Domenica, il Parlamento iracheno ha votato per il ritiro definitivo e in una singola fase di tutte le forze armate straniere dal paese: il che significa, soprattutto le truppe USA, ma anche i militari italiani, per dire. Trump ha risposto che “Se ci saranno ostilità, se faranno qualcosa che ci sembra inaccettabile, imporremo all’Iraq sanzioni tali che quelle contro l’Iran sembreranno una cosetta noiosa” e ha anche aggiunto che le truppe americane non se ne andranno finché Baghdad non avrà pagato per la base aerea USA.
Il Parlamento iracheno ha chiesto anche l’annullamento dell’accordo con la coalizione internazionale contro l’ISIS; chiede al governo di proibire l’uso di spazio aereo e acque territoriali a forze militari straniere e di garantire il diritto esclusivo dello Stato a utilizzare armi all’interno del paese; impegna il Ministero degli esteri a presentare immediatamente una denuncia alle Nazioni Unite sulla violazione della sovranità del paese da parte USA; impegna il Governo a indagare sugli attacchi americani e riferire in Parlamento entro sette giorni.
Sabato sera, un razzo era caduto nella cosiddetta “zona verde” di Baghdad, in cui si trovano l’ambasciata USA e diversi complessi governativi iracheni. Sempre sabato, a Bruxelles l’alto rappresentante agli esteri UE, Josep Borrell e il Ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif avevano discusso delle implicazioni della crescente tensione in Iraq per il piano d’azione congiunto globale (JCPA) sul programma nucleare iraniano.
Da Washington, invece, Donald Trump aveva minacciato di ricorrere alla nuova arma da 2 trilioni di dollari contro 52 obiettivi iraniani, nel caso venga attaccata una qualsiasi base americana; per la qual cosa, per inciso, Teheran non avrebbe che l’imbarazzo della scelta, vista la massa di basi yankee tutt’intorno al paese e avrebbe anche il potenziale missilistico adeguato.
Da parte loro, Mosca e Pechino sono intenzionati a compiere passi comuni per regolare la situazione mediorientale. In un colloquio telefonico, i Ministri degli esteri Sergej Lavròv e Wang Yi hanno osservato che l’azione illegale USA contro l’Iran ha seriamente inasprito la situazione nella regione. Russia e Cina, hanno detto, sono interessate a ridurre le tensioni e adotteranno misure congiunte per una soluzione pacifica delle situazioni di conflitto. Al telefono con il Ministro degli esteri iraniano Zarif, Wang Yi ha espresso l’opposizione della Cina all’uso della forza nelle relazioni internazionali.
Che un’azione “sconsiderata” USA fosse attesa, parrebbe testimoniarlo anche il fatto che, il giorno prima dell’assassinio del comandante delle forze “al Quds” del Corpo dei Guardiani della rivoluzione, generale Qassem Soleimani e del vice comandante delle milizie sciite, Abu Mahdi al-Muhandis, il Presidente cinese Xi Jinping aveva firmato un ordine di mobilitazione per le forze armate. Vero che si tratta di “esercitazioni”, ma pur sempre il primo ordine della Commissione militare centrale nell’appena iniziato 2020 e l’agenzia Xinhua specifica che si tratta di “addestramento militare in condizioni di combattimento reali”. Xi avrebbe anche chiesto alle forze armate di mantenere un “alto livello di prontezza e intensificare gli addestramenti di emergenza e di combattimento”.
Il ricercatore dell’Accademia cinese di scienze sociali, Tang Zhichao, sentito da Xinhua, osserva che, oltre alla “vendetta” di cui parla Washington, gli USA hanno ucciso Soleimani anche per consolidare la propria egemonia in Medio Oriente, minando quella iraniana. “L’Iran considera l’Iraq, in particolare le milizie sciite irachene, come uno strumento importante per contrastare gli Stati Uniti, quindi l’azione USA significa costringere l’Iran ad allentare la presa sull’Iraq”.
Il mondo sull’orlo di una tremenda guerra in Medio Oriente, scrive Aleksandr Sitnikov su Svobodnaja Pressa, accennando all’invio di ulteriori 3.500 soldati USA in Medio Oriente, in aggiunta ai 35.000 (13.550 in Kuwait, 8.000 in Qatar, 9.000 in Arabia Saudita, 4.000 in Bahrein) già presenti. Sitnikov ipotizza anche il coinvolgimento di Arabia Saudita, Turchia e Israele, nel caso si arrivi ad attacchi a petroliere in transito nel Golfo persico.
Del fatto che gli USA dessero la caccia a Soleimani si era già scritto due anni fa, ricorda Sitnikov. “Tra l’altro, era stato Soleimani a reprimere il ‘majdan’ iraniano, che, con l’esplicito sostegno USA, era scoppiato in molte città dell’Iran a fine 2017. Allora, il giornale Kuwait al-Jarida aveva scritto che Washington aveva dato il via libera a Israele per l’assassinio del comandante di al-Quds”.
D’altra parte, l’assassinio di Soleimani “può avere un effetto destabilizzante nello stesso Iran. Dato che l’opposizione è abbastanza forte, trarrà sicuramente vantaggio dalla perdita di un sostenitore così autorevole dell’Ayatollah Ali Khamenei”. Dunque c’è da aspettarsi “un brusco peggioramento della situazione politica interna” o addirittura di “una sanguinosa guerra civile”.
Ma, il che sarebbe molto peggio per Mosca, continua Sitnikov, “anche caos generale in Siria. È improbabile che le milizie sciite, private del comando, siano in grado di aiutare le forze di Assad come prima. Rialzeranno così la testa ISIS e altre organizzazioni sunnite, sconfitte con l’attiva partecipazione di Soleimani”. Ciò avrà effetti negativi anche per la Russia, dato che “le milizie sciite sono state il più forte alleato delle truppe russe in Siria. Se in Iran prende forza una ‘rivoluzione colorata’, per la quale Trump ha stanziato 1 miliardo di dollari, è probabile che i militanti di al-Quds tornino dalla Siria per difendere il regime di Ali Khamenei, così che l’intero peso della guerra ricadrà esclusivamente sui nostri soldati”.
Di parere contrario il politologo orientalista Vladimir Sažin. Sulla rivista Vita Internazionale si dice abbastanza sicuro che “non si arriverà a un conflitto su larga scala. L’assassinio di Soleimani ha ulteriormente aggravato la situazione in Iran, attorno all’Iran e al Medio Oriente nel suo insieme”, dice; ora tutti “aspettano la risposta dell’Iran. Quasi l’intera leadership della Repubblica islamica ha annunciato vendetta per l’azione di Trump”.
E Teheran avrebbe tutte le possibilità e potenzialità per tale risposta. Ma “è improbabile che scoppi una grande guerra tra Iran e Stati Uniti: entrambi sanno di non averne bisogno. Il pericolo è che l’Iran risponda, in qualche modo, dato che l’intera leadership ha parlato di rappresaglia dura: il prossimo attacco USA sarebbe ancora più duro. Cioè, si può avere una escalation reciproca; ma anche in questo caso sono sicuro che sia improbabile una guerra su larga scala”.
Mikhail Ošerov definisce l’omicidio un “crimine internazionale commesso apertamente dagli USA”. Assassinando Soleimani, scrive su iarex.ru, Washington ha compiuto l’ennesimo passo che risponde più agli interessi israeliani, che non a quelli USA. Lo stesso attacco americano alla città di Kaim, che avevano poi provocato le manifestazioni anti-USA a Baghdad, risponde agli interessi israeliani.
“Attraverso la città, base dell’esercito iracheno, passa l’unica via di terra tra Baghdad e Damasco, e Tel Aviv intende interrompere comunicazioni dirette tra Siria, Iraq e Iran. Gli eventi in Medio Oriente” dice Ošerov, “iniziano a svilupparsi verso un inasprimento di tutti i conflitti. Questo non è il primo atto terroristico internazionale yankee; ma è la prima volta che lo commettono così apertamente e se ne vantano. I leader statunitensi stanno diventando sempre più inadeguati in termini di semplice logica umana, e con loro è impossibile condurre negoziati e concludere accordi. Vanno fermati”.
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