di Michele Giorgio
La nomina del successore
di Yukiya Amano alla direzione dell’Agenzia internazionale per l’energia
atomica (Aiea) è una delle variabili che potrebbero influenzare gli
sviluppi della crisi legata all’accordo sul programma nucleare iraniano
del 2015 (Jcpoa) e il confronto tra Tehran e Washington.
Non sorprende che uno dei protagonisti della crisi, Israele – che si è
battuto contro il Jcpoa e ha accolto con soddisfazione la decisione di
Trump di uscire dall’accordo e di approvare sanzioni contro le
esportazioni iraniane di petrolio – stia analizzando con attenzione
vita, carriera e posizioni di coloro che dovrebbero prendere il posto di
Amano. Il governo Netanyahu auspica, e con ogni probabilità sta
già facendo, pressioni per ottenere che il vertice dell’Aiea si mostri
più duro nei confronti dell’Iran.
Yukiya Amano è stato un convinto sostenitore dell’intesa del 2015 messa a dura prova dal ritiro unilaterale degli Usa.
Nato nel 1947, il diplomatico giapponese era un prodotto della
generazione traumatizzata dalla distruzione con le bombe atomiche Usa di
Hiroshima e Nagasaki.
Quello spettro lo aveva spinto per tutta la vita a lavorare
per il disarmo atomico e a trovare attraverso la diplomazia le migliori
soluzioni politiche. «Se hai intenzione di litigare con un Paese che
forse pensa di costruire armi nucleari, è meglio non farlo sentire in un
angolo», ha dichiarato in una intervista del 2016. Per questo
l’Iran, che pure non ha avuto rapporti semplici con Amano e talvolta lo
ha accusato di essere nel campo americano, ha espresso dispiacere per la
morte del direttore dell’Aiea.
«Mi rattrista la notizia della prematura scomparsa di Yukiya Amano,
era un sostenitore convinto del Jcpoa fin dal suo inizio e ci aspettiamo
che il suo successore segua lo stesso percorso», ha auspicato il
ministro degli Esteri iraniano Mohammed Javad Zarif. Anche gli
Usa si sono detti dispiaciuti ma Trump e i falchi nel suo entourage
hanno più volte accusato di mancanza di aggressività il diplomatico
giapponese che, a loro dire, accettava facilmente le dichiarazioni dell’Iran sul suo programma nucleare.
Al momento della morte Amano era impegnato a convincere l’Iran a
rimanere nel Jcpoa anche se Trump lo aveva abbandonato, provocando la
crisi in atto dalle conseguenze imprevedibili. L’Aiea è quindi costretta a lavorare per una difficile successione in una fase delicata. Israele, riportava a inizio settimana il Jerusalem Post, ritiene che siano due i veri candidati alla successione.
A contendersi il comando saranno l’ambasciatore argentino
all’Aiea, Rafael Grossi, e il rumeno Cornel Feruta, già capo dello staff
di Amano. Feruta è considerato un sincero e accanito sostenitore
dell’accordo del 2015 e se sarà eletto, aggiungeva il quotidiano di Gerusalemme, potrebbe ritrovarsi in conflitto con gli Stati Uniti e Israele.
Il rumeno nel 2016 ha dichiarato: «Penso che il Jcpoa rappresenti un
vero successo dal punto di vista della verifica dei programmi nucleari».
E come Amano anche Feruta ritiene che l’Iran pur avendo pensato, negli
anni passati, alla possibilità di assemblare bombe atomiche, poi non sia
andato oltre gli studi scientifici. Posizione in netto contrasto con
quella di Tel Aviv che accusa l’Iran di volersi dotare di ordigni
nucleari.
Di Rafael Grossi si sa poco. È stato e sarebbe ancora un
sostenitore del Jcpoa ma di recente, partecipando a incontri e
conferenze, ha fatto capire che gli sviluppi della crisi in atto avranno
un impatto sulla tenuta e la validità dell’accordo siglato quattro anni
fa.
Israele comunque è pessimista ed esprime forti dubbi sulla politica
di controllo dell’Aiea delle centrali iraniane, al di là della linea di
chi prenderà il posto di Amano. Ciò mentre, proprio Israele, continua a
detenere segretamente armi atomiche e a non aderire al Trattato di non
proliferazione nucleare.
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