Se è vero che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, per una volta Salvini si trova dalla parte dei naufraghi. Aveva detto testualmente: “non cambiamo di una virgola una manovra economica che porterà l’Italia a crescere”, ostentando tracotanza nei confronti delle richieste della Commissione Europea di ridurre il deficit al di sotto del 2,4% del PIL. Dietro a quelle cifre si muovono miliardi di euro, pensati per realizzare alcune delle misure promesse in campagna elettorale. Poi è arrivata la bacchettata di Bruxelles, qualche linea di spread, e come per incanto il bullo si è trasformato in un pacato mediatore: “non è un problema di decimali” (che sarebbero proprio i numeri che vengono dopo la virgola!), quindi via libera alla riduzione del deficit al di sotto del 2,4%. Ce lo chiede l’Europa, e il Governo non ha nessuna voglia di disobbedire.
Dietro la questione si celano due punti chiave, uno di natura prettamente economica e uno di natura più smaccatamente politica. Partiamo col primo.
Dentro la costrizione della gabbia europea, creata ed implementata con una visione mirante in maniera esplicita a limitare il più possibile l’intervento pubblico, i ‘numerini’ sono tutt’altro che piccoli dettagli. Anche immaginando, per quanto difficile, che il governo possa realizzare un deficit pari al 2,4%, sappiamo già che questo significherebbe in ogni caso ulteriore austerità. Ora, partendo da un quadro del genere, ogni piccolo decimale in meno significa ancora più austerità. In fondo, ci dice il Governo, tra un 2,4% e un 2,2% che differenza c’è? Esattamente la differenza di quei miliardi che mancherebbero per le misure come ‘quota 100’ e reddito di cittadinanza.
Oltre al danno, la beffa: le misure proposte sono già di pessima fattura, e verrebbero attuate in maniera monca dentro una cornice più austera di quella inizialmente prospettata. Un disastro.
Prendiamo ad esempio una delle principali misure previste nel contratto di governo, quella ‘quota 100’ che avrebbe portato al superamento dell’odiata Riforma Fornero, criticata due anni fa persino da Tito Boeri. Trattandosi di una riforma delle pensioni, ‘quota 100’ avrebbe dovuto richiedere un ammontare di risorse crescente negli anni: il denaro per quelli che ne usufruiscono a partire dal 2019, poi il denaro per le loro pensioni nel 2020 assieme al denaro per quelli che sarebbero andati in pensione solo nel 2020, e così via. Tuttavia, come le agenzie di rating notarono immediatamente ed è in questi giorni ribadito, fin dalla prima bozza del DEF le risorse per ‘quota 100’ risultavano costanti negli anni: quanto appena sufficiente per pagare le pensioni a quei pochi fortunati capaci di approfittare della finestra di prepensionamento che si sarebbe aperta nel 2019 e nulla per i prepensionamenti degli anni successivi. Persino quelle briciole saranno contingentate: se mai sarà realizzata, ‘quota 100’ sarà finanziata solo per una parte del 2019, con sensibili penalizzazioni implicite nel metodo di calcolo del sistema contributivo e senza alcuna risorsa aggiuntiva per gli anni a venire.
Insomma, nessun reale superamento della Fornero ma una misura una tantum, giusto in tempo per consolidare alle europee il successo elettorale dello scorso marzo. Il treno del cambiamento si è schiantato contro la scarsità di risorse imposta dall’Europa in un copione noto e arcinoto.
Passando alle radici politiche di tali scelte, la capitolazione dei giallo-verdi davanti alla linea dell’austerità altro non è che il risultato della totale assenza di una volontà politica di rottura di questa Europa. Tale volontà può scaturire solamente dalla piena consapevolezza che una società migliore è incompatibile con la camicia di forza dei vincoli europei. Nonostante i proclami e i toni a volte rissosi, questo Governo – nato sotto il segno dell’austerità, prostrato davanti al pensiero unico europeista e già impegnato nell’elaborazione dell’ennesima manovra lacrime e sangue – ha scelto fin dalla sua gestazione la piena compatibilità con il paradigma rappresentato da quei vincoli, come confermato dalla immediata messa in disparte di qualsiasi accenno ad un ‘piano B’.
Quest’ultima abiura perciò non ci stupisce affatto, perché perfettamente coerente con la natura conservatrice delle forze politiche oggi al comando. Tuttavia, il consenso di cui gode l’attuale maggioranza riposa sulla voglia di riscatto di un intero Paese. Da Nord a Sud, dal lavoratore anziano che anela alla pensione al giovane disoccupato che sogna un reddito dignitoso, il sogno giallo-verde sta per tramutarsi nell’incubo di una nuova stagione di sacrifici perché, come al solito, non ci sono i soldi. Sapremo rispondere alla delusione che accompagnerà il risveglio solo se riusciremo ad accumulare forze intorno all’opzione di rottura dell’equilibrio europeo, senza farci abbindolare da improbabili difese dello status quo.
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