Conversazioni con Alberto Acosta
[A questo link la prima parte dell’intervista a cura della Associazione Bianca Guidetti Serra.]
[Ass.BGS] Negli ultimi
15 anni in America Latina sia i governi progressisti – compresi i
“Socialismi del XXI secolo” – sia i governi classicamente neoliberisti
hanno intensificato l’estrazione di risorse primarie, principalmente
petrolifere, minerarie e agroindustriali.
I governi progressisti hanno accompagnato l’estrattivismo con politiche
redistributive o di costruzione dello Stato sociale, riducendo
indubbiamente la povertà. Ma le politiche estrattive hanno avuto anche
altre conseguenze sulla composizione di classe dei loro paesi.
Hanno prodotto “ricchezza” – intesa in termini di PIL – ma anche
borghesie emergenti interessate allo sfruttamento di questa ricchezza,
magari in conflitto con quelle tradizionali.
Questo modello non cambia i rapporti sociali di produzione, intensifica
l’aggressione nei confronti della natura e l’espropriazione delle
comunità, e non costituisce una via d’uscita. Anzi, crea nuovi blocchi
sociali interessati a perpetuare quel tipo di sfruttamento.
[Acosta] Tutti i paesi
dell’America Latina hanno scommesso, in epoca recente, sulle risorse
naturali. Anche nel passato questo era normale, ma ora c’è coscienza sui
problemi legati a questo tipo di modello.
Eppure, nonostante questa consapevolezza, tutti i paesi dell’America
Latina si sono lanciati ad ottimizzare gli introiti in un momento di
crescita dei prezzi delle materie prime sul mercato mondiale.
È quello che Maristella Svampa definisce “il consenso delle commodities”1.
Tutti, senza eccezione, dai più progressisti ai più neoliberisti, hanno
dato impulso ad una maggiore estrazione di risorse naturali, producendo
una “re-primarizzazione” delle economie latinoamericane2.
Vediamo il caso del Venezuela, che ora dipende maggiormente dal petrolio.
Vediamo i casi della Bolivia3 e dell’Ecuador che dipendono sempre più dalle materie prime.
Vediamo il caso più paradigmatico, quello del Brasile, una potenza industriale con un’enorme capacità.
L’esportazione di manifattura industriale del Brasile superava l’80%,
ora è poco più del 60%. L’economia brasiliana si re-primarizza, e lo fa
con il governo del PT, con Lula e con Dilma.
Tutti i paesi dell’America Latina hanno scommesso su un’accelerazione
dell’estrattivismo, giustificandola con la necessità di accumulare
risorse... “per superare l’estrattivismo“!
Più estrattivismo per “uscire dall’estrattivismo”. È una follia.
È come se un medico che trattando un paziente con un grave problema di tossicodipendenza gli dicesse “per curarti nei prossimi quattro anni ti raddoppio le dosi di droga”. Ma questa non è una via d’uscita.
Quindi il primo punto è questo: non c’è stata una trasformazione nella matrice produttiva.
Continuiamo ad essere economie esportatrici di prodotti primari legate
al mercato mondiale, e questo spiega la nostra dipendenza ed una serie
di gravi problemi.
Un secondo punto, molto grave, è che non è stata intaccata la logica dell’accumulazione del capitale.
È arrivato tanto denaro in America Latina che tutti i paesi, senza eccezione, hanno ridotto la povertà.
Tutti, non solo quelli governati da partiti progressisti.
È curioso: il paese che più ha ridotto la povertà è stato il Perù, non la Bolivia, l’Ecuador o il Venezuela.
Ci sono paesi che l’hanno ridotta attraverso politiche sociali, e altri
attraverso la crescita economica, e il risultato è che è diminuita la
povertà in tutti i paesi dell’America Latina, soprattutto negli anni
2014-2015. Ma contemporaneamente è cresciuta la concentrazione della
ricchezza.
La nuova borghesia emergente finisce per accordarsi con quella
tradizionale, perché alla fine i loro interessi convergono. Entrambe
traggono beneficio da questo incremento dell’esportazione di materie
prime, e finiscono per allearsi con le imprese transnazionali.
[Ass.BGS] Come si inserisce in questo contesto l’espansione economica cinese?
[Acosta] La Cina ha un
enorme presenza ora in America Latina. I cinesi, che da più di 10 anni
hanno girano per il mondo con una propria proposta di integrazione nella
globalizzazione, si sono convertiti in una fonte di finanziamento molto
importante per molti paesi.
È il caso dell’Ecuador, che con la Cina ha un debito molto alto. La Cina
è ora il principale creditore per l’economia ecuadoriana.
La Cina ha inoltre un’enorme presenza in Venezuela, e anche in questo caso ne è il principale creditore.
In Argentina e in altri paesi la Cina sta facendo investimenti.
I cinesi stanno intervenendo in America Latina come costruttori di opere pubbliche.
È chiaro che la presenza cinese è determinante. È il maggior mercato del
pianeta, ha un’economia che domanda una enorme quantità di risorse
naturali, un’economia che ha molti mezzi finanziari, che presta molto
denaro, fa investimenti ed ha tecnologia.
Però qui si pone un tema preoccupante.
L’America Latina, che ha una lunghissima esperienza di relazioni di
sottomissione, di dominazione da parte degli imperi (prima quelli
europei, poi gli USA), non ha imparato niente.
Nei confronti della Cina siamo esportatori di materie prime. Non abbiamo imparato niente.
[Ass.BGS] C’è una prospettiva politica per superare questa contraddizione?
[Acosta] Io penso che sia necessario cominciare a compiere una differenziazione fra sinistra e progressismo.
I governi progressisti sorgono da una matrice di sinistra, ma non sono di sinistra.
La sinistra, sto pensando a quella indipendentista degli anni ’60, ’70 e
’80, capiva chiaramente che doveva liberarsi dalla dipendenza
dell’esportazione di risorse primarie.
Al contrario, i governi progressisti approfondiscono la dipendenza.
La sinistra aveva chiaro che bisognava superare le enclaves.
I governi progressisti approfondiscono le enclaves.
I governi progressisti anche se parlano di socialismo non hanno attuato politiche socialiste.
Non sto pensando al socialismo tradizionale, che statalizza tutto, però
almeno al minimo che si sarebbe dovuto pretendere, cioè cominciare ad
incidere sulla logica dell’accumulazione del capitale.
Al contrario, il discorso socialista è diventato uno strumento per modernizzare il capitalismo.
Álvaro García Linera, che prima del golpe era vicepresidente della
Bolivia, sosteneva esplicitamente il ruolo dello Stato nella
modernizzazione del “capitalismo andino amazzonico”.
Nel caso dell’Ecuador il presidente Correa sosteneva che far la riforma
agraria era come distribuire povertà, quando sappiamo bene che un'adeguata riforma agraria può essere la base per l’industrializzazione,
la creazione di lavoro, e dell’autosufficienza alimentare.
Con questo non voglio dire che non ci siano stati dei progressi in America Latina.
In Bolivia quello che ritengo sia il principale progresso – ed è ciò che
sta provocando questa reazione brutale delle elites bianche – è una
sorta di rivoluzione culturale.
La popolazione indigena ha più orgoglio, più coscienza. Questo è un tema chiave.
Ma non è sufficiente.
La domanda che dobbiamo farci è: cosa significa sinistra nel XXI secolo?
A mio modo di vedere deve essere una sinistra con criteri socialisti,
che vada ad incidere sulla logica di accumulazione del capitale, ma
simultaneamente, non “prossimamente”.
Deve essere una sinistra femminista, per superare il patriarcato, simultaneamente.
Deve essere una sinistra decoloniale, per superare tutte le forme di
emarginazione e razzismo, e deve essere una sinistra ecologista,
simultaneamente.
E questo richiede più democrazia dal basso, mai meno.
Note:
1) Maristella Svampa, «Consenso de los Commodities» y lenguajes de valoración en América Latina, Nueva Sociedad, n. 244, marzo-aprile 2013.
2) Sebastián Herreros, José Durán, Reprimarización y Desindustrialización en América Latina, dos caras de la misma moneda, SegundaMesa Redonda sobre Comercio y Desarrollo Sostenible, CEPAL, Montevideo 7/11/11
3) Fernanda Wanderley , José Peres-Cajías , Beatriu de Pinós, ¿Diversificación productiva o reprimarización de la economía boliviana?, Pagina Siete, 16/06/2019.
Fonte
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