lo Yemen dove l’Arabia Saudita sta bombardando pesantemente con le armi imbarcate e spedite proprio dall’Italia (dal porto di Domusnovas, in Sardegna, ndr).
La disponibilità del governo italiano a inviare militari anche in Siria (oltre a quelli in Afghanistan, Iraq, Libia, Libano, Kosovo), ripropone la questione delle missioni militari all’estero, non solo costose ma con regole di ingaggio e accordi internazionali sempre più risibili e discutibili. Una pagina che andrebbe chiusa al più presto dal Parlamento.
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