Ora vediamo se, per questa volta, “lo vuole l’Europa” sarà la canzoncina che accompagna una revisione legislativa. Con la marcia funebre, invece che con la fanfara neoliberista.
La Grande Camera della Corte Europea ha ritenuto inammissibile il ricorso dell’Italia contro l’abolizione dell’ergastolo ostativo. Ovvero quell’Art. 41-bis” dell’Ordinamento Penitenziario che esclude per sempre alcune categorie di condannati all’ergastolo dalla possibilità di scontare la pena usufruendo – se ne ricorrono le condizioni – degli sconti previsti da quella che un tempo si chiamava “Legge Gozzini”.
L’ergastolano Marcello Viola aveva presentato tempo fa a sua volta un ricorso per chiedere se quella pena – esistente soltanto in Italia, tra i paesi europei – fosse o no contrario all’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani che vieta trattamenti “inumani e degradanti”.
Con la “sentenza Viola” del 13 giugno scorso una sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo aveva giudicato che l’ergastolo ostativo – ossia l’esclusione di qualunque beneficio per i detenuti condannati al carcere a vita per alcuni reati: mafia, “terrorismo”, e altri considerati particolarmente gravi – effettivamente è contrario alla Convenzione europea. Oltre che alla Costituzione italiana – art. 27: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” – anche se la Consulta si è espressa in senso contrario quando è stata interpellata, con una sentenza da “mi arrampico sui vetri”.
L’articolo in questione prevede che per accedere a permessi premio o misure alternative al carcere i reclusi per quei reati debbano prima collaborare con i magistrati, diventando in pratica dei “pentiti”. Ma neanche questo, come si sta vedendo in queste ore con il “caso Brusca” (uno dei peggiori killer mafiosi, ma anche uno dei “pentiti” che ha fatto arrestare più affiliati di Cosa Nostra) può essere in Italia considerato sufficiente.
Secondo i giudici di Strasburgo un simile meccanismo esclude la possibilità di reinserimento del detenuto nel sistema sociale. E lo fa a prescindere dai mutamenti che possono avvenire nella personalità e quindi nella condotta del condannato.
In attesa che la Corte europea si pronunciasse, praticamente tutte le forze politiche presenti in Parlamento (tranne i radicali), l’Antimafia, le associazioni dei parenti delle vittime, il sistema dei media mainstream, si erano espressi per mantenere ad ogni costo l’ergastolo ostativo, dipinto come “un caposaldo della legislazione contro il crimine organizzato”.
Una “cazzata” clamorosa, come sa chiunque conosca la materia.
L’applicazione di quel codicillo “ostativo” viene infatti decisa per condannati a reati associativi commessi per ragioni che più diverse non potrebbero essere – per motivazioni, effetti sociali, conseguenze politiche, ecc. – anche se, com’è ovvio, hanno in comune la violenza e la morte.
Abbiamo più volte ricordato, ad esempio, che il concetto di “terrorismo” sembra chiaro, ma non lo è affatto. Tanto che all’Onu non si è mai riusciti a concordare su una definizione che mettesse d’accordo tutti i paesi; o almeno quelli più importanti e “civili”. Per la semplice ragione che ogni paese preferisce poter indicare come “terrorista” qualsiasi oppositore armato, presente o possibile, al punto che un governo può considerare “terroristi” coloro che per un altro (o il successivo) sono dei “resistenti”, “rivoluzionari”, “combattenti per la libertà” e via dicendo.
Per capirci. I nazifascisti definivano “banditi” i partigiani che li combattevano. Con il linguaggio di oggi li avrebbero chiamati “terroristi”, ma questo non avrebbe impedito agli Alleati di aiutarli nella Resistenza.
Non per caso, qualche imbecille parafascista di oggi, ultimamente, ha preso ad applicare l’etichetta di “terrorista” persino a Che Guevara e altri combattenti per il socialismo...
Tornando all’ergastolo ostativo, la sentenza della Grande Camera della Corte Europea non entra affatto nella tipologia dei reati coperti con questa pena, ma si limita a considerare – giustamente – “inumano e degradante” un trattamento che esclude la possibilità stessa di un cambiamento.
E qui bisogna un attimo vedere le cose da vicino. La condanna all’ergastolo, nella legislazione italiana “normale”, è equiparata alla condanna a 40 anni di detenzione. Proprio perché la Costituzione di fatto vieta la condanna a vita. Con gli sconti previsti in caso di “buona condotta” gli anni effettivamente scontati possono scendere fino a 20 (ma è molto raro); e comunque l’eventuale scarcerazione prevede almeno altri cinque anni di libertà vigilata (con firme, controlli, divieto di libera circolazione, ecc). In pratica, nel caso di un condannato all’ergastolo all’età di trent’anni, questo può rivedere la libertà piena quando ormai ha tra i 50 e i 60 anni. Insomma, quando è un’altra persona, assai meno “pimpante” o pericolosa.
Con questo escamotage – molto “italico” – per alcuni decenni si è riusciti a conciliare un dettato costituzionale “libertario” con una prassi giudiziaria decisamente opposta.
Di fatto, i giudici di sorveglianza – quelli addetti al controllo di come ogni singolo condannato sconta la sua pena – decidono se quel singolo detenuto possa usufruire, oppure no, di alcuni permessi o sconti di pena in base all’osservazione condotta da équipe formate da direttori di carcere, comandanti degli agenti di custodia, psicologi, educatori, preti, ecc.
Nessun automatismo. Un detenuto chiede gli venga concesso uno di questi benefici e “la giuria” risponde sì o no, individualmente.
Per corroborare “l’indispensabilità” del “carcere duro” e dell’ergastolo ostativo sono stati sempre buttati avanti i nomi più eclatanti, come Totò Riina o gli orrendi omicidi di Brusca (che però, come “pentito”, ha ottenuto circa 80 permessi e una pena ridotta a 25 anni). Persone che, ovviamente, nessuno vuol vedersi tra i piedi con la possibilità di rifare quel che hanno fatto.
Ma a garantire che ciò non potesse accadere la legge “normale” prevedeva già un accurato “esame di controllo” ogni volta che un ergastolano presentava la sua istanza. Riina, insomma, non avrebbe mai “passato l’esame”.
In base a cosa, dunque, si è preferito il codicillo butta-la-chiave-per-sempre? Probabilmente per la consapevolezza che il sistema mafioso, in Italia, è talmente pervasivo da rendere altamente probabile che qualche membro delle équipe, o gli stessi magistrati di sorveglianza, potessero venir corrotti, minacciati o intimiditi. E numerosi casi dei genere si sono anche verificati (sulla non eccelsa “incorruttibilità” dei magistrati la casistica è ormai sterminata...).
Ma allora l’ergastolo ostativo è solo una dichiarazione di impotenza a garantire il funzionamento della legge, non un “presidio indispensabile nella lotta alla mafia” (il cosiddetto “terrorismo”, come si è visto, è tutt’altra cosa).
E, come sempre accade in questo paese, una classe dirigente impregnata essa stessa di “mafiosità” palese non ha trovato di meglio che scrivere una legge inconcepibile per un paese civile. Non avendo volontà e capacità di sradicare le mafie, si limitano a “mostrarsi durissimi” con quelli che vengono presi (con i perdenti, insomma).
La vergogna, se vogliamo concludere, sta nel fatto che a ricordarcelo sia quella stessa Unione Europea che quotidianamente, con i suoi trattati asimmetrici, sta distruggendo il “modello sociale” del dopoguerra. Quello che qualche tratto di civiltà, pagato a carissimo prezzo con le lotte, lo presentava...
P.s. Contrariamente a quel che titolano in queste ore i più luridi giornali mainstream, questa sentenza europea non “estende i benefici di legge anche a mafiosi e terroristi”. Semplicemente permette che “possano fare domanda”.
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