di Michele Paris
Il primo faccia a faccia in assoluto tra Donald Trump e Vladimir
Putin, avvenuto venerdì a margine del G20 di Amburgo, ha rinvigorito
negli Stati Uniti la campagna anti-russa condotta dai principali media e
da esponenti politici democratici e repubblicani. L’incontro tra i due
presidenti è stato infatti seguito da una lunga serie di dichiarazioni
tra il preoccupato e il minaccioso, ma tutte riconducibili allo sforzo
di una parte significativa della classe dirigente d’oltreoceano per
bloccare sul nascere la possibile collaborazione tra Mosca e Washington
su alcuni dei più delicati scenari di crisi internazionale.
Con un tempismo attentamente studiato, nel fine settimana il New York Times
ha ricordato i guai di Trump sul fronte delle relazioni con la Russia,
proponendo una nuova escalation delle pressioni sulla Casa Bianca. Il
giornale, in prima linea assieme al Washington Post nella
battaglia contro l’amministrazione repubblicana, ha pubblicato una
rivelazione che, secondo gli autori, aggiungerebbe elementi concreti
all’accusa di collusione tra il clan del presidente e ambienti
governativi russi.
In realtà, il contenuto della più recente “esclusiva” del Times non
mantiene come al solito nulla di quanto promesso dai titoli
sensazionalistici o dalle osservazioni degli autori. La presunta
importanza dell’articolo consisterebbe nell’individuazione per la prima
volta di una qualche prova della disponibilità che avevano manifestato
uomini vicini a Trump di ricevere “aiuto” dalla Russia per influenzare
l’esito delle elezioni presidenziali del novembre 2016.
Il figlio
dell’attuale presidente, Donald Trump jr., nel giugno dello scorso anno
aveva cioè incontrato in un ufficio della Trump Tower a New York
l’avvocatessa russa Natalia Veselnitskaya dopo che quest’ultima aveva fatto
intendere di avere informazioni su possibili legami finanziari tra
Hillary Clinton e oligarchi russi, utili presumibilmente a danneggiare
politicamente la candidata democratica alla Casa Bianca.
All’incontro
avevano partecipato anche il cognato e ora consigliere di Trump, Jared
Kushner, e l’allora numero uno della sua campagna elettorale, Paul
Manafort. Entrambi, però, sembra avessero abbandonato dopo appena dieci
minuti la stanza dove era in corso la riunione visto lo scarso interesse
delle informazioni riferite dall’avvocatessa.
Tra i clienti di Natalia Veselnitskaya ci sarebbero aziende pubbliche russe e, secondo il New York Times,
anche “il figlio di un membro del governo” di Mosca. La sua reale
intenzione sarebbe stata quella di presentare alla possibile prossima
amministrazione americana il suo disappunto, e quello delle persone da
lei rappresentate, per la cosiddetta legge Magnitsky, approvata nel 2012
dopo la morte in carcere dell’avvocato russo con lo stesso nome che
aveva accusato di corruzione alcuni politici e uomini d’affari del suo
paese.
La legge impone sanzioni su cittadini russi sospettati di
avere violato i diritti umani e si era concretizzata in uno stop alle
adozioni di bambini russi negli Stati Uniti. Sulla Clinton, in
definitiva, non vi era nulla di cui discutere tra Natalia Veselnitskaya e
gli uomini dell’entourage di Trump, ma la sola rivelazione
dell’incontro di tredici mesi fa è stata sufficiente ad alzare
l’ennesimo polverone sui legami tra la Casa Bianca e il Cremlino poche
ore dopo il faccia a faccia tra il presidente americano e Vladimir
Putin.
La nuova offensiva del New York Times
conferma dunque il sospetto che vi sia un piano studiato a tavolino,
secondo il quale ogni mossa della Casa Bianca per intraprendere un
percorso di distensione con Mosca viene accolta con una “rivelazione”
che dimostrerebbe le collusioni tra Trump e il governo russo o
l’intervento di quest’ultimo nel processo elettorale americano.
Dietro
a queste manovre ci sono sezioni dell’apparato governativo, militare e
dell’intelligence, intenzionate in tutti i modi a impedire qualsiasi
deviazione strategica dalla linea ferocemente anti-russa tenuta
dall’amministrazione Obama. A conferma di ciò vi è il fatto che, come di
consueto, la storia pubblicata dal New York Times non è frutto di
un’indagine dei suoi reporter, ma scaturisce da un’imbeccata di fonti
anonime all’interno del governo e propagandata come verità assoluta.
Nello
specifico, la notizia è giunta al giornale newyorchese da non meglio
identificati individui che hanno avuto accesso ai documenti messi a
disposizione da Jared Kushner nell’ambito della sua nomina a consigliere
della Casa Bianca e nei quali elencava appunto i suoi incontri con
cittadini stranieri.
Com’è accaduto puntualmente a partire da domenica, la notizia pubblicata dal Times ha
fornito l’occasione ai rivali di Trump per andare di nuovo all’attacco
sul fronte dei rapporti della nuova amministrazione con Mosca.
L’asprezza dei commenti e degli avvertimenti è stata ancora più evidente
a causa del clima amichevole che ha caratterizzato il vertice tra Putin
e Trump ad Amburgo.
I “tweet” del presidente e i resoconti del
faccia a faccia proposti dal segretario di Stato Rex Tillerson,
anch’egli presente all’incontro, e di quello del Tesoro Steven Mnuchin,
sono stati accolti da molti a Washington con reazioni al limite
dell’isteria. Tutto ciò nonostante lo stesso Trump avesse cercato di
venire incontro ai suoi critici esprimendosi in toni relativamente
anti-russi nel discorso dai toni fascistoidi tenuto il giorno prima a
Varsavia e assicurando di avere fatto pressioni su Putin in relazione
alle interferenze nelle elezioni dell’anno scorso.
Gli attacchi a
Trump hanno preso di mira in particolare l’annuncio del raggiunto
accordo con Mosca per un cessate il fuoco in alcune aree della Siria e
la proposta, presentata a Putin, di creare un’unità congiunta
russo-americana nell’ambito della cybersicurezza. Su quest’ultima
ipotesi, lo stesso Trump ha fatto subito marcia indietro, vista la
derisione che essa ha suscitato tra molti esponenti democratici e
repubblicani che continuano ad accusare Mosca di utilizzare i propri
hacker per interferire nelle vicende interne americane.
In
generale, ciò che ha ridato impulso alle pulsioni “neo-maccartiste”
della classe dirigente USA, sono state le conclusioni tratte da Trump
dopo il vertice con Putin e, in sostanza, la decisione di mettere da
parte gli scontri e i disaccordi del recente passato per provare a
instaurare finalmente un rapporto “costruttivo” con Mosca.
Malgrado
le aspettative di quanti sperano in un allentamento delle tensioni
internazionali, a cominciare da una de-escalation della guerra in Siria,
in seguito al clima positivo che ha segnato il primo incontro di
persona tra Putin e Trump, tutte le indicazioni emerse solo poche ore
più tardi fanno intravedere piuttosto un inasprimento del conflitto
interno all’establishment di Washington che non potrà non riflettersi
negativamente sui rapporti russo-americani.
Le forze che stanno
dietro alla campagna anti-russa, che cerca di far desistere in tutti i
modi l’amministrazione Trump dai suoi propositi di distensione con
Mosca, non saranno infatti disposte ad accettare passivamente un
riallineamento strategico che escluda il confronto con la Russia,
considerata l’ostacolo principale al dispiegamento degli interessi USA
in alcune aree cruciali del pianeta.
A ricordare il grado di
ostilità che continuerà a incontrare l’atteggiamento anche solo
moderatamente filo-russo di Trump è stato, tra gli altri, sempre il New York Times.
Poco dopo l’apertura di un pezzo dedicato all’incontro con Putin, il
principale giornale “liberal” americano ha smontato le speranze del
presidente per un possibile allentamento della campagna nei suoi
confronti, invitandolo a fare i conti con una realtà nella quale le
iniziative come quella di venerdì ad Amburgo finiscono per “sollevare
più dubbi di quanti ne possano fugare”.
Ancora
più esplicito è stato infine un compagno di partito del presidente,
l’influente senatore della South Carolina, Lindsey Graham. In
un’intervista alla NBC, quest’ultimo ha definito “disastroso”
il faccia a faccia con Putin, per poi attaccare il comportamento di
Trump che, a suo dire, “sconfessa la comunità dell’intelligence” e
solleva Putin dalle sue responsabilità.
Secondo Graham, se Trump
dovesse continuare in questo modo, ci potrebbero essere conseguenze per
la sua amministrazione. Se cioè la Casa Bianca non dimostrerà di voler
cambiare rotta e riallinearsi alle priorità strategiche anti-russe, la
campagna di discredito contro l’attuale presidenza non potrà che
intensificarsi nel prossimo futuro.
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