di Michele Giorgio – il Manifesto
Il lento percorso di Iran
e Usa verso la de-escalation è segnato dall’offerta ambigua di
negoziato fatta da Trump e dal ritorno in campo della voce moderata di
Hassan Rohani. Donald Trump si è detto pronto «ad impegnarsi senza precondizioni in negoziati seri»,
in una lettera inviata al Consiglio di Sicurezza dell’Onu
dall’ambasciatrice americana Kelly Craftin. L’obiettivo di Washington
sarebbe quello di «prevenire ulteriori rischi per la pace e la sicurezza
internazionali o l’escalation da parte del regime iraniano», si spiega
nella missiva, in cui l’eliminazione di Soleimani è giustificata come un
atto di autodifesa. Trump aveva già proposto ai firmatari dell’accordo
sul nucleare iraniano del 2015 (Jcpoa) di uscirne come hanno fatto gli
Usa per rinegoziarne un altro insieme a Tehran. Ipotesi respinta
dall’Iran. L’ambasciatore all’Onu Majid Takht Ravanchi ha
definito «incredibile» il fatto che gli Usa offrano colloqui mentre
rafforzano ulteriormente le sanzioni, che, come ha annunciato
ieri Trump, «sono già pronte e saranno durissime». Ravanchi ha ribadito
quella che è sempre stata un’altra condizione di Tehran per tornare al
tavolo: «I negoziati sono possibili solo se gli Usa rientrano nell’accordo».
Da parte sua il presidente iraniano, protagonista dell’accordo sul
nucleare raggiunto con l’Occidente, è stato come un fiume in piena
durante la conversazione telefonica di ieri con il presidente del
Consiglio Europeo, Charles Michel. L’Unione europea, ha chiesto,
deve assumere «posizioni indipendenti da Washington» e non permettere
che l’Iran resti «totalmente deluso» dall’Europa. «Gli Stati
Uniti hanno commesso terrorismo economico stabilendo sanzioni contro
l’Iran perfino sul cibo e le medicine – si è lamentato Rohani – e hanno
violato tutte le regole internazionali assassinando il principale
comandante militare dell’Iran (Qassem Soleimani). L’Europa deve rispondere a questi atti terroristici degli Usa». Un passo che l’Ue non muoverà. Michel
ha soltanto assicurato che Bruxelles è pronta a fare la sua parte per
disinnescare le tensioni ed espresso sostegno al Jcpoa, «fattore
chiave», ha spiegato, nell’architettura globale di non proliferazione
nucleare. Ha perciò invitato l’Iran a evitare atti irreversibili e a non
uscire dall’accordo sul nucleare così come hanno fatto gli Usa nel
maggio 2018.
Nelle stesse ore i Pasdaran, i Guardiani della Rivoluzione
islamica iraniana, cantavano vittoria per gli attacchi missilistici che
hanno lanciato contro due basi irachene che ospitano forze militari
statunitensi e con i quali ritengono di aver vendicato l’assassinio del
generale Soleimani ordinato da Donald Trump. Secondo il
generale delle forze aerospaziali dei Pasdaran, Amir Ali Hajizadeh, quei
lanci di missili sono stati «l’inizio di una grande operazione» che
potrebbe continuare in tutta la regione. «Non abbiamo cercato di
uccidere. Abbiamo cercato di colpire la macchina militare del nemico»,
ha spiegato Hajizadeh. Tuttavia, ha aggiunto, «decine di persone sono
morte e alcune sono rimaste ferite. I numeri verranno resi noti in
seguito». Secondo gli Stati Uniti e le stesse forze militari irachene invece l’attacco iraniano non avrebbe provocato vittime.
Il generale dei Pasdaran ha sottolineato che l’operazione avrebbe
potuto essere molto più letale e ha previsto fino a «5 mila in meno di
48 ore in caso di una risposta da parte di Washington». Infine Hajizadeh
ha negato che una parte dei missili abbia fallito il bersaglio: «Tutti i
missili hanno colpito gli obiettivi».
In Iraq invece i toni non sono da trionfo. Il paese mai come
in queste ore è schiacciato tra i muscoli degli “alleati” americani e la
pesante influenza del vicino iraniano. Ed è tornato a far sentire
la sua voce uno degli uomini forti del paese, il leader sciita Muqtada
al Sadr, che ha dichiarato «concluso» lo scontro militare tra Usa e
Iran. Al Sadr ha esortato a riprendere in mano il filo politico
dell’Iraq, attraversato prima dell’assassinio di Soleimani da
manifestazioni popolari di protesta contro disoccupazione,
corruzione e malgoverno represse nel sangue dalle forze di sicurezza. Al
Sadr ha auspicato nei prossimi 15 giorni la formazione di un governo
iracheno forte, in grado di proteggere la sovranità dell’Iraq e di
tenere elezioni anticipate. Sadr si è quindi rivolto alle varie milizie
sciite vicine all’Iran per esortarle a «mettere a tacere le voci più
estreme» e a non «avviare azioni armate» contro obiettivi americani.
Di Iran e della situazione regionale hanno parlato ieri al telefono Trump e il premier israeliano Netanyahu, unico leader politico ad aver dato pieno sostegno alla decisione della Casa Bianca di uccidere Soleimani.
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