La crisi tedesca non sembra più di tanto interessare i media mainstream nel nostro Paese, forse perché pone delle questioni che mettono in discussione le narrazioni dominanti sulla costruzione dell’Unione Europea e le sue sorti.
Mettiamo subito in chiaro che si tratta di una crisi sistemica, che produce una congiuntura economica negativa così come uno stravolgimento del quadro della rappresentanza politica come conseguenze di un modello complessivo che anche acuti osservatori dell’establishment tedesco vorrebbero mettere in soffitta, almeno per alcuni aspetti – o meglio “dogmi” – come l’equilibrio di bilancio (che ha penalizzato le spese per l’istruzione e le infrastrutture) o il non-intervento pubblico nell’economia in termini di investimenti.
È stato addirittura un conservatore della CDU a proporre una “strategia industriale nazionale” che abbia come orizzonte il 2030, in linea con una delle priorità franco-tedesche dell’Europa carolingia.
Sostiene Peter Almair: “Affinché la Germania e l’Europa restino competitive, lo stato deve sostenere la formazione di campioni dotati di una taglia critica sufficiente per affrontare i gruppi cinesi e americani, e proteggere le tecnologie strategiche dagli acquisti ostili”.
Allo stesso tempo questo “passaggio di fase”, dominato da una sempre più accesa competizione inter-imperialistica che ha precisi riflessi militari, impone alla Germania un salto di qualità in grado di farla diventare da global player economico e primattore politico – anche se in crisi – a co-attore della proiezione di potenza dell’Unione. Già oggi il budget della difesa, Ministero a cui è stata destinata la “delfina” di Angela Merkel – Annegret Kramp-Karenbauer – ammonta a 40 miliardi di Euro, e colei che l’ha preceduta – Ursula Von Der Leyen – ora a capo della Commissione della UE, l’ha aumentato nel corso del suo incarico del 40%, per altro finanziando ben remunerati consulenti esterni, per un ammontare “sospetto” di 200 milioni di Euro, che saranno verificati da una apposita commissione d’inchiesta del Bundestag (la “camera bassa” del parlamento tedesco).
Iniziamo da un dato: la crescita economica tedesca
L'aspettativa di crescita per la primavera di quest’anno si è ulteriormente ridotta attestandosi attorno allo 0,5%, rispetto a una stima dello scorso ottobre che la attestava all’1,8%!
Una economia votata alle esportazioni che ha integrato “verticalmente” un ampia filiera produttiva ad Est ed a Sud, all’interno di una catena del valore che la vede come pivot, non può che trascinare con sé nella declino coloro a cui è legata, tra cui l’Italia. Ma la vocazione esportatrice della Germania si è legata ad una “deflazione salariale” imposta a tutto il continente, con il risultato di comprimere i consumi non solo all’interno dei propri perimetri (in questo caso i confini tedeschi) ma appunto a tutta l’Unione.
La Germania non solo non ha “sanato” il divario est-ovest in questi anni, ma ha aumentato la polarizzazione sociale al suo interno, non solo lungo l’asse dei “vecchi” e “nuovi” Land ma nell’ovest stesso, aumentando la frammentazione territoriale nella distribuzione della ricchezza.
Soffermiamoci su questo dato: la frattura est-ovest, anche tenendo conto del fatto che tra settembre ed ottobre si svolgeranno le elezioni in tre Land dell’ex Germania orientale rispettivamente in Sassonia e nel Brandeburgo il primo di settembre e il 27 ottobre in Turingia.
Se i risultati dovessero confermare i trend elettorali delle elezioni parlamentari del settembre del 2017 e di quelle europee di questo maggio, la barcollante “Grosse Koalition” entrerebbe definitivamente in crisi, proprio alla vigilia del 30° anniversario della “caduta del muro” il 9 novembre.
Uno spettro sembra impensierire non poco gli eredi degli architetti dell’unificazione, la coscienza dei cittadini orientali rispetto all’operato della Treuhand – l’agenzia chiamata a “privatizzare” l’economia della Germania Orientale – che dal 1990 al 1994 (prima sotto presidenza socialdemocratica poi democratico-cristiana) ha distrutto la RDT.
A metà aprile, Dietmar Baertsch, capogruppo di “Die Linke” alla Bundestag ed eletto nella regione orientale del Meclemburgo, ha chiesto la costituzione di una commissione di inchiesta parlamentare proprio su questa agenzia, appoggiato dall’incaricato per partito di estrema-destra AFD delle questioni legate all’est Jürgen Pohl, eletto in Turingia, consapevole di quanto sia sentita la questione tra le file dell’elettorato popolare che queste due formazioni si contendono.
Nel 2016 il Delegato del Governo Federale per l’Est del Paese (in tedesco: Ostbeauftragte), ha incaricato due ricercatori della regione della Ruhr-Bochum di condurre una indagine, resa pubblica l’anno successivo e che arriva nelle sue 140 pagine a conclusioni lapidarie sul “mito fondatore negativo” dell’agenzia, vista come “simbolo centrale e negativo della presa in mano dell’est da parte dell’ovest”.
Una percezione alterata della realtà?
In quattro anni di vita la Treuhand ha privatizzato circa 13.000 aziende, per un totale di 45 miliardi di marchi, riuscendo a “conservare” solo 1,5 milioni di posti di lavoro sui 4 milioni che queste imprese davano precedentemente ai cittadini della RDT, facendo schizzare la disoccupazione dal 10% del 1991 al 15% del 1995 a lavoro completato.
I due ricercatori che hanno lavorato sulla percezione attuale della Treuhand per i cittadini dell’Est scrivono che si è trattato: “della liquidazione radicale e incontrollata di una RDT completamente svalutata, sia per le sue vecchie imprese pubbliche che, più largamente, per la società, la sua cultura e la sua identità”.
Sono anche interessanti le loro annotazioni rispetto al “lavoro di rilettura critica” (Aufarbeitung in tedesco) che sarebbe possibile solo con l’apertura degli archivi del Governo Federale relativi al periodo, ma che non sono consultabili.
Non proprio campione di trasparenza la politica tedesca, quindi, alla luce del fatto che sia la il centro-destra che il centro-sinistra si sono opposti all’apertura della suddetta commissione d’inchiesta.
I risultati di quel processo sono sotto gli occhi di tutti: deindustrializzazione, disoccupazione elevata, spopolamento, invecchiamento della popolazione e non ultimo – per “gettare benzina sul fuoco” – una politica di collocazione nella ridistribuzione straniera che l’ha fatta raddoppiare nel giro di sette anni o più (più 105% in Turingia, e più 148% in Sassonia-Anhalt) in alcuni Land orientali, mentre per le altre regioni dell’Est il dato oscilla tra il 70 e il 90% circa...
In Aprile, due Fondazioni (Bertlsmann e Hans-Böckler) hanno tracciato un quadro impietoso della ridistribuzione della ricchezza in Germania.
Per restare alle differenze Est-Ovest: solo 6 circoscrizioni su 77 all’Est hanno un reddito medio netto superiore ai 20.000 euro, contro le 284 su 324 ad Ovest.
Le ricerche mappano anche il disagio sociale che raggiunge il suo picco in ex-regioni industriali come la Ruhr, con il paese di Gelsenkirchen a cui spetta il triste primato del reddito medio più basso: 16.203 contro i 35.000 del sud di Monaco di Baviera.
E la povertà picchia duro nei tredici centri con più di 100.000 di questo ex-bacino industriale ed estrattivo: un abitante su cinque a Essen, Dortmund, Duisburg, ha bisogno di aiuti sociali per sopravvivere, con Brema che ha il 19% del tasso di abitanti poveri...
Fissiamo bene due concetti: il primato della povertà non è solo nell’Est e la differenza tra i territori è tale (“lo sviluppo ineguale” direbbe Samir Amin) per cui in alcune zone della Baviera si sta meglio del ricco Lussemburgo, mentre altre zone sono al livello dell’Italia. Questo vuol dire lo sfarinamento della coesione sociale che ha precisi riflessi sul piano della rappresentanza politica.
Si pensi che la social-democrazia nel suo drastico declino – il risultato del 15,8% alle europee parla chiaro – dopo le dimissioni della sua segretaria Andrea Nahls il 2 giugno e la co-dirigenza del trio Schvesig/Dreyer/Schäfer-Gümbel in attesa del congresso anticipato che si terrà probabilmente dopo le elezioni dei Land orientali – sta puntando oltre che sulla legge per la protezione del clima, all’introduzione della “pensione minima”, una manovra che riguarderebbe 3-4 milioni di pensionati “poveri”, con un esborso previsto di 4 miliardi l’anno...
Stando ai sondaggi, la percezione delle priorità del paese è cambiata alquanto ed ha orientato le scelte politiche dell’elettorato.
Prendiamo il Forschungsgruppe Wahlen, per cui gli elettori intervistati che nel 2016 affermavano per il 90% essere prioritaria la questione immigrazione-rifugiati, e che è stata in cima alle preoccupazioni fino a metà del 2018, e che ora è ritenuta tale da poco più del 25%, mentre ambiente e clima (rispettivamente 1 e 10 % nel 2013) quest’anno sono saliti oltre il 40%, distaccando pensioni, diseguaglianza, disoccupazione...
Altri sondaggi rivelano lo stesso trend, in specie rispetto all’immigrazione, mettendo in evidenza come la questione dell’alloggio sia diventata una preoccupazione principale per una buona fetta della popolazione, a causa della speculazione edilizia: a Berlino per esempio il valore a metro quadro degli immobili è raddoppiato dal 2005!
Il rompicapo di un nuovo sistema di governance sta seriamente preoccupando l’establishment tedesco.
L’ufficio studi di DeutschBank ha redatto un rapporto “visionario” sul possibile co-governo Cdu/Csu e Verdi dal titolo: “compromessi dolorosi cercasi”, mettendo a confronto le proposte di queste due formazioni politiche che hanno alcuni punti di convergenza: filo-europeismo spinto e potenziamento della difesa sulla scala europea, ma molte differenze.
Un gioco di fanta-politica? Non più di tanto.
Verdi e centro-destra hanno già sperimentato un governo comune in due diversi Land: Assia e Baden-Württenberg, ma il governo Federale è comunque uno scoglio più grosso.
Le elezioni di settembre e ottobre probabilmente scriveranno la parola fine sulla “Groko”, il probabile consolidamento dell’AFD che in quei Land che già nel settembre del 2017 aveva ricevuto poco più del 20% in Brandeburgo ed in Turingia ed il 27% in Sassonia e una scommessa per la “Die Linke” che in Turingia conserva l’unica presidenza di una regione.
Il blocco di potere dominante ha bisogno in questo delicato passaggio di fase di un governo più stabile di quello attuale e che goda di un maggior consenso: orami da tempo la fine della “Groko” è data come ineludibile per una buona parte degli elettori dell’SPD – molto oltre la metà secondo un sondaggio di Civey – e da un quarto di quelli del centro-destra: l’ancora maggiore “compatibilizzazione” dei Verdi cooptati in un progetto governativo inedito sembra una delle poche chance, per realizzare il progetto.
È chiaro però che le contraddizioni, sempre più laceranti e l’obbligo dei salti di qualità imposti dalla fase, sono ineludibili...
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