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11/07/2017

Usa, il nuovo fronte del “Russiagate”

di Michele Paris

Il primo faccia a faccia in assoluto tra Donald Trump e Vladimir Putin, avvenuto venerdì a margine del G20 di Amburgo, ha rinvigorito negli Stati Uniti la campagna anti-russa condotta dai principali media e da esponenti politici democratici e repubblicani. L’incontro tra i due presidenti è stato infatti seguito da una lunga serie di dichiarazioni tra il preoccupato e il minaccioso, ma tutte riconducibili allo sforzo di una parte significativa della classe dirigente d’oltreoceano per bloccare sul nascere la possibile collaborazione tra Mosca e Washington su alcuni dei più delicati scenari di crisi internazionale.

Con un tempismo attentamente studiato, nel fine settimana il New York Times ha ricordato i guai di Trump sul fronte delle relazioni con la Russia, proponendo una nuova escalation delle pressioni sulla Casa Bianca. Il giornale, in prima linea assieme al Washington Post nella battaglia contro l’amministrazione repubblicana, ha pubblicato una rivelazione che, secondo gli autori, aggiungerebbe elementi concreti all’accusa di collusione tra il clan del presidente e ambienti governativi russi.

In realtà, il contenuto della più recente “esclusiva” del Times non mantiene come al solito nulla di quanto promesso dai titoli sensazionalistici o dalle osservazioni degli autori. La presunta importanza dell’articolo consisterebbe nell’individuazione per la prima volta di una qualche prova della disponibilità che avevano manifestato uomini vicini a Trump di ricevere “aiuto” dalla Russia per influenzare l’esito delle elezioni presidenziali del novembre 2016.

Il figlio dell’attuale presidente, Donald Trump jr., nel giugno dello scorso anno aveva cioè incontrato in un ufficio della Trump Tower a New York l’avvocatessa russa Natalia Veselnitskaya dopo che quest’ultima aveva fatto intendere di avere informazioni su possibili legami finanziari tra Hillary Clinton e oligarchi russi, utili presumibilmente a danneggiare politicamente la candidata democratica alla Casa Bianca.

All’incontro avevano partecipato anche il cognato e ora consigliere di Trump, Jared Kushner, e l’allora numero uno della sua campagna elettorale, Paul Manafort. Entrambi, però, sembra avessero abbandonato dopo appena dieci minuti la stanza dove era in corso la riunione visto lo scarso interesse delle informazioni riferite dall’avvocatessa.

Tra i clienti di Natalia Veselnitskaya ci sarebbero aziende pubbliche russe e, secondo il New York Times, anche “il figlio di un membro del governo” di Mosca. La sua reale intenzione sarebbe stata quella di presentare alla possibile prossima amministrazione americana il suo disappunto, e quello delle persone da lei rappresentate, per la cosiddetta legge Magnitsky, approvata nel 2012 dopo la morte in carcere dell’avvocato russo con lo stesso nome che aveva accusato di corruzione alcuni politici e uomini d’affari del suo paese.

La legge impone sanzioni su cittadini russi sospettati di avere violato i diritti umani e si era concretizzata in uno stop alle adozioni di bambini russi negli Stati Uniti. Sulla Clinton, in definitiva, non vi era nulla di cui discutere tra Natalia Veselnitskaya e gli uomini dell’entourage di Trump, ma la sola rivelazione dell’incontro di tredici mesi fa è stata sufficiente ad alzare l’ennesimo polverone sui legami tra la Casa Bianca e il Cremlino poche ore dopo il faccia a faccia tra il presidente americano e Vladimir Putin.

La nuova offensiva del New York Times conferma dunque il sospetto che vi sia un piano studiato a tavolino, secondo il quale ogni mossa della Casa Bianca per intraprendere un percorso di distensione con Mosca viene accolta con una “rivelazione” che dimostrerebbe le collusioni tra Trump e il governo russo o l’intervento di quest’ultimo nel processo elettorale americano.

Dietro a queste manovre ci sono sezioni dell’apparato governativo, militare e dell’intelligence, intenzionate in tutti i modi a impedire qualsiasi deviazione strategica dalla linea ferocemente anti-russa tenuta dall’amministrazione Obama. A conferma di ciò vi è il fatto che, come di consueto, la storia pubblicata dal New York Times non è frutto di un’indagine dei suoi reporter, ma scaturisce da un’imbeccata di fonti anonime all’interno del governo e propagandata come verità assoluta.

Nello specifico, la notizia è giunta al giornale newyorchese da non meglio identificati individui che hanno avuto accesso ai documenti messi a disposizione da Jared Kushner nell’ambito della sua nomina a consigliere della Casa Bianca e nei quali elencava appunto i suoi incontri con cittadini stranieri.

Com’è accaduto puntualmente a partire da domenica, la notizia pubblicata dal Times ha fornito l’occasione ai rivali di Trump per andare di nuovo all’attacco sul fronte dei rapporti della nuova amministrazione con Mosca. L’asprezza dei commenti e degli avvertimenti è stata ancora più evidente a causa del clima amichevole che ha caratterizzato il vertice tra Putin e Trump ad Amburgo.

I “tweet” del presidente e i resoconti del faccia a faccia proposti dal segretario di Stato Rex Tillerson, anch’egli presente all’incontro, e di quello del Tesoro Steven Mnuchin, sono stati accolti da molti a Washington con reazioni al limite dell’isteria. Tutto ciò nonostante lo stesso Trump avesse cercato di venire incontro ai suoi critici esprimendosi in toni relativamente anti-russi nel discorso dai toni fascistoidi tenuto il giorno prima a Varsavia e assicurando di avere fatto pressioni su Putin in relazione alle interferenze nelle elezioni dell’anno scorso.

Gli attacchi a Trump hanno preso di mira in particolare l’annuncio del raggiunto accordo con Mosca per un cessate il fuoco in alcune aree della Siria e la proposta, presentata a Putin, di creare un’unità congiunta russo-americana nell’ambito della cybersicurezza. Su quest’ultima ipotesi, lo stesso Trump ha fatto subito marcia indietro, vista la derisione che essa ha suscitato tra molti esponenti democratici e repubblicani che continuano ad accusare Mosca di utilizzare i propri hacker per interferire nelle vicende interne americane.

In generale, ciò che ha ridato impulso alle pulsioni “neo-maccartiste” della classe dirigente USA, sono state le conclusioni tratte da Trump dopo il vertice con Putin e, in sostanza, la decisione di mettere da parte gli scontri e i disaccordi del recente passato per provare a instaurare finalmente un rapporto “costruttivo” con Mosca.

Malgrado le aspettative di quanti sperano in un allentamento delle tensioni internazionali, a cominciare da una de-escalation della guerra in Siria, in seguito al clima positivo che ha segnato il primo incontro di persona tra Putin e Trump, tutte le indicazioni emerse solo poche ore più tardi fanno intravedere piuttosto un inasprimento del conflitto interno all’establishment di Washington che non potrà non riflettersi negativamente sui rapporti russo-americani.

Le forze che stanno dietro alla campagna anti-russa, che cerca di far desistere in tutti i modi l’amministrazione Trump dai suoi propositi di distensione con Mosca, non saranno infatti disposte ad accettare passivamente un riallineamento strategico che escluda il confronto con la Russia, considerata l’ostacolo principale al dispiegamento degli interessi USA in alcune aree cruciali del pianeta.

A ricordare il grado di ostilità che continuerà a incontrare l’atteggiamento anche solo moderatamente filo-russo di Trump è stato, tra gli altri, sempre il New York Times. Poco dopo l’apertura di un pezzo dedicato all’incontro con Putin, il principale giornale “liberal” americano ha smontato le speranze del presidente per un possibile allentamento della campagna nei suoi confronti, invitandolo a fare i conti con una realtà nella quale le iniziative come quella di venerdì ad Amburgo finiscono per “sollevare più dubbi di quanti ne possano fugare”.

Ancora più esplicito è stato infine un compagno di partito del presidente, l’influente senatore della South Carolina, Lindsey Graham. In un’intervista alla NBC, quest’ultimo ha definito “disastroso” il faccia a faccia con Putin, per poi attaccare il comportamento di Trump che, a suo dire, “sconfessa la comunità dell’intelligence” e solleva Putin dalle sue responsabilità.

Secondo Graham, se Trump dovesse continuare in questo modo, ci potrebbero essere conseguenze per la sua amministrazione. Se cioè la Casa Bianca non dimostrerà di voler cambiare rotta e riallinearsi alle priorità strategiche anti-russe, la campagna di discredito contro l’attuale presidenza non potrà che intensificarsi nel prossimo futuro.

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