di Giovanni Iozzoli
[Questo scritto è uscito su Napoli Monitor il 04/07/19. Nonostante Carmilla
non riproponga testi già pubblicati in altri contesti, in questo caso
viene fatta un’eccezione ritenendo il pezzo utile al dibattito]
Lo Zelig di quel che resta della sinistra, ogni tanto assume identità
fittizie – il più delle volte un personaggio mediatico o globale – e
prova disperatamente ad aggrapparsi alla scia della personalità o
dell’evento, cercando un qualche contenuto, un valore, un orientamento.
Siamo tutti Assange, siamo tutti Me too, siamo tutti Greta: aver buttato
nel cesso la storia rivoluzionaria del Novecento, l’assenza di memoria
teorizzata come valore, l’introiezione acritica dell’agenda liberista
scambiata per modernità e diritti civili, tutto ciò ha reso l’ectoplasma
della sinistra bisognoso di unirsi a “qualcos’altro” – generalmente
qualcosa di evanescente e assai provvisorio – per riuscire a dare una
effimera definizione di sé.
A me la faccenda della Carola non entusiasma. A parte la solidarietà
umana per una ragazza coraggiosa (oggettivamente simpatica, anche per
l’iperbolico reato di cui è accusata: “resistenza a nave da guerra”,
fattispecie penale più adatta a Godzilla), questa pseudo contesa tra Capitana e Capitano,
mi sembra porti acqua solo al mulino di Salvini. Non riesco proprio ad
aderire alla prevalente cultura del “like”: mi piace o non mi piace –
questa storia che siamo sempre pubblico di uno spettacolino in cui al
massimo ci è consentito schierarci a favore o contro qualcosa.
Al di là del fatto che le ONG mi provocano una istintiva diffidenza –
in alcuni casi sono state persino strumento governativo di guerra e di
golpismo1
–, possiamo andare avanti attaccandoci a questo o quel barchino e
sperando che queste rappresentazioni mediatiche indignino e risveglino
una qualche “opinione pubblica democratica”? Il fatto che “Io sto con
Carola” mentre la stragrande maggioranza degli italiani sta con Salvini
non dovrebbe un po’ preoccuparci? È vero che su certe battaglie ideali,
in certe fasi storiche, la minorità è condizione inevitabile: ma non ci
poniamo neanche il problema di come uscirne, di come riconnetterci alle
pubbliche opinioni con un posizionamento forte e alternativo, che ci
opponga a Salvini ma non ci confonda con la Boldrini o la Open Society?
Cosa è successo in questi anni? Che le destre sono state molto determinate nel costruire una loro
narrazione sull’immigrazione – con delle varianti che vanno dalla
“sostituzione etnica” (la versione demenzial-hard) fino alla
“immigrazione favorita dalla sinistra e dalle cooperative per
speculare”. Niente di trascendentale, come livello del dibattito – del
resto Bannon non è Evola, e se quello è il loro guru, possono al massimo
sguazzare in quelle basse acque melmose. Però, grazie a queste
elaborazioni ripetute e consolidate nel tempo, qualsiasi persona di
destra mediamente informata, anche il salumiere sotto casa, sa
articolare il suo discorsetto su immigrazione ed economia mondo.
A sinistra, invece – nel campo dei movimenti, della resistenza di
classe – qual è la lettura che si dà dei processi migratori? Se ne
manca una, abbiamo qualche problema – se è vero che entro tre decenni in
Africa ci sarà un miliardino di persone in più. Ce la possiamo cavare
con il tifo per Carola?
Quali
sono le parole d’ordine con cui affrontiamo questa cruciale fase
storica, nei quartieri, in fabbrica, nei posti di lavoro? Cosa dobbiamo
raccontare, quando si parla di dinamiche migratorie, che “io sto con la
Sea Watch”? Ma che argomento politico è, scusate? Tutt’al più è uno
schieramento individuale, anche eticamente nobile. Ma non costituisce un
posizionamento strategico, né aiuta a costruire una teoria, sulle
migrazioni. E soprattutto non aggiunge e non toglie niente a una
narrazione di destra che si fa ogni giorno più tetragona ed efficace.
Sono le ONG il nostro contributo al dibattito? È Carola – o Casarini o
la Open Arms o Soros – che ci darà la linea in materia? Eccola la
subcultura maledetta del like – sto con questo o sto con quello – che ci
toglie la fatica di pensare, leggere e anticipare la complessità dei
fenomeni, costruire progettualità, parole d’ordine, alleanze nella
società, che non siano sempre “di solidarietà” (parola di cui in
politica forse è meglio cominciare a diffidare, perché non è al buon
cuore che bisogna affidarsi), ma di nuova vertenzialità sociale. Che nei
prossimi mesi e anni significherà essenzialmente: come evitare che
sezioni di proletariato differenziate su base etnica e di gerarchia
sociale, si scannino tra loro per strapparsi a vicenda residui di
welfare, per contendersi spazi urbani all’abbandono e svendersi sul
mercato del lavoro al peggior offerente. Carola e le navi delle ONG non
possono dirci niente, in materia.
Bisogna che su queste tematiche ricominciamo a discutere, senza
troppe inibizioni politicamente corrette, da scienziati sociali, per chi
ne ha voglia e competenze: una bella analisi materialista
sull’imperialismo, la demografia, le contraddizioni tra le classi (e
dentro la classe), i problemi del continente africano (che
identifichiamo sempre con l’Africa sub-sahariana e la sue estrema
fragilità, senza pensare alle metropoli d’Egitto o della Nigeria, come
se avessimo rimosso addirittura anche solo la possibilità della lotta
socialista e della rivoluzione panafricana e il nostro contributo si
limitasse a come far sbarcare gommoni a Lampedusa). Insomma, trovare il
modo in cui le avanguardie (o sedicenti tali) possano rapportarsi a
questa tematica fondamentale, in una modalità che non sia sempre “a
posteriori”, all’inseguimento di questo o quello strappo indotto dalle
destre o dall’oggettiva durezza dei tempi.
Molti le fanno, queste cose, per carità; ma da qualche parte
bisognerà trovare l’intelligenza (collettiva) per fare una sintesi e
consolidare delle soglie acquisite di discussione, che diventino
patrimonio comune e strumentazione politica d’intervento per le nuove
generazioni che scelgono l’impegno anticapitalistico: non lasciamo che
brancolino nell’improvvisazione, nel solidarismo umanitario, in vaghe
aspettative millenaristiche su una “futura umanità” che si produrrà da
sé, quando la bontà trionferà sull’egoismo. Se non disponiamo delle armi
della critica, sarà facile, per Salvini e i suoi sgherri, rovesciare
addosso a noi e agli stranieri, la frustrazione di massa degli italiani.
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