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10/01/2020

USA - Ambigui tentativi di de-escalation con l'Iran

di Michele Giorgio – il Manifesto

Il lento percorso di Iran e Usa verso la de-escalation è segnato dall’offerta ambigua di negoziato fatta da Trump e dal ritorno in campo della voce moderata di Hassan Rohani. Donald Trump si è detto pronto «ad impegnarsi senza precondizioni in negoziati seri», in una lettera inviata al Consiglio di Sicurezza dell’Onu dall’ambasciatrice americana Kelly Craftin. L’obiettivo di Washington sarebbe quello di «prevenire ulteriori rischi per la pace e la sicurezza internazionali o l’escalation da parte del regime iraniano», si spiega nella missiva, in cui l’eliminazione di Soleimani è giustificata come un atto di autodifesa. Trump aveva già proposto ai firmatari dell’accordo sul nucleare iraniano del 2015 (Jcpoa) di uscirne come hanno fatto gli Usa per rinegoziarne un altro insieme a Tehran. Ipotesi respinta dall’Iran. L’ambasciatore all’Onu Majid Takht Ravanchi ha definito «incredibile» il fatto che gli Usa offrano colloqui mentre rafforzano ulteriormente le sanzioni, che, come ha annunciato ieri Trump, «sono già pronte e saranno durissime». Ravanchi ha ribadito quella che è sempre stata un’altra condizione di Tehran per tornare al tavolo: «I negoziati sono possibili solo se gli Usa rientrano nell’accordo».

Da parte sua il presidente iraniano, protagonista dell’accordo sul nucleare raggiunto con l’Occidente, è stato come un fiume in piena durante la conversazione telefonica di ieri con il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. L’Unione europea, ha chiesto, deve assumere «posizioni indipendenti da Washington» e non permettere che l’Iran resti «totalmente deluso» dall’Europa. «Gli Stati Uniti hanno commesso terrorismo economico stabilendo sanzioni contro l’Iran perfino sul cibo e le medicine – si è lamentato Rohani – e hanno violato tutte le regole internazionali assassinando il principale comandante militare dell’Iran (Qassem Soleimani). L’Europa deve rispondere a questi atti terroristici degli Usa». Un passo che l’Ue non muoverà. Michel ha soltanto assicurato che Bruxelles è pronta a fare la sua parte per disinnescare le tensioni ed espresso sostegno al Jcpoa, «fattore chiave», ha spiegato, nell’architettura globale di non proliferazione nucleare. Ha perciò invitato l’Iran a evitare atti irreversibili e a non uscire dall’accordo sul nucleare così come hanno fatto gli Usa nel maggio 2018.

Nelle stesse ore i Pasdaran, i Guardiani della Rivoluzione islamica iraniana, cantavano vittoria per gli attacchi missilistici che hanno lanciato contro due basi irachene che ospitano forze militari statunitensi e con i quali ritengono di aver vendicato l’assassinio del generale Soleimani ordinato da Donald Trump. Secondo il generale delle forze aerospaziali dei Pasdaran, Amir Ali Hajizadeh, quei lanci di missili sono stati «l’inizio di una grande operazione» che potrebbe continuare in tutta la regione. «Non abbiamo cercato di uccidere. Abbiamo cercato di colpire la macchina militare del nemico», ha spiegato Hajizadeh. Tuttavia, ha aggiunto, «decine di persone sono morte e alcune sono rimaste ferite. I numeri verranno resi noti in seguito». Secondo gli Stati Uniti e le stesse forze militari irachene invece l’attacco iraniano non avrebbe provocato vittime. Il generale dei Pasdaran ha sottolineato che l’operazione avrebbe potuto essere molto più letale e ha previsto fino a «5 mila in meno di 48 ore in caso di una risposta da parte di Washington». Infine Hajizadeh ha negato che una parte dei missili abbia fallito il bersaglio: «Tutti i missili hanno colpito gli obiettivi».

In Iraq invece i toni non sono da trionfo. Il paese mai come in queste ore è schiacciato tra i muscoli degli “alleati” americani e la pesante influenza del vicino iraniano. Ed è tornato a far sentire la sua voce uno degli uomini forti del paese, il leader sciita Muqtada al Sadr, che ha dichiarato «concluso» lo scontro militare tra Usa e Iran. Al Sadr ha esortato a riprendere in mano il filo politico dell’Iraq, attraversato prima dell’assassinio di Soleimani da manifestazioni popolari di protesta contro disoccupazione, corruzione e malgoverno represse nel sangue dalle forze di sicurezza. Al Sadr ha auspicato nei prossimi 15 giorni la formazione di un governo iracheno forte, in grado di proteggere la sovranità dell’Iraq e di tenere elezioni anticipate. Sadr si è quindi rivolto alle varie milizie sciite vicine all’Iran per esortarle a «mettere a tacere le voci più estreme» e a non «avviare azioni armate» contro obiettivi americani.

Di Iran e della situazione regionale hanno parlato ieri al telefono Trump e il premier israeliano Netanyahu, unico leader politico ad aver dato pieno sostegno alla decisione della Casa Bianca di uccidere Soleimani.

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