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30/07/2019

L’alleanza Russia-Cina? L’abbiamo fatta nascere noi (e adesso fa paura)

Scaglione è una tra le pochissime firme della stampa generalista - insieme a nomi come Alberto Negri e guido Salerno Aletta - che merita sempre di essere letta, per la capacità che possiede di focalizzare tematiche e movimenti che solitamente passano in sordina o, peggio, vengono sottaciuti, dal resto dei commentatori.

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Ai primi di giugno Xi Jinping, segretario del Partito comunista cinese dal 2012 e presidente della Repubblica Popolare cinese dal 2013, ha compiuto la sua ottava visita ufficiale di Stato in Russia. È andato a San Pietroburgo portandosi appresso qualche centinaio di pezzi grossi dell’industria, ha partecipato al Forum russo-cinese per l’energia (inaugurato l’anno scorso) e ha firmato una ventina di accordi con Vladimir Putin. Uno di questi prevede che due compagnie cinesi acquisiscano ognuna il 10% di Utrennoye, uno dei più promettenti giacimenti artici di gas naturale.

Il Forum era stato polemicamente disertato dall’ambasciatore Usa a Mosca. Forse perché il Dipartimento di Stato si è accorto che il commercio di risorse naturali (gas e petrolio in primo luogo, ovviamente) non solo vale il 40% degli scambi tra i due Paesi ma vale anche un mucchio di euro. L’export russo verso la Cina, infatti, si svolge sempre meno in dollari e sempre più in euro. La valuta europea a fine 2018 ha raggiunto il 37,6% del volume totale degli scambi, erodendo in misura mai vista prima, e tuttora crescente, la preminenza del dollaro.

Per finire: Russia e Cina, dopo diverse esercitazioni militari congiunte (“Vostok 2018” in Russia, “Mare Unito” quest’anno in Cina), si sono messe a pattugliare insieme i cieli dell’Asia, facendo vivamente inquietare sia i giapponesi sia i coreani del Sud.

Queste storie sui giornali arrivano poco e male. Però da tempo, nelle ambasciate e negli uffici “giusti”, quando quelli che sanno le cose si ritrovano con quelli che vorrebbero saperle, proprio di questo si discute. Dove vogliono arrivare Russia e Cina? Della Cina si sa: da quando c’è Xi Jinping vuole arrivare dappertutto, con la nuova Via della Seta verso l’Europa, il Filo di Perle nell’Oceano indiano e tutta quella strategia del sorriso commerciale che mimetizza denti politici da squalo. E la Russia? Mosca le va appresso, ben felice di venderle quelle materie prime che sono il motore della macchina economica cinese. Ben felice, insomma, di renderla sempre più forte.

C’è qualcuno, ohibò, che di tutto questo s’inquieta: ma come si permettono? Altri che si rallegrano, perché vedono una Russia sconfitta nel suo assalto all’Occidente che si consegna armi e bagagli al pescecane cinese, pronto a papparsela. L’uno e l’altro atteggiamento, però, sono figli di un clamoroso errore di prospettiva. A furia di raccontarci che la Russia è un babau pronto a tutto, che i suoi hacker sono onnipotenti e onnipresenti, che se non potenziamo la Nato presto saremo invasi dai tank mandati dal Cremlino, abbiamo perso la dimensione reale delle cose. Un po’ come quelli che, abituati a raccontar balle, sono poi i primi a crederci.

L’alleanza tra Russia e Cina è strategica perché siamo stati noi a renderla tale. Da sempre la Russia, sterminato deposito di risorse naturali, cerca una partnership solida e affidabile con “qualcuno” che abbia invece competenza manifatturiera. Negli anni Sessanta, mentre il complesso militar-industriale mandava cani e astronauti nello spazio, l’industria sovietica era costretta a chiamare la Fiat (che superò la concorrenza di Ford e Renault) per motorizzare il Paese. Nacque così Togliattigrad, città da 400 mila abitanti e fabbrica da 600 mila veicoli l’anno. Quelli erano anche gli anni in cui i rapporti tra Russia e Cina andavano definitivamente in malora, per riprendersi solo con Mikhail Gorbaciov e la sua perestrojka.

La vocazione per l’Europa della Russia, insomma, è molto più profonda e di data molto più antica di quella per la Cina. E d’altra parte, che ci sarebbe di più logico di una sana alleanza tra gli estrattori di gas e petrolio dell’Est e i manifatturieri dell’Ovest? Nulla. Converrebbe a entrambi, e molto. Infatti gli Usa, che in questa alleanza tra produttori vedono con ragione un rischio per la loro supremazia mondiale, si sono messi di traverso in ogni modo. Allargando la Nato e facendo allargare la Ue a quei Paesi nazionalisti e sovranisti che ora tanto comodo fanno alla Nato, e in buona sostanza spingendo la Russia sempre più a Est a cominciare dalle guerre balcaniche di Bill Clinton, prontamente sposate dalle sinistre di tutta Europa. Per arrivare all’Ucraina del 2014, dove il sentimento nazionalista e sovranista (in quel caso non demonizzato, tutt’altro), evidente da anni e attizzato dal mal governo del filo-russo Janukovich, venne potenziato da robuste iniezioni di denaro e sollecitazioni americane.

In pratica, gli Usa sono arrivati al più vasto confine con la Russia, dando per scontato che al confine in sé erano già arrivati mettendo sotto la tutela della Nato i Paesi baltici. Il problema è che al Cremlino e dintorni, nel frattempo, si erano insediati i due più grandi contropiedisti dell’evo moderno, tipi che Chiarugi manco lo vedevano. Uno è Vladimir Putin, ovvio. L’altro è Sergej Lavrov, dal 2004 ministro degli Esteri, uno che parla persino il singalese e che bazzicava i meandri dell’Onu quando ancora c’era l’Urss e lui era un giovanotto.

Ora, qualcuno sa spiegare dove sarebbe l’offensiva anti-occidentale di un Paese che un bel giorno del 2014 si sveglia con il fondato timore di vedere gli incrociatori della Nato ormeggiati a Sebastopoli? Quei due, però, non sono tipi che stanno a pettinare le bambole. Crimea? Fatto? Donbass? Fatto. E per buona misura, ecco l’intervento militare in Siria (ottobre 2015) a fianco di Bashar al-Assad, tipo apertura di un secondo fronte nel confronto con gli Usa. Ma il colpo da maestro Lavrov l’aveva fatto nel 2013, concordando con la Casa Bianca lo smantellamento dell’arsenale chimico di Assad e così eliminando la ragione principale per cui gli Usa avrebbero potuto intervenire sul fronte siriano. Certo, Lavrov non gliel’aveva detto, a Obama, che poi sarebbero intervenuti loro, i russi. Ma forse se n’era scordato, mica si può tenere a mente tutto.

La partnership economica e politica della Russia con la Cina sta tutta dentro questa storia. Al Cremlino sarebbe piaciuto assai costruirne una con l’Europa, ma sappiamo com’è andata. Li abbiamo spinti a Est? E a Est i russi hanno trovato un altro popolo assai industrioso, inventore e produttore dalla notte dei tempi e, casualmente, tanto tanto assetato di energia. I cinesi, in pratica degli europei con gli occhi a mandorla. Possiamo lamentarcene? Mica tanto. L’Italia, per dirne una. La Russia è sempre stata un fornitore di gas puntuale e non troppo esoso. Adesso facciamo il Tap perché, dicono, dobbiamo diversificare le fonti di approvvigionamento. E loro ne vendono di più alla Cina, che prende quel gas, lo pompa nelle sue fabbriche e aumenta la propria forza contrattuale sul mercato globale. Come si è ben visto durante la visita di Xi Jinping in Europa, quando noi gli abbiamo venduto qualche arancia mentre la Germania gli ha passato le concessioni e i progetti per la produzione dell’auto elettrica e la Francia un bel po' di contratti nell’aerospazio. Cosine così.

E tornando quindi a quelle cene in cui ci si chiede dove andranno a parare Russia e Cina, sarebbe interessante anche capire che cos’abbia in testa il nuovo vertice della Ue. Al momento, per quel poco che se ne vede, sembra roba da far fregare le mani a Donald Trump. L’assalto (mancato, ma di poco: la nuova Presidentessa della Commissione è stata eletta per il classico pelo) dei sovranisti ha spostato a destra l’asse complessivo, con i Verdi fuori, i liberali (diciamo pure Emmanuel Macron) assai più dentro di prima, i socialisti appesi a un ramo e i popolari costretti a liquidare il candidato ufficiale e a scegliere Ursula van der Leyen, un ministro della Difesa molto filo-Nato e filo-Usa. Se l’Ussuri si è seccato, l’Atlantico si è un bel po’ ristretto. A ben vedere, nemmeno questa sembra, regnante Donald Trump e “America first!”, una bellissima notizia.

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