Partiamo dal comunicato della Banca d’Italia sulla bilancia dei pagamenti pubblicato poco fa: “Nei dodici mesi terminanti in maggio 2019 l’avanzo di conto corrente è stato pari a 45,9 miliardi di euro (il 2,6 per cento del PIL), da 45,1 miliardi nel corrispondente periodo del 2018. Al miglioramento hanno contribuito i saldi dei redditi primari (17,9 miliardi, da 11,7) e dei servizi (-2,8 miliardi, da -4,6), che hanno più che compensato la riduzione dell’avanzo mercantile (49,7 miliardi, da 53,3) e l’aumento del deficit nei redditi secondari (19,0 miliardi, da 15,3)“.
Ebbene, l’avanzo delle partite correnti (la differenza tra importazioni ed esportazioni) continua ad aumentare nonostante la gelata del commercio mondiale, visto quest’anno con una crescita infima 1,6%, dove però l’Italia aumenta del 4%.
La posizione finanziaria netta estera a fine marzo era di -45 miliardi. A maggio è peggiorato di 7,7 miliardi per raccolta obbligazionaria delle banche italiane, ma ad aprile era diminuita di quasi 10 miliardi. Quindi, complessivamente sta diminuendo, a livello percentuali bassissimi (2,6% del Pil) se paragonati a Spagna, Usa o Francia (dal 50% in su).
Ora, ieri in piena crisi di governo è uscita la bomba. La Bce potrebbe rivedere il target inflazionistico sopra il 2%.
Settimane fa lo strategist Fugnoli scrisse che la Fed si stava preparando ad un “target flessibile“. Visto che entrambe le aree, da un decennio, causa deflazione salariale, non raggiungono il target del 2%, la Fed si prepara ad aumentare il target. Esempio: se quest’anno l’inflazione è all’1,6%, il target passa al 2,4%. Stessa cosa, ieri lo ha comunicato Bloomberg, si accinge a fare la Bce.
Tradotto: stimoli monetari impressionanti.
Ieri pomeriggio il rendimento del Btp è passato all’1,6% (oggi all’1,55%), minimo da tre anni, quando lo scorso anno era al 3.47%. Questo dopo la notizia lanciata da Bloomberg.
Tradotto: impressionante riduzione per l’Italia della spesa per interessi che, sommato al boom dell’Iva e delle entrate tributarie e contributive nonostante la stagnazione, porta lo stesso Ufficio Parlamentare del Bilancio, faro deflazionistico italiano, a parlare l’altro giorno di un deficit nel 2020 pari all’1.7%, minimo da anni.
Tradotto in interessi di classe: Confindustria vuole il bottino.
Tutti, Pd, Lega, Fi, M5s vogliono il bottino per le loro politiche.
Confindustria e confederali premono e il Quirinale ascolta. Confindustria vuole la riduzione del cuneo fiscale sia per sostenere i salari, e quindi per non dare aumenti contrattuali, sia per ridurre il costo del lavoro come misura di protezionismo fiscale per sostenere l’export.
Magari non ci credete, ma da fonti certe sappiamo che in Veneto ed in Emilia moltissime imprese stanno cercando capannoni per potenziarsi, con il Sud sempre più depresso.
Gli industriali stanno facendo affari d’oro e difendono con le unghie l’altissimo tasso di profitto. Ai salari non concedono nulla.
Vogliono un governo che li assecondi, assieme ai confederali. Si chiama neocorporativismo.
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