di Stefano Mauro
Alcuni rappresentanti
americani sono stati, nelle scorse settimane, in Iraq per discutere con
il primo ministro iracheno, Adel Abdel Mahdi, riguardo all’interruzione
degli scambi economici e finanziari con l’Iran e per richiedere lo
scioglimento delle Unità di Mobilitazione Popolare (Hasched Shaabi o Ump), considerate da Washington come una diretta emanazione di Teheran.
Richieste, secondo quanto afferma la stampa irachena, rifiutate dal primo ministro
a causa della difficile posizione di Baghdad che si trova in mezzo ad
un conflitto a “bassa intensità” tra Washington e Teheran. Lo stato
iracheno, infatti, ha numerosi legami economici, commerciali, energetici
e religiosi con l’Iran ed una simile scelta significherebbe
sicuramente una destabilizzazione del già fragile governo di unità
nazionale del premier iracheno.
Per quanto riguarda la seconda richiesta Mahdi ha cercato di trovare
una soluzione “diplomatica” che riesca a preservare gli equilibri
interni tra le differenti confessioni irachene, visto che le pressioni e
le minacce americane rischiano di compromettere gli sforzi fatti fino
ad oggi e di favorire Daesh che, nonostante la sconfitta di un anno fa, resta ancora presente nella provincia di Anbar.
Proprio in quest’ottica ha emesso un’ordinanza, denominata
Diwani, che richiede “a tutte le fazioni di chiudere il loro quartier
generale con la scelta di integrarsi all’interno delle forze armate o
impegnarsi nell’arena politica (senza armi, ndr). Qualsiasi
fazione che rifiuta segretamente o apertamente di rispettare queste
istruzioni sarà considerata illegale”. L’ultimatum per il rispetto
dell’ordinanza è il 31 luglio.
Una scelta considerata positiva dall’amministrazione
americana, che però, potrebbe portare lo stato iracheno ad una lotta
intestina. Se da una parte alcune organizzazioni dell’Hashed
Shaabi hanno appreso e condiviso la scelta del premier – soprattutto per
quanto riguarda i diritti di cui godranno i miliziani in termini di
stipendi, protezione sociale e medica – da un altro punto di vista si
sono dichiarati contrari ad una scelta che viene vista come
“un’interferenza americana negli affari interni dell’Iraq”.
“Forse il governo centrale di Baghdad” – ha dichiarato il leader del
gruppo Harakat Hezbollah al Nujaba, Akram al Kaabi – “ha dimenticato che
sono state tutte le formazioni dell’Hashed Shaabi a respingere Daesh ed
a sconfiggere le milizie jihadiste di Al Baghdadi”. “Bisogna anche
ricordare che in quel periodo gli Usa non hanno fatto nulla per
riorganizzare l’esercito iracheno ed aiutarci, mentre adesso richiedono
un nostro smantellamento, quando siamo quasi sul punto di eliminare
definitivamente la presenza jihadista dalle nostre regioni” – ha
concluso al Kaabi.
Frizioni che potrebbero portare ad uno scontro diretto tra le milizie delle Unità di Mobilitazione Popolare – formate anche da battaglioni sunniti e cristiani – e le truppe americane presenti in Iraq.
Già nel periodo post elettorale l’inviato di Washington per la
Coalizione internazionale anti-Daesh, Bret McGurk, aveva tentato di far
eleggere un ufficiale iracheno, filo-americano, a capo del governo,
prima che venisse nominato il premier Mahdi.
Episodio che aveva avuto un seguito, secondo la stampa irachena, con l’episodio che vide protagonista il generale di brigata Mahmoud al-Fallahi,
comandante dell’esercito dell’Anbar e capo del confine con Siria,
Giordania e Arabia Saudita. Al Fallahi, secondo il canale libanese al Mayadeen,
aveva trasmesso alla CIA tutte le coordinate della posizione di
Hezbollah-Iraq ad al-Qa’em, al confine siriano, le posizioni, le armi,
la logistica ed i nomi dei comandanti dei gruppi Nujaba, e Kataib Imam
Ali. Informazioni ottenute dall’intelligence iraniana, grazie al suo
sistema di controllo su whattsapp, e che, successivamente, avevano
portato ad un bombardamento israeliano proprio su quelle postazioni.
Il primo ministro iracheno, secondo il portale Iraq Daily, ha utilizzato questo stratagemma per diminuire il potere delle Ump,
una mossa considerata “rischiosa” visto che Abdel Mahdi “non gode di
sufficiente sostegno politico da parte dei partiti politici per
soddisfare pienamente i desideri degli Stati Uniti”. Un’instabilità
politica che, in caso di conflitto con l’Iran, potrebbe destabilizzare
per l’ennesima volta i fragili equilibri interni tra le diverse
confessioni e che potrebbe causare seri problemi alla stessa
amministrazione americana.
Sono chiare le parole di al-Kaabi al riguardo: “Oggi l’Iraq è molto
più forte e organizzato, ed è in grado di trasformare la presenza
americana sul nostro territorio in un inferno”.
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