È assolutamente evidente che gli Stati Uniti, in ritirata in altre zone del mondo, stanno cercando di riprendersi il “cortile di casa” eliminando le esperienze alternative, dal Venezuela al Nicaragua, dal Brasile all’Ecuador e ora in Bolivia.
Un tentativo prepotente, che ottiene risultati alterni (le elezioni in Argentina hanno certo “deluso” Washington, e la liberazione di Lula può diventare la premessa per la caduta di Bolsonaro), ma va avanti perché non vede altre possibilità di mantenere l’egemonia almeno sul continente americano.
A noi sembra evidente, che questo attacco a tutto campo, condotto senza rispettare nessuno dei “valori” strombazzati tramite i media, coglie i punti di debolezza dei vari tentativi di sottrarsi alla morsa yankee con metodi democratici.
La reazione imperialista organizza in modo militare quei settori sociali che sono stati democraticamente espulsi dalla gestione del potere politico ma hanno mantenuto pressoché intatto il proprio ruolo economico.
È questa la conseguenza di un errore abbastanza comune, quello di credere che la conquista del governo politico coincida con la conquista del potere reale. Ma se non si mette mano alla modifica sostanziale del sistema economico, ossia se non si fa prevalere l’autodeterminazione sul come e cosa produrre e ci si limita soltanto alle politiche di redistribuzione sociale, non si modificano le modalità di riproduzione delle parti reazionarie e benestanti della società.
La trasformazione sociale, ci mostra anche l’esperienza drammatica della Bolivia, è una questione di rapporti di forza in cui si usa tutto. Non è un caso, per esempio, che laddove la forza militare e le strutture dell’autogoverno popolare sono più forti (come in Venezuela, ma non solo), la reazione faccia molta più fatica a cercare di risalire la china. Mentre dove le strutture del potere popolare sono più deboli, e la filiera di comando militare resta politicamente “affine” con gli interessi imperialistici, il rischio di golpe è perenne. E attende solo un momento d'incertezza, una protesta popolare – non importa se spontanea o sobillata strumentalmente – per mettersi in moto, spargere sangue, riportare gli antichi sfruttatori (la borghesia compradora) ai posti di comando.
Qui di seguito il contributo di Luciano Vasapollo, responsabile italiano della Rete di Intellettuali in Difesa dell’Umanità e delegato del rettore della Sapienza per le relazioni internazionali con l’America Latina e il Caribe, grande conoscitore della realtà Latino Americana.
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Far prevalere la politica dell’autodeterminazione sull’economia solo redistributiva, con forme diverse di democrazia da quelle borghesi.
La Bolivia sotto l’attacco dell’imperialismo e delle multinazionali come il Venezuela.
Una crisi da leggere nel conflitto di classe a livello mondiale: mondo unipolare versus dedollarizzazione delle economie e mondo pluricentrico.
La crisi gravissima nella quale la Bolivia è precipitata in queste ultime ore, sotto l’attacco delle oligarchie locali, delle multinazionali, della Cia, dell’imperialismo e dei narcos, è una vera e propria guerra per il controllo delle ingenti risorse minerarie locali.
Gli Stati Uniti hanno enormi difficoltà a continuare ad imporre la loro egemonia e lo si vede chiaramente nelle difficoltà di controllo internazionale anche per il ruolo svolto da Cina, Russia, Iran, Venezuela, Bolivia e Cuba.
In particolare gli USA non riescono a piegare la resistenza eroica del popolo bolivariano e cubano e a controllare l’economia internazionale e questo li mette davanti alla realtà di un mondo che non ha più un’unica dimensione imposta da Washington in vari modi, ad esempio l’America Latina come cortile di casa, ma è multipolare superando cioè la caratterizzazione unipolare a guida statunitense; oggi le potenze emergenti stanno cercando una politica unica, quella di un sistema che sta insieme sul tema della de-dollarizzazione del mondo, nel tentativo, che oggi sembra poter riuscire, di un’alternativa al dollaro e all’euro, cioè di un sistema produttivo, commerciale e monetario alternativo che ad esempio possa trovare cripto monete che basino il loro valore sul ruolo dell’oro come riserva internazionale.
E la Bolivia ha una potenzialità mineraria rilevante, tale da poter rappresentare un’alternativa di sistema economico, tra l’altro, come si è visto in questi anni con una crescita irrefrenabile del Pil. E con le cospicue riserve auree e di litio (un minerale fondamentale per lo sviluppo della cosiddetta “green economy”, dunque strategico per mantenere o conquistare l’egemonia economica futura).
Secondo Vasapollo, “il tema di porre all’ordine del giorno del dibattito per l’alternativa quello di percorrere nuove forme di potere politico socialista che superino la visione di una democrazia borghese che si è dimostrata inadeguata ad adattarsi anche in chiave progressista alla rivoluzione chavista, e ad accompagnare anche il cambiamento socio-economico del governo di Evo Morales, che pure sul piano degli indicatori economici ha dato buoni risultati.
In Bolivia si è giocata una partita con due tipi di “opposizione”, quella fascista della Mezza Luna di Santa Cruz, che nel tentativo di deporre con un golpe Evo ha ottenuto l’appoggio dei settori corrotti della polizia e l’oligarchia; e l’altra opposizione, quella capeggiata da Carlos Mesa, che raccoglie forze più moderate di quelle di Camacho, ma che comunque si muovo agli ordini degli USA e delle multinazionali anche europee.
I poteri forti presenti in America Latina – così come la destra boliviana – capiscono che si vanno riducendo i loro margini di manovra a causa della minaccia forte della Russia e della Cina al loro alleato Nord Americano. Mentre godono dell’appoggio delle multinazionali anche europee che vogliono limitare il più possibile l’espansionismo verso un mondo pluripolare.
Resta da considerare che qualsiasi processo umano commette errori e un paese di alternativa non si deve accontentare di forme di economia partecipativa ma gli elementi di politica per il potere di classe devono dominare sul governo dell’economia, cioè anche sul campo del controllo politico; si devono esprimere forme di democrazia di base dominate da elementi immediati di socialismo sul piano della politica, ma in forme originali e non accettando le regole della democrazia capitalista che rischia di vanificare il progetto della transizione anticapitalista.
Su questo si misurano i paesi che tentano la strada del socialismo: non ci si può permettere che la democrazia venga espressa solo su base parlamentare in senso lato.
Non si possono accettare fino in fondo le regole della democrazia capitalista se si vuole tentare un cambiamento politico e socio-economico in chiave anticapitalismo.
Non ci si può riuscire – e lo stiamo vedendo – se non si forza sul terreno delle forme di democrazia politica che indirizzino e dirigano quelle sul piano economico: se la politica non domina sull’economia viene risucchiata, e si vanifica la costruzione centrale di forme della democrazia di base, democrazia socialista in chiave politica, e si scatena invece una rincorsa tra capitalismo cattivo e capitalismo moderato o di tipo sociale, che buono non è, e viene fatto fuori da chi tenta la strada utopica di una autoriforma del capitalismo, che non si è mai realizzata.
La situazione critica della Bolivia – sottolinea inoltre Vasapollo – coincide con importanti fatti nuovi e positivi in due grandi paesi latinoamericani come Argentina e Brasile, dove nel primo si è registrata la vittoria elettorale di Fernandez e della Kirchner che apre a un possibile rafforzamento del progetto dell’ALBA, e nel secondo la liberazione di Lula dalla carcerazione ingiusta che gli era stata inflitta rende assai precaria la situazione del governo neo fascista di Bolsonaro.
Mentre i sommovimenti sociali in Cile, dove la risposta del governo alla piazza è stata violenta e ha riportato alla mente la sanguinaria repressione di Pinochet, del quale il presidente è un ‘allievo’, e in Ecuador, un paese dollarizzato e in cui le risorse passano per un mercato d’importazione determinato dagli USA, hanno fatto suonare i campanelli d’allarme alla Casa Bianca.
Possiamo aspettarci qualunque strategia violenta di reazione per fermare questi processi di transizione anticapitalista in Nuestra América.
Per questo occorre evitare che si ripetano, da parte dei nostri compagni, errori che hanno creato situazioni di instabilità fino a oggi. Per esempio, non si può pensare solo di governare senza immettere nel processo organismi per la presa diretta del potere. O meglio, lo si può fare, ma sul medio e lungo periodo si finisce per avere il fiato corto. Prima o poi il problema della rottura rivoluzionaria si pone. Forse, allora, alcuni processi andavano accelerati approfittando della fase che ha ottenuto forti conquiste sul piano economico e sociale.
Per esempio, in Venezuela – spiega Vasapollo – si sarebbe dovuto puntare per tempo sulla diversificazione produttiva. Mi era capitato di parlarne in un’intervista al Correo del Orinoco già nel 2007-2008. Dicevo: bisogna nazionalizzare l’intero settore bancario. Bisogna nazionalizzare i settori strategici.
In Venezuela, oltre al settore petrolifero ed energetico, ai trasporti e alle telecomunicazioni, è strategico anche il settore della distribuzione di beni soprattutto di prima necessità. E infatti le reti di distribuzione alternativa gestite dal Governo, come Mercal, non sono bastate per far fronte alla guerra economica, e all’accaparramento dei prodotti basici sussidiati. Se la grande distribuzione resta in mano del settore privato, a scomparire non sono solo i cellulari, ma i beni di prima necessità. E se devi fare la fila per comprarli o devi pagarli a caro prezzo al mercato nero, il terrorismo mediatico fa presa anche nelle tue stesse fila.
Un altro errore – elenca Vasapollo – è spesso quello di puntare eccessivamente su alcuni fattori di innegabile leadership, come ad esempio la continuità anche personale di uno stesso gruppo dirigente, pensando che sarebbero durati per sempre. Invece, quando intervengono incidenti di percorso sono le strutture del potere popolare che il processo rivoluzionario è riuscito a costruire quelle che contano realmente.
Nella vicenda della Bolivia, come per il Venezuela, il quadro internazionale rappresenta inoltre un dato di cui non si può non tenere conto. Il ruolo sempre più incisivo nell’economia internazionale della Cina ha avuto risposta dagli Stati Uniti con quella che è stata denominata guerra commerciale. Il paese nordamericano ha reagito con aumenti delle tariffe dei prodotti provenienti dal paese asiatico il quale, a sua volta, ha risposto con sue misure protezioniste. Si tratta di un confronto di potenze economiche a cui si uniscono ad esempio Russia e Iran, India, Venezuela e tutti i paesi che lavorano per l’autodeterminazione e per sottrarsi al dominio imperialista.
La dollarizzazione del mercato del petrolio ha permesso e ancora permette agli Stati Uniti di usare una delle principali armi imperiali nel contesto di una guerra non convenzionale, attaccando le valute, piegando i governi e i popoli per posizionare il dollaro come moneta unica ed egemonica.
Contemporaneamente all’iniziativa, da un lato, della Cina di spostarsi verso un nuovo ordine commerciale, monetario e finanziario e dall’altro, l’insistenza dei settori statunitensi a mantenere il dollaro come moneta egemone, è emersa un’area di paesi che si muove verso alternative pluripolari e multicentriche anche con l’ipotesi di un nuovo sistema monetario basato su criptovalute. Attenzione, in questo caso le nuove criptomonete per l’alternativa si riferiscono all’assenza di gerarchia nell’emissione della moneta.
In questo ambito – conclude Vasapollo – ci poniamo l’obiettivo di analizzare l’iniziativa di muoverci verso un nuovo ordine economico pluripolare e multicentrico per l’autodeterminazione dei popoli. Così come la sua fattibilità è garanzia di un equilibrio universale che minimizzi la supremazia delle potenze e ci permetta di procedere verso modelli di giustizia sociale ed uguaglianza.
Anche se la presente evoluzione mondiale non traccia alcun “nuovo ordine”, ma solo nuove forme di scontro mondiale tra l’ordine dell’impero (occidente) e la volontà di indipendenza di quello che possiamo chiamare Sud.
Quello che è successo – in effetti – è che la volontà di indipendenza nazionale degli stati periferici si rivela con nuovi parametri ideologici di democrazia socialista che continuano ad avere come elemento principale l’antimperialismo e l'anticapitalismo. È per questo che oggi difendere i governi di Evo Morales e di Maduro, Cuba socialista e l’autodeterminazione dei popoli contro gli attacchi imperialisti significa dare un contributo effettivo e militante all’Internazionalismo di classe anche qui ed ora, in Europa e in Italia.
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