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04/06/2018

Egitto - Gentrificazione lungo il Nilo

di Chiara Cruciati

Alla fine l’ordine è arrivato: ieri in Gazzetta Ufficiale il primo ministro egiziano Ismail ha fatto pubblicare un decreto che autorizza la Nuca, la New Urban Communities Authority, a costruire una nuova comunità sull’isola Warraq, sul Nilo. Un’isola (la più grande del fiume, casa di 60mila persone) intorno alla quale il governo del Cairo ha messo gli occhi da tempo, attraverso demolizioni di case e confische di terre, provocando lo scorso anno le dure proteste degli abitanti.

Come successo in passato, il decreto – che riconosce alla Nuca pieni poteri sull’isola – mantiene un clima di mistero e dunque preoccupazione: una mappa indica le coordinate della nuova comunità, come riporta l’agenzia indipendente Mada Masr, che va ad occupare quasi l’intera area dell’isola. Ma non dà dettagli sul futuro di chi in quell’isola ci vive, egiziani poveri costretti in baracche e case costruite a mano, pochi servizi, una rete fognaria scadente, nessuna clinica.

Tutto era cominciato un anno fa con un discorso pubblico del presidente al-Sisi: “Non menzionerò il nome dell’isola, ma uno slum ha cominciato a crescerci dentro e la gente costruisce illegalmente. Se ci sono 50mila case, dove vanno i loro rifiuti? Nel Nilo da dove noi beviamo? Affrontare quella questione è una priorità”. Il presidente faceva riferimento a una legge del 1988 che regola lo sviluppo urbanistico lungo il Nilo: le sue rive sono quasi del tutto occupate da costruzioni, solo 27 km su 99 sono tuttora liberi. Ma buona parte dei chilometri costruiti non sono occupati da case private, ma da ministeri ed edifici governativi e amministrativi.

Meno di un mese dopo la polizia si era attivata: poliziotti e funzionari pubblici si erano presentati a Warraq con in mano 700 ordini di demolizione, di cui solo tre sono state portate a termine. Immediata la protesta dei residenti, già marginalizzati e dimenticati dallo Stato. Il bilancio degli scontri fu di un morto (il giovane Sayed Ali al-Gizawy), 19 feriti tra gli abitanti e 37 tra i poliziotti e decine di arresti. Nelle settimane successive le proteste sono continuate, con marce ogni venerdì, al grido “Contro lo sfollamento” e “L’isola non si vende”.

Ne è seguita la nascita di un comitato locale, formato dalle famiglie di Warraq, a difesa dell’isola e dei propri diritti, per dire al resto del paese che non esisteva alcuna opposizione allo sviluppo ma ne esisteva uno contro lo sfratto. Chiedevano tre cose: risarcimento alla famiglia del giovane ucciso, la legalizzazione della posizione degli abitanti e la pubblicazione dei piani governativi. In alcuni incontri con l’Afea, l’Autorità ingegneristica delle Forze Armate – che in Egitto gode dei migliori appalti nazionali a rafforzare il potere economico dell’esercito – i funzionari avevano rassicurato i residenti parlando di demolizioni solo di edifici illegali e di compensazioni post-demolizioni e il trasferimento in una zona residenziale, secondo Mada Masr mai specificata: “Tutti gli edifici sulle rive dei canali d’acqua vanno rimossi – aveva aggiunto al-Sisi – Si, ci sono residenti. Dovremo trovare una soluzione per loro, ma devono essere rimossi”.

Al contrario il quotidiano egiziano al-Masry al-Youm, citando fonti anonime, aveva rivelato l’intenzione di al-Sisi di fare dell’isola un centro economico, mentre il giornale al-Shorouk aveva pubblicato i dettagli del piano di Nuca, ovvero trasformare l’isola in un hub turistico e culturale ribattezzato Horus, “un’isola verde, sostenibile e contemporanea” con hotel, parchi, resort. Libera, dunque, da quelli che il premier Ismail ha definito squatter, occupanti illegali, ricevendo la risposta a stretto giro degli abitanti che intendono provare – documenti alla mano – la proprietà della terra: alcuni l’hanno acquisita con l’equivalente locale dell’usufrutto, altri l’hanno registrata per successione.


 
È qui che nel tempo si sono trasferiti i migranti interni, gli egiziani provenienti dalle zone rurali del paese, a Warraq come in altre isole del Nilo, zone informali rispetto a quelle più strutturate del resto della capitale. Con il tempo, però, la presenza di 60mila persone ha portato alla nascita dei primi servizi: tre scuole, una stazione di polizia, un impianto idrico, tutti elementi che secondo i residenti rappresentano la legittimazione governativa dell’insediamento.

Egiziani poveri, contadini, operai, che non intendono andarsene perché non hanno altro luogo dove andare e che ora sono finiti in mezzo alle mire di sviluppo governative, le stesse che hanno spinto Il Cairo ad aderire con entusiasmo alla costruzione della new city Neom, in Arabia Saudita, Giordania ed Egitto e a lanciare la creazione di New Cairo, un’appendice di lusso della capitale a ovest dell’attuale. Il tutto mentre il paese è soffocato da una dura crisi economica, aggravata dalle politiche di austerity imposte dall’Fmi e che solo ieri si sono tradotte nell’incremento di oltre il 40% delle tasse per l’acqua.

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