C’è il corpo della vittima, il colpevole ha confessato, l’arma del delitto è stata trovata. C’è pure il movente. Che è quello da cui partire per cercare di capire un certo numero di stranezze nel caso del carabiniere assassinato a Roma. Perché se le vie del Signore sono infinite e quelle del crimine sono ingarbugliate, qui ci sono almeno tre cose che non quadrano:
1. È chiaro che i due giovani americani che vengono truffati da uno spacciatore non possono chiamare i carabinieri. Cercano di cavarsela da soli prendendosela con chi gli ha indicato i pusher che li hanno poi truffati: per ritorsione gli portano via il borsello dicendogli (in americano?): se rivuoi il borsello facci riavere i 100 euro che abbiamo pagato per l’aspirina al posto della coca. Una truffa classica, come quella del mattone al posto dell’apparecchio radio. Ma la domanda è: come facevano a sapere a chi rivolgersi?
2. È meno usuale che lo spacciatore abbia chiamato i carabinieri, dopo aver organizzato la trappola dell’appuntamento con i due americani, attraverso una telefonata al proprio cellulare: da quale telefono ha chiamato?
3. È quanto meno singolare che due carabinieri vadano all’appuntamento-trappola, da soli e in borghese. Il reato non era poi così grave. Ma ammesso si ritenesse urgente agire in flagranza di reato, perché un appostamento e un intervento così improvvisato, senza appoggio?
Gli investigatori hanno agito con rapidità e sono riusciti a catturare i colpevoli e l’arma del delitto in poche ore. La cosa dimostra che la capacità investigativa delle nostre polizie è di ottimo livello. La magistratura, invece, non ha ancora finito il suo lavoro: sarà il processo a fare chiarezza su tutti gli aspetti di questa vicenda dolorosa e triste, ma anche tragica e grottesca. Sappiamo quello che è successo, i giudici stanno lavorando per scoprire perché è successo.
C’è tuttavia da rilevare che non c’è alcun bisogno di caricare gli uomini e le donne delle forze dell’ordine di funzioni pretoriane di cui non si sente la necessità, come invece sembra voler fare il ministro dell’Interno che spesso interferisce a sproposito, cioè con mere intenzioni propagandistiche.
Stavolta è andato assolutamente fuori misura: ha indicato i colpevoli tra i suoi bersagli preferiti, gli immigrati; si è sostituito alla magistratura invocando pene esemplari; ha addirittura inventato i lavori forzati a vita come pena per i colpevoli. Troppa fretta? Troppi fumetti? Troppa protagonismo?
Fatto sta che c’è mancato poco a scatenare un pogrom contro gli immigrati. I social hanno amplificato gli appelli alla caccia all’uomo lanciato dai soliti mestatori a pagamento, i telegiornali hanno fatto da cassa di risonanza, qualche testata giornalistica ha invocato la forca, neanche troppo velatamente. C’è stato un episodio inquietante: un certo numero di volanti della Polizia ha fatto un carosello a sirene spiegate di fronte al comando dell’Arma a Roma, con tanto di beneplacito del Questore.
Tutto questo fa pensare male. E cioè che la disponibilità emotiva al linciaggio sia stata testata con successo. Sembrerebbe tutto pronto per il prossimo pretesto.
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