Anche i numeri possono essere ideologici. Distruggendo così quel molto di rispettabilità che il linguaggio matematico si è conquistato da Galilei in poi.
L’ideologia sta naturalmente nelle intenzioni di chi spara numeri come fossero tavole della legge divina, anche quando – addirittura in premessa – è costretto ad ammettere che quei numeri sono assolutamente di “fantasia”, frutto di speranze più che di previsione scientifica.
L’ultimo parto del Centro Studi di Confindustria, pubblicato ieri, con il titolo “Le previsioni per l’Italia”, è un capolavoro di astrologia in numeri, il cui unico scopo è dettare il programma di governo sulla base delle urgenze “percepite” dalle aziende private.
Giudizio duro? No, una presa d’atto...
Già nella premessa, come detto, si chiarisce che in questo caso di “scientifico” non c’è proprio niente: “Più che quello di prevedere il futuro, questo è il tempo di agire affinché il nostro Paese, la nostra società, possano affrontare adeguatamente questa fase drammatica e risollevarsi quando l’emergenza sanitaria sarà mitigata”.
Se non sono possibili previsioni, va da sé, quel che segue è solo un “piano d’azione” per disegnare il “dopo”.
La domanda è purtroppo sempre la stessa: a vantaggio di chi?
Piani d’azione che soddisfino le esigenze di tutti non sono in teoria impossibili, ma possono essere stesi solo con in testa l’interesse generale di tutta la popolazione. Insomma, un piano d’azione socialista...
Altrimenti si sta solo provando a nascondere un interesse di parte sotto parole genericamente “oggettive”. Nell’ansia di convincere il governo – come se fosse difficile... – questo modo di fare diventa addirittura scoperto.
“Occorre tutelare il tessuto produttivo e sociale della Nazione, lavoratori, imprese, famiglie, con strategie e strumenti inediti e senza lesinare risorse in questo momento per garantire il benessere futuro. Occorre agire subito, senza tentennamenti o resistenze: altri paesi si stanno già muovendo in questa direzione.”
E in effetti in tutti i paesi ci si preoccupa di “tutelare il tessuto produttivo e sociale della Nazione, lavoratori, imprese, famiglie, con strategie e strumenti inediti”, altrimenti a fine crisi ci si ritroverà nel deserto produttivo, con masse sterminate di individui disoccupati e senza alcuna risorsa per sopravvivere. Un posto pericoloso, oltretutto...
La questione dirimente non è se tutelare o no il “sistema produttivo” – certo che bisogna farlo! gli operai comunisti difesero le fabbriche dai nazisti in fuga che volevano distruggerle... – ma se farlo per riprodurre il sistema così com’era (dominanza assoluta della proprietà privata su qualsiasi interesse generale, assenza pressoché totale di diritti del lavoro, eliminazione quasi perfetta del welfare e dello Stato sociale, ecc.), oppure per costruire un sistema che non abbia le debolezze invalidanti di quello che va morendo sotto i colpi della crisi.
Qui non si scappa e quindi il Csc confindustriale dovrebbe essere chiaro: “Siamo in una recessione atipica, che non nasce dall’interno del sistema economico italiano, né in quello internazionale. Non nasce dall’incepparsi di qualche meccanismo dei mercati finanziari o dalla necessità di ‘correggere’ qualche eccesso. Lo shock viene dall’esterno, colpisce l’economia come un meteorite.”
C’è un che di patetico, in questa dichiarazione di innocenza del modello neoliberista (sia come sistema economico, sia come sistema di pensiero) rispetto a uno shock esterno. Come se i dinosauri avessero avuto colpa di essere inadatti a sopravvivere nel pianeta dopo l’impatto del mega asteroide...
Ma c’è anche molta falsità. Il sistema economico occidentale era già in stagnazione prolungata da parecchi mesi, e non tutte le economie avevano ancora recuperato il livelli produttivi ante-crisi del 2008; di certo non c’era riuscita quella italiana, zavorrata da una classe imprenditoriale propensa più alla delocalizzazione che agli investimenti “in patria” e da trattati europei che impongono l’austerità anche quando sei in crisi.
Quel sistema era già così “inceppato” da non poter reagire ad uno shock. Tantomeno ad uno di queste dimensioni. Ma altri sistemi ci sono riusciti e ci stanno riuscendo. Non solo la Cina, che ha il sicuro vantaggio di una pianificazione centralizzata su base pluriennale e una dominanza sicura dell’”interesse pubblico” su quello privato (che peraltro produce miliardari in gran numero...). Anche la Corea del Sud, per esempio, ha assorbito meglio il colpo, sia sul piano sanitario che – di conseguenza – su quello economico.
Questo è un punto decisivo.
I sistemi dell’Occidente neoliberista (Unione Europea e Stati Uniti, in primo luogo) hanno accolto l’epidemia a mani nude, con sistemi sanitari pubblici ridotti all’osso o anche meno (gli Usa, sicuramente). Lo si vede dopo oltre un mese nella massa di operatori sanitari e soccorritori costretti ad operare senza dispositivi di protezione individuali efficaci. Lo si vede nella mancanza di materiali in genere (ventilatori polmonari, valvole, ecc.) e nella scarsità di aziende produttrici dedicate.
Questa fragilità sanitaria non è figlia delle stelle o del “meteorite” improvviso: è il risultato di 40 anni di dominio delle imprese su ogni altro aspetto (lavoro, certo, ma anche ambiente e clima). Quindi era ed è uno dei “meccanismi” di sistema che risultano nei fatti inadeguati allo scopo di far sopravvivere il sistema stesso. E la selezione naturale non perdona...
Se, insomma, quel sistema non regge gli shock imprevisti, è un sistema storicamente superato. Sarebbe da criminali rimettere in piedi una casa senza criteri antisismici in una zona spesso oggetto di terremoti, no?
Il sistema amato da Confindustria non sta più in piedi ma richiede, per cercare di farcelo stare ancora una volta, una massa di risorse spaventosa che – come ci raccontavano in tutti i talk show di regime – “non ci sono”. E così tutti riscoprono l’helycopter money keynesiano (i soldi direttamente sul conto corrente individuale, da parte dello Stato, come nella proposta di Trump-Meloni), o i “titoli di Stato irredimibili” (ultra-trentennali, senza restituzione alla scadenza, con sola distribuzione dell’interesse annuo, addirittura per bocca di Tito Boeri!).
Insomma, lo Stato invocato a tutela del privato, ma anche della popolazione in generale, perché un’azienda può anche salvarsi e continuare a produrre, ma poi serve anche chi compra, con soldi veri in tasca. Con buona pace del debito pubblico e dei tabù di Cottarelli...
Infatti lo “studio” prosegue imperterrito, ma con un dubbio esistenziale: “Non appena possibile, occorrerà poi mobilitare risorse rilevanti per un piano di ripresa economica e sociale. In entrambe le fasi, un’azione comune o almeno coordinata a livello europeo sarebbe ottimale; in assenza di questa possibilità, la risposta della politica economica nazionale dovrà essere comunque tempestiva ed efficace”.
Anche Confindustria, a questo punto, dubita che l’Unione Europea possa, voglia o riesca ad agire come un soggetto unitario e attento agli interessi generali. Ed è singolare che Confindustria veda e indichi la differenza di interessi quando questi stanno sopra il proprio livello (i mercati e la UE), mentre la nasconde quando è lei a calpestare gli interessi altrui (quelli dei lavoratori, in genere).
Con queste premesse, “i numeri” indicati dal CSC – meno 10% di Pil nel primo semestre, meno 6% per il 2020, persino ottimistici, secondo il nostro modestissimo parere – sono del tutto strumentali, a supporto della “piattaforma di governo” che gli imprenditori hanno individuato: “un piano anti-ciclico straordinario, finanziato con risorse europee; interventi urgenti per il sostegno finanziario di tutte le imprese, piccole, medie e grandi; strumenti di moratoria e sospensione delle scadenze fiscali e finanziarie; un’operazione immediata di semplificazione amministrativa, per rendere subito effettiva l’azione di politica economica.”
La “lista della spesa”, si dice spesso dei programmi elettorali... di solito irrealizzati, perché si parla di cose che non dipendono dalla volontà di uno solo (in questo caso dal governo italiano). Come quelle “risorse europee” che non si sa se, quanto, come e quando, con quali condizionalità ecc., saranno messe a disposizione.
In questo anche gli imprenditori sono straordinari... Quando si tratta di soldi che deve tirar fuori qualcun altro, sono “generosissimi”. Per esempio, “Confindustria insieme con le Confindustrie tedesca e francese ha proposto un piano europeo straordinario di entità pari a 3.000 miliardi di euro di investimenti pubblici.” Chi offe – pardon, chiede – di più?
Potremmo andare avanti a lungo – il rapporto cita anche la “lotta al cambiamento climatico”, che prevederebbe come minimo un governo unico e non capitalistico mondiale – ma ogni lettore può farsi a questo punto un’opinione della “logica” con cui Confindustria, ossia le imprese italiane, si muovono.
Una danza immobile in un recinto che non c’è più.
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