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22/07/2019

“Un altro Direttore del FMI proveniente dall’Europa sarebbe uno scandalo…”

...dopo i crimini politici dell’ultimo decennio.

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Proponiamo questo articolo di Ambrose Evans Pritchard, pubblicato sull’inglese Telegraph, per dare qualche elemento di informazione a chi non vede – ancora – lo scontro tra diversi imperialismi. Il testo è scritto dal punto di vista Usa, e proprio per questo risulta indicativo del livello del conflitto esistente tra yankee e Unione Europea.

L’accusa rivolta a Christine Lagarde – aver usato il Fmi in modo “europeo” anziché mondiale, applicando molti pesi e molte misure nei diversi casi di crisi, e infine come “assicurazione per l’euro” – è assolutamente inconsueta nel dibattito italiano (un po’ più frequente in quello continentale).

Ma soprattutto dà conto di una conflittualità profonda a malapena mascherata dalla “comune alleanza atlantica” sul piano geostrategico. Ma anche questa vacilla sotto la spinta al riarmo proposta dall'“asse franco-tedesco” e plasticamente rappresentata dalla nomina di Ursula Von der Leyen, ex ministro della difesa di Berlino, a presidente della Commissione Europea. Ossia del “governo” comunitario.

Buona lettura.

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Se gli europei continuassero a trattare il Fondo Monetario Internazionale come un feudo ereditario, finirebbero con il distruggere l’Istituzione. Svanirebbe qualsiasi residuo di credibilità.

Gli asiatici prenderebbero in mano la situazione, creando una struttura monetaria parallela ancorata ad un sistema finanziario cino-centrico, con il sostegno quanto meno dei “BRICS”: Brasile, Russia, India e Sudafrica.

Sarebbe decisiva per contrastare l’ordine liberale occidentale.

Eppure è esattamente quello che l’UE intende fare per sostituire Christine Lagarde che, dopo otto anni, si è dimessa da Direttore del FMI per diventare Presidente della Banca Centrale Europea.

Francia e Spagna hanno affermato che il nuovo Direttore deve essere europeo, per la dodicesima volta consecutiva dal 1946.

La tedesca Angela Merkel aveva abbandonato i “voti religiosi” a Davos, aprendo le istituzioni multilaterali a paesi come la Cina e l’India, per impedire che questi dessero vita a “nuove istituzioni”. Tuttavia, ora sta sostenendo le “rivendicazioni europee” per il FMI.

L’anacronistica fregatura – secondo cui l’Europa ottiene sempre la direzione del FMI e gli Stati Uniti quella della Banca Mondiale – è mantenuta in vita nonostante sia passato un decennio da quando un vertice del G20, a Londra, affermò che questo non sarebbe mai più dovuto accadere.

I principali dirigenti dovevano essere nominati dopo “un processo di selezione aperto, trasparente e basato sul merito”.

Ma, nei dieci anni successivi, gli europei hanno ulteriormente abusato del loro controllo sul FMI.

Hanno sequestrato il Fondo per salvare l’Unione Monetaria, visto che l’Eurozona non aveva alcun “prestatore di ultima istanza” (conseguenza sia della sua sconsideratezza che della palese paralisi politica), esponendo una serie di Stati sovrani alla bancarotta.

I salvataggi in ambito Eurozona, fra il 2011 ed il 2014, assorbirono l’80% dei prestiti del FMI, nonostante il blocco valutario disponesse dei mezzi sufficienti per prendersi cura di sé stesso, con un rapporto debito/Pil inferiore a quello degli Stati Uniti, del Regno Unito e del Giappone.

A Grecia, Irlanda e Portogallo furono concessi prestiti fino al 2.000% delle loro quote, triplicando il limite considerato normale. I poveri stati africani, in pratica, furono costretti a salvare Stati europei molto più ricchi di loro.

Una tale generosità non era stata concessa, nemmeno lontanamente, ai paesi dell’Asia e dell’America Latina quando furono loro a trovarsi nei guai.

Inoltre, il Fondo gestì malissimo la crisi dell’Asia Orientale nel 1998, imponendo un regime unico per tutti, fatto di aspra austerità fiscale che andava ben oltre la “dose terapeutica” – e che violava grossolanamente la scienza economica.

L’eredità di quell’episodio fu velenosa. Le potenze emergenti dell’Asia conclusero che il FMI aveva agito contro di loro (fatto assolutamente veritiero).

Per inciso, gli europei controllano 1/3 dei voti. La Cina ha il 6.09%. L’India il 2,64% (meno del Benelux) e il Brasile il 2.2%.

Questi paesi decisero una sorta di “auto-assicurazione” per non trovarsi mai più alla mercé del FMI. Costruirono riserve estere su scala così vasta da portare in Asia ad una sovrabbondanza di risparmi.

Il capitale in eccesso è arrivato a frenare i tassi obbligazionari, perché ha alimentato la ricerca mondiale di rendimenti, che a loro volta hanno incubato le bolle dei subprime e del Club Med. È senz’altro una delle principali ragioni per cui il sistema finanziario globale è oggi fuori controllo.

Il FMI violò la propria “carta costitutiva” in occasione del primo salvataggio greco, nel 2010, prestando somme ingenti ad un paese che era già insolvente e che aveva invece bisogno di ristrutturare il suo debito.

I verbali che sono trapelati mostrano che i membri brasiliani e indiani del CdA protestarono, ritenendolo un salvataggio del progetto-euro e delle banche europee e non della Grecia. Il FMI non aveva alcun mandato per farlo. La sua missione è di salvare i paesi, non le valute e i creditori.

Ogni membro non europeo votò contro, ma gli Stati Uniti acconsentirono per timore di una “Lehman II” e di un ampio contagio.

Il risultato fu una crudele menzogna contro il popolo greco. Lo stato greco in bancarotta accumulò ancora più debito, mentre le banche e i fondi esteri furono in grado di scaricare quelle posizioni con perdite minime.

La Grecia dovrà generare un grosso avanzo primario nei decenni a venire per pagare i creditori, un fatto non così diverso dalle riparazioni di guerra tedesche stabilite a Versailles.

Al paese fu negata la medicina di routine del FMI e praticata in tutto il mondo: austerità fiscale compensata dalla riduzione del debito e dalla svalutazione.

La Grecia ha ricevuto solo austerità portata all’estremo. Ciò ha spinto l’economia in una violenta spirale al ribasso, culminata in sei anni di depressione, un calo del PIL del 26% e una disoccupazione giovanile al 60%.

Tutto questo è stato controproducente anche nei suoi termini nudi e crudi. I rapporti del debito sono aumentati ancor più velocemente richiedendo ulteriori “salvataggi”.

Il FMI, fin dall’inizio, avrebbe dovuto estraniarsi da questo crimine politico. Ma così non è stato. Sotto la guida di Dominique Strauss-Kahn e di Christian Lagarde – entrambi ex Ministri delle Finanze francesi – era diventato nel frattempo uno strumento delle élite politiche dell’Eurozona.

Il primo mea culpa della Sig.ra Lagarde sulla crisi dell’Unione Monetaria fu come una calamita.

Il Consiglio ordinò un’indagine al “The Independent Evaluation Office”, posto al di fuori del suo controllo, che emise un verdetto assai pungente sulla “cultura del compiacimento”, del “pensiero di gruppo” e delle “analisi superficiali e meccaniche” che caratterizzavano il FMI.

Gli investigatori non furono in grado di decifrare i segreti delle “task forces ad-hoc” [ovvero, costituite per i singoli casi], o ottenere i documenti-chiave, o determinare chi aveva gestito quest’organismo immensamente potente, con un baule da 1.000 miliardi di dollari e la licenza per rovesciare nazioni.

Trovarono che la direzione aveva ingannato il Consiglio: “Molti documenti sono stati preparati al di fuori dei canali regolari. Non è stato possibile trovare la documentazione scritta su alcune questioni di notevole sensibilità”.

Insomma, c’erano i tratti distintivi di una crisi gestionale di carattere sistemico. L’indagine disse che lo staff del FMI era diventato la cheerleader dell’euro.

Coloro che, all’interno del Fondo, avevano avvertito dei pericoli intrinseci di una moneta a metà, senza una tesoreria a sostenerla, furono bruscamente invitati a tacere.

Il FMI comunicò che: “Dopo un acceso dibattito interno, è infine prevalso un parere favorevole a quello che è stato percepito come il progetto politico europeo”.

Il FMI non aveva piani di ripiego per una crisi sistemica dell’Unione Monetaria perché aveva escluso ogni possibilità che questa potesse avverarsi: “Si pensava che la possibilità di una crisi della bilancia dei pagamenti in un’Unione Monetaria fosse quasi inesistente”.

Alla radice di tutto c’era il non aver colto un punto essenziale: le “unioni valutarie” senza un Tesoro in comune sono intrinsecamente vulnerabili alle crisi del debito.

Gli Stati che si trovano ad affrontare uno shock non hanno più strumenti sovrani per potersi difendere. Il rischio-svalutazione diventa, di conseguenza, il rischio-fallimento.

Per quanto è a mia conoscenza nessuno è mai stato ritenuto responsabile di questi difetti, alcuni dei quali si sono verificati sull’orologio della Sig.ra Lagarde. Il FMI opera al di fuori di qualsiasi normale catena di responsabilità, come del resto le Istituzioni Europee.

La Sig.ra Lagarde non è un’economista, è sostanzialmente un avvocato politico. Questo significa che la BCE, sotto il suo controllo, continuerà ad operare in una zona grigia, una specie di gendarme per gli obiettivi politici dell’Eurozona, piuttosto che una Banca Centrale convenzionale.

I suoi metodi possono essere brutali. Un ex Governatore mi ha detto che: ”[La BCE] minaccia di distruggere finanziariamente i Governi che si comportano male. Taglia i rifinanziamenti, minaccia di distruggere il sistema bancario locale e di ribaltare il mercato obbligazionario”.

È quello che capitò all’Italia nel 2011. La BCE ordinò dei cambiamenti radicali nella legislazione nazionale italiana attraverso una lettera segreta [poi comunque resa nota].

Quando il Governo Berlusconi esitò, la BCE lo costrinse ad abbandonare il suo incarico cambiando il regime degli acquisti obbligazionari. Il cosiddetto “gioco dello spread”.

Nel 2015, invece, mise in ginocchio i ribelli di Syriza, in Grecia, tagliando i fondi alle banche private greche.

Tutto questo si chiama “tirannia” anche se pochi, nel firmamento politico europeo, sembrano infastiditi. Il che è a sua volta rivelatore di un concetto: il progetto-euro giustifica qualsiasi mezzo.

È questo l’ambiente ideologico della Sig.ra Lagarde. La mia ipotesi è che si dimostrerà spietata nell’uso di queste arti oscure, esattamente come tutti i suoi predecessori alla BCE.

Per quanto riguarda il FMI, il front-runner che è emerso questa settimana dal G7 di Chantilly, con il sostegno di Germania e Francia, è Jeroen Dijsselbloem, ex leader dell’Eurogruppo e punto di riferimento del waterboarding fiscale della Grecia.

Che dire del resto del mondo, ovvero dell’indiano Raghuram Rajan, o del re dei bond, l’egiziano Mohamed El-Erian, o di Tharman Shanmugaratnam di Singapore, o infine del coreano Hyun Song Shin?

Washington potrebbe fermare immediatamente questo feudalesimo europeo trattenendo i suoi voti. Ma Donald Trump ha scelto di giocare anch’egli, chiedendo un suo uomo, David Malpass, per la World Bank.

Gli Stati Uniti sono di nuovo complici.

Dobbiamo quindi affrontare la prospettiva della nomina del Sig. Dijsselbloem, un economista agricolo olandese salito ad un alto incarico europeo solo perché, negli anni bui, ha servito come rispettoso osservatore dell’austerità il Ministero delle Finanze tedesco.

L’unica ragione per sceglierlo è che subordinerà di nuovo l’FMI alle esigenze del progetto europeo, quando questo si troverà nei guai.

Quanto ci vorrà prima che si comici a parlare del Fondo Monetario Asiatico?

da The Telegraph, traduzione a cura di Mittdolcino.

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