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17/07/2019

Ora tutto traballa, pure Salvini

Il governo “prendi tre e paghi uno” si è infilato in una brutta strettoia, tanto da presentarsi chiaramente differenziato nelle tre parti costitutive: Lega, Cinque Stelle, “garanti” verso l’Unione Europea (Conte, Tria, Moavero Milanesi, Trenta, nei ruoli chiave di presidenza del consiglio, economia, esteri e difesa).

A determinare il potenziale sfascio dell’esecutivo concorrono moltissimi fattori, che proviamo sommariamente a riassumere così, tralasciandone altri di importanza minore:

a) il raddoppio dei voti alla Lega, alle ultime europee, ha rovesciato i rapporti di forza del 4 marzo e “convinto” il vertice del Carroccio di poter dettare ormai esplicitamente l’agenda di governo; al punto da convocare direttamente le parti sociali per presentare un “programma” che non è quello del governo nel suo insieme;

b) la dura manovra da preparare per il prossimo anno, sotto il ferreo controllo della Commissione Europea; per la quale esistono risorse straordinarie impreviste (da fatturazione elettronica, crescita delle esportazioni, crollo dello spread e quindi degli interessi da pagare sui titoli di stato, ecc.), ma che saranno solo una frazione dell’importo preteso dalla Ue;

c) il RussiaGate che coinvolge direttamente Salvini e i suoi uomini più fidati, e che ovviamente stimola il tentativo di riscossa dei molti soggetti “compressi” dalla sua bulimica presenza (Cinque Stelle, Pd, lo stesso Berlusconi e persino la macchietta di Fratelli d’Italia).

Il centro gravitazionale di questa massa di problemi è apparentemente una figura sola – Matteo Salvini, appunto – su cui convergono scontro istituzionale, conflitto sociale e competizione geopolitica internazionale. Troppa grazia, santantonio...

Per fare un briciolo di valutazione obiettiva sarà meglio lasciar da parte i sondaggi – che danno questa figura in continua ascesa – sapendo che funzionano esattamente come le borse: “salgono e scendono”, secondo la definizione di uno che se ne intendeva, come l’Avvocato, Giovanni Agnelli.

La “scorrettezza istituzionale” di convocare imprese e sindacati al Viminale (ministero di polizia, senza alcuna competenza economica) per presentare il programma di governo della Lega è di una violenza tale da aver colpito persino l’accomodante per definizione, lo pseudo-premier Giuseppe Conte. Un vice-primo ministro, va da sé, può fare le funzioni del premier solo su incarico di quest’ultimo (ad esempio perché impegnato all’estero), non in competizione.

Specie se, perché fosse chiara la sfida, ci si porta a fianco Armando Siri, da pochissimo estromesso dal governo perché indagato in una pessima storia di “emendamenti” presentati in nome e per conto di un imprenditore dell’eolico legato al boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro (non male per un ministro di polizia, vero?). Sorvolando poi sulla condanna definitiva per bancarorrata fraudolenta (“patteggiata”, ossia con riconoscimento della colpevolezza).

Capiamo benissimo che il mondo delle imprese, Cisl e Uil siano da tempo assuefatti alle manovra più immonde, ma che persino Maurizio Landini (uno dei tanti temporanei “eroi” da cui doveva “ripartire la sinistra”) non abbia trovato nulla di strano nel vedersi convocato in un ministero “non competente” per farsi spiegare la flat tax da uno che potrebbe presto finire nelle patrie galere, ci sembra gravissimo.

La spiegazione fornita poi in serata, su La7, è stata forse anche peggio, quando ha ricordato che da segretario Fiom aveva già incontrato un ministro dell’interno (Alfano, chi se lo ricorda?). Come se non capisse la differenza tra il protestare con il ministro di polizia dopo che ha manganellato te e i tuoi operai (quelli delle acciaierie di Terni, nell’ottobre 2014), e l’accettazione dell’invito a discutere della prossima manovra finanziaria, la cui competenza esclusiva è in capo al presidente del consiglio e al ministro dell’economia.

Salvini sta scassando intenzionalmente l’architettura istituzionale e la separazione di poteri e competenze (vuole per esempio “riformare la magistratura” per sottoporla più chiaramente al potere esecutivo), dunque non stupisce che continui a farlo. Stupisce – diciamo così – invece che le sue violenze istituzionali vengano avallate, senza obiezioni, da chi dice di rappresentare “l’opposizione sociale e politica” a un ministro fasciorazzista.

Ma è sul RussiaGate che al momento sembra giocarsi la vita o la morte dell’astro ascendente della destra leghista.

E qui è il caso di puntare solo agli elementi chiari, che vanno emergendo da un profluvio di informazioni e prese di posizione che rischiano di nascondere più di quanto rivelino.

Schematizziamo, dunque, per evidenziare le cose rilevanti.

a) Ieri i magistrati di Milano hanno interrogato il fin qui unico “attenzionato”, l’ormai celebre Gianluca Savoini, fondatore e presidente dell’Associazione LombardiaRussia, con sede nel quartier generale del Carroccio di via Bellerio. Si è “avvalso della facoltà di non rispondere”, prevista dal codice, spiegando poi che “Considerato che ad oggi siamo di fronte ad un’inchiesta giornalistica trasferita in sede penale, preferiamo aspettare il deposito degli atti da parte della Procura per confrontarci su una base concreta“.

Traduciamo dal giuridichese: l’inchiesta giudiziaria è stata aperta in base a notizie di stampa, per diventare concreta necessita di dichiarazioni di protagonisti e testimoni, oltre che di prove (l’audio della conversazione al Metropole di Mosca, che va comunque “spiegato”, come ogni conversazione non in sede e forme ufficiali). Savoini ha insomma deciso di non fornire alcun riscontro agli inquirenti.

È un suo diritto, come “attenzionato”. Fanno così tutti quelli che, colpevoli o innocenti, conoscono bene passaggi e rischi di ogni interrogatorio, quando – come dicono nei film Usa, ma non in Italia – il poliziotto ti avverte che “ogni che cosa che dirà potrà essere usata contro di lei”. Da minimamente esperti in fatto di fermi, arresti, interrogatori, però, sappiamo bene che questa pratica difensiva è utilizzata soprattutto da colpevoli che sapevano di commettere un reato o da innocenti che conoscono per altri motivi il codice di procedura penale (avvocati o magistrati, insomma).

Come ha ben spiegato l’orrido Borghezio, Savoini è “un soldato della Lega”, un fedelissimo che agisce nell’ombra (“l’imbucato speciale”, l’ha definito qualcuno) per risolvere problemi scabrosi. E, finché è possibile, da un “soldato” ci si attende che non inguai il suo “capitano”.

b) Peccato che a farlo – giornalisticamente, per ora – sia un altro imprenditore di casa a Mosca, ossia l‘ex vicepresidente di Confindustria Russia, Fabrizio Candoni. Che in due interviste ha spiegato di essere stato con Salvini a Mosca il giorno prima dell’ormai famoso incontro al Metropol, che risale al 18 ottobre, e di avergli anche sconsigliato di partecipare all’incontro incriminato del Metropole.

Se fosse stato presente, insomma, per Salvini sarebbe stato più complicata la difesa fin qui adottata (“non ne so niente, non c’entro niente”).

c) La tenuta di questa linea difensiva dipende dai prossimi interrogatori che farà la magistratura milanese, a cominciare dall’avvocato internazionalista (nel senso di “affari inter-nazionali”) Gianluca Meranda. Che si definisce simpatizzante leghista, dunque interessato sia dal punto di vista professionale (i futuri clienti potrebbero non apprezzare un “avvocato che se la canta” sugli affari che tratta), sia da quello politico a fare anche lui scena muta.

d) È comunque “singolare” un ministro di polizia che non sa mai niente. Non sai chi viene a cena con te (anche se sta alla tua tavola per anni). Non sai che il capo della curva che ti prende sottobraccio è stato condannato per spaccio di droga (destino comune a molti capi delle curve, peraltro...). Non sai che fine hanno fatto i 49 milioni presi dalla Lega senza averne titolo (la prima risposta che hai dato – “ormai sono stati spesi” – è degna di un Lallo lo Zoppo o un Vallanzasca tempi d’oro). Non sai che coloro i quali ti organizzano un comizio in zone mafiose sono, ma guarda un po’, degli esponenti della mala locale. Non sai che il tuo ex portavoce (Savoini), ora presidente di una associazione nell’appartamento a fianco alla sede centrale del tuo partito, tiene incontri cui sei stato “sconsigliato” di presenziare...

Ma che razza di ministro di polizia sei? Non disponi, come tutti i tuoi predecessori, di informazioni cui non possono accedere né i comuni cittadini e neppure i giornalisti? O non leggi i dossier che ti portano sul tavolo? Hai letto solo quelli sulle navi Ong o sulle occupazioni abitative?

Se li hai letti, o te li sei fatti almeno riassumere, allora stai mentendo.

Il che ha una sua logica, perfettamente coerente con lo scasso istituzionale che vai producendo. Quello che peserà come un macigno sul futuro politico di questo paese, rendendo possibile a qualcun altro di “riassumere in una sola figura” tutte le contraddizioni che oggi si presentano come problemi insolubili.

Perché un’ultima cosa è davvero chiara. La partita che è stata aperta sul RussiaGate è uno scontro geopolitico internazionale. Prematuro, e forse persino inutile (dal nostro punto di vista), chiedersi “chi c’è dietro?”. Qualcuno c’è di sicuro, e molto potente. Pensare che quanto emerso finora sia tutto quello che poteva esser buttato sul tavolo è piuttosto ingenuo. Questa storia andrà avanti, magari sarà affiancata da altre.

Ma se nemici potenti sono decisi a farti fuori, o a ricondurti all’ovile come un agnellino, non c’è sondaggio che ti possa tenere a galla...

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