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06/08/2019

L’Ucraina verso la catastrofe demografica: ma a chi importa?

L’ennesimo cessate il fuoco in Donbass era scattato, formalmente, alla mezzanotte dello scorso 21 luglio, per essere violato appena dodici ore dopo dalle truppe ucraine, che avevano colpito Novaja Tavrja, Vasilevka, Verkhnetoretskoe, nella Repubblica popolare di Donetsk e Pervomajsk, nella LNR, provocando nuovi lutti e distruzioni tra la popolazione civile.

In questo periodo, poco o nulla è cambiato: due giorni fa, la 54° Brigata meccanizzata ucraina ha aperto il fuoco contro le posizioni delle milizie della LNR nell’area del villaggio di Zolotoe-5, una settantina di km a nordovest di Lugansk. Il 4 agosto il reggimento neonazista “Azov” ha ripetutamente bersagliato l’area di Gorlovka, a nordest di Donetsk: colpito con tiri di mortai da 82 mm il villaggio di Dolomitnoe.

Intanto, il tuttora ministro degli esteri ucraino, Pavel Klimkin, lancia l’allarme su una futura “emigrazione in massa” degli ucraini: almeno la metà della popolazione avrebbe intenzione di lasciare il paese. Ne dà notizia la russa RT, che sottolinea come il prossimo censimento (non viene effettuato dal 2001: allora l’Ucraina contava 48,5 milioni di abitanti) potrebbe rivelare una vera e propria “catastrofe demografica” per Kiev.

Secondo Klimkin, che un anno fa parlava di un deflusso di 100.000 presone ogni mese, già oggi vivono all’estero qualcosa come 20-21 milioni di ucraini; il sito Fokus calcola che non più di 25-30 milioni siano quelli ancora in patria, mentre il canale NEWSONE, sulla base dei consumi di beni di prima necessità, li valuta a non più di 25 milioni. Questo, nonostante il Servizio statale di statistica valuti il numero di abitanti in 42,03 milioni.

Le mete più ambite per l’emigrazione sarebbero Polonia (46%; secondo Bloomberg, vi lavorano oggi, per lo più non legalmente, almeno 1,5 milioni di ucraini), Germania (30%) e Repubblica Ceca (25%; secondo Radio Praga, l’80% di immigrati illegali nel paese sarebbe costituito da ucraini).

Causa prima della fuga: chiusura di un’impresa dietro l’altra, pauroso deficit di quadri qualificati, globale dipendenza dai capitali esteri; tutto ciò arresta qualsiasi sviluppo del paese e costringe le persone a cercare lavoro e residenza stabile all’estero. Se a ciò si aggiungono l’alta mortalità, “grazie” anche alle imposizioni di FMI e Banca Mondiale, e la sempre più bassa natalità, i risultati non possono essere diversi. Secondo The World Factbook della CIA, nel 2018, la crescita della popolazione ucraina è stata dello 0,4%, che pone il Paese al 187° posto mondiale; il tasso di natalità di 10,1 per mille abitanti (190° posto) e quello di mortalità 14,3 per mille: 6° posto mondiale.

Il vice Ministro alle politiche sociali, Olga Krentovskaja, già un anno fa lanciava l’allarme per la “minaccia alla sicurezza economica dello stato”, causata dal forte deflusso di popolazione in età lavorativa. La qualcosa, però, non impensierisce l’ex vice Presidente USA e attuale candidato alle prossime presidenziali Joe Biden, il quale ha già dichiarato che, in caso di elezione alla Casa Bianca, farà dell’Ucraina la priorità della politica estera USA: aumento delle forniture militari e degli “aiuti” finanziari alle forze armate di Kiev, in modo da garantire “condizioni sicure” per gli investimenti delle compagnie occidentali, soprattutto nei settori che permettono di “elevare l’indipendenza energetica dalla Russia”.

Tradotto: ancora maggiori affari per sé e suo figlio Hunter, che siede tuttora nel Consiglio d’amministrazione della Burisma Holdings di estrazione del gas.

Meno problemi con l’emigrazione, a quanto sembra, li avrebbero i circa 300.000 ucraini della Transcarpazia, già in possesso di passaporto ungherese: loro, possono tranquillamente andare e venire in ogni Paese UE.

Chi invece se ne infischia proprio della sorte dei milioni di ucraini, in patria o all’estero, è ad esempio l’ex presidente golpista Petro Porošenko che, pur colpito da ben 12 procedimenti penali, pare si trovi comodamente rintanato nella sua villa fuori Londra, lui che può disporre a piacimento di cinque diversi passaporti (fonte, il canale TV “Razvedčik”, “L’esploratore”), con cinque nomi diversi, accumulati con preveggente cautela tra il 1996 e il 2014.

A Londra, gli fanno compagnia, tra gli altri, l’ex ministro della difesa Valerij Gheletej (avrebbe una tenuta del valore di circa 25 milioni di sterline) e l’ex presidente della Banca centrale Valerija Gontareva.

Destinazione al momento sconosciuta, invece, da ieri, per un’altra figura di spicco della “sapienza” golpista ucraina: l’ex peso massimo di boxe (se ne vedono gli effetti a ogni uscita televisiva: potrebbe dare lezioni di grammatica e sintassi all’ex ministra Valeria Fedeli!) e dal 2014 Sindaco di Kiev, Vitalij Kličkò, anche lui convocato dagli inquirenti lo scorso 26 luglio per possibili irregolarità in affari edilizi nella capitale.

Un affare (chi lo avrebbe detto!), fare il sindaco a Kiev se, come denunciato dal capo dell’amministrazione presidenziale Andrej Bogdanov, Kličkò gli avrebbe offerto 20 milioni di dollari per esser lasciato al proprio posto di capo dell’Amministrazione cittadina, in vista del generale repulisti annunciato dal nuovo Presidente Vladimir Zelenskij. In base alla legislazione ucraina, infatti, Kličkò ha potuto sinora riunire nella stessa figura – la sua – le funzioni di Sindaco, eletto dalla cittadinanza, e di capo dell’Amministrazione cittadina, nominato dal Presidente.

“È bello essere Sindaco”, potrebbe sospirare oggi Mel Brooks, aggiornando la sua pazza storia del mondo.

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