03/04/2020
Narrazione distopica sull’attuale pandemia: una proiezione astratta di variabili socio-politiche
Inoffensivo passi il tuo tempo nella prateria,
appena consapevole di un certo disagio presente nell’aria
Farai meglio a stare attento: potrebbero esserci cani intorno
Ho guardato oltre il fiume Giordano e ho visto
Le cose non sono quello che sembrano
Cosa ci guadagni a far finta che non ci sia un vero pericolo
Docile e obbediente segui il capo
Giù per i corridoi molto frequentati, nella valle d’acciaio
Che sorpresa! Uno sguardo scioccato nei tuoi occhi
Ora le cose sono proprio quello che sembrano.
No, questo non è un brutto sogno
Il signore è il mio pastore
Non chiederò niente
Mi fa sdraiare in prati verdi
Mi conduce lungo acque silenti
Con coltelli lucenti egli libera la mia anima
Mi fa penzolare a ganci nei luoghi più alti
Mi trasforma in cotolette d’agnello
Eccolo, è molto potente e molto affamato
Quando viene il giorno, noi umilmente
In quieta riflessione e grande dedizione
Proviamo l’arte del karate
Ecco, noi risorgeremo e faremo piangere i maledetti.
Belando e balbettando l’ho preso per il collo con un grido
Onda sopra onda di furia vendicativa
Cammina allegramente fuori dall’oscurità del sogno
Hai sentito la notizia?
I cani sono morti
È meglio che tu stia a casa a fare quello che ti è stato detto
Togliti dalla strada se vuoi diventare vecchio
“Sheeps”, Animals, Pink Floyd (1977)
Inizialmente si pensava fosse un virus, un virus debellabile.
La percezione di tutto ciò era ben scritta nella presunzione secolarizzata e canonizzata dietro al dogma dell’infallibilità della scienza, nell’uomo attuale, nei figli della modernità insomma.
L’epidemia sarebbe stata controllata, risolta. Bastava avere fiducia, portare pazienza. In effetti, in un primo momento venne tamponata, sebbene tra scelte infelici. Il settore sanitario di intere nazioni, Italia compresa, stremato, in ginocchio già davanti al primo squillo. Le leggi del neoliberismo avevano imposto d’altronde tagli e sacrifici negli anni precedenti. Ma delle risposte di carattere da parte della popolazione ci furono, vuoi i caroselli fuori dalla finestra durante la quarantena, vuoi i legami che si istituirono nel virtuale, tra le varie sacche di disperazione individuale, tra monadi ed universi interiori l’uno separato dall’altro, che il virtuale appunto seppe mettere in relazione; a dimostrazione però per via negativa, a testimonianza di come l’ordine fondamentale, la dimensione autentica del vivere nella specie, etica ed ontologia della felicità, fosse la fisicità delle relazioni sociali.
Si chiesero sforzi economici alla popolazione, impoverita ormai in maniera dilagante a causa del rallentamento netto del sistema produttivo. Si fecero infine, come dicevamo sopra delle scelte spudoratamente infelici. Scelte che esprimevano dei conflitti sotterranei di ordine socio-economico. Come viene narrato nei Promessi Sposi del Manzoni, la Peste, il male aveva trovato di nuovo nascita, espansione ed impatto assordante nel Nord dell’Italia, nella regione Lombardia, lo stesso cuore pulsante dell’economia italiana, Milano, la vera capitale d’Italia, ferita proprio sul terreno della propria grandezza.
Che sia o meno una maledizione del destino, la Peste colpì dove si sperimentò con acume una contraddizione di carattere “biopolitico”: il capitale vuole lavoro, lavoro “vivo”, questa volta si chiese esplicitamente di lavorare per ammalarsi, magari per morire. Una scelta folle sul piano della razionalità sociale.
Nonostante tutto, la generosità collettiva teneva in un primo momento, serpeggiava l’ottimismo, si pensava che tutto alla fine “sarebbe andato bene”. La questione però si fece poi più complessa. Il consueto ottimismo positivo e scientifico si fece più traballante: senza vaccino l’epidemia non si contrastava con efficacia ed i tempi con i quali “inventare”, scoprire questo vaccino diventarono sempre più lunghi. L’epidemia nel frattempo tornò a colpire come fu per la spagnola, per strattoni, si fece sempre più endemica, il virus man mano si rinforzava e la situazione divenne davvero disperatamente emergenziale.
Le variabili in campo, ce ne accorgemmo ben presto erano numerose e non era facile avere le idee chiare, sia nella teoria che nella pratica. Si brancolava letteralmente nel buio. In politica, a sinistra per esempio in Italia si contava l’ennesimo partito della concertazione sociale, il Pd, un’anima più “progressista” nei 5 stelle ed infine una costellazione sterminata sia di piccoli partiti, sia di nicchie più o meno strutturate, nei loro rispettivi territori, di esperienze tardo antagoniste. Il fronte, ovviamente non andava d’accordo da tempo.
Nelle contingenze e nella velocità di quei fatti, l’avamposto del fronte venne ad essere occupato dal “grillismo progressista”, ma la cosa partorì da subito legittime tensioni lungo questa fragile, sottile e fantomatica linea gotica. Inizialmente il consenso verso il leader Conte era alto, quasi unanime. Come lo fu pure per Mussolini, d’altronde. Perché Conte si dimostrò incapace di risolvere e snodare una contraddizione decisiva, come avrebbero sostenuto alcuni teorici post marxisti: la contraddizione economica, che però andava assumendo, stavolta, una conformazione differente.
Come scritto sopra, il capitalismo classico esigeva lavoro vivo: mirava alla sopravvivenza del lavoratore, si pensi appunto a quello che Marx definì come salario di sussistenza, il padre di tutti i salari. Ma in questa fase così cruciale gli operai continuarono a lavorare facendo da detonatore al grande male, gettando benzina sul fuoco, alimentando sempre più nuovi focolai. Il feticcio ideologico della produttività esacerbò lo stato delle cose e la mossa folle, da parte degli industriali, di esporre una linea dell’esercito industriale al fuoco del contagio, convinti di sostituire poi, come carta di riserva biologicamente immacolata, con la sterminata massa di immiseriti, con coloro che trascorrevano le loro giornate chiusi tra plumbee mura, si rivelò determinante.
Il sistema sociale presentava palesi difficoltà di tenuta, capitalismo ed industrialismo potevano benissimo salire sul banco degli imputati di questa tragedia, come sospetti principali, forse come cagione principale e diretta dello stesso male; eppure si sforzarono, tentarono un ultimo canto del cigno, canto che potremmo dire di Sirena anche, data la letalità delle loro azioni. Ecco la contraddizione che un Conte qualsiasi dovette gestire: un piano di consapevolezza su un capitalismo moribondo e comatoso, in perfetta antitesi con la volontà degli “industriali” di non cedere il passo sul palcoscenico della storia. Ma ogni contraddizione premeva a catena su un’altra in quei giorni bui: il vaccino tardava ad arrivare e per questo vennero ratificate con maggiore stabilità “misure straordinarie”.
L’esercito da trovarsi nella strade “per caso”, venne mantenuto sulle medesime strade si, ma con scopi ben differenti stavolta. Pensiamo all’esempio dei tamponi. Nella fase iniziale era doveroso cercare di uscire dalla opacità della situazione: non si capiva chi fosse positivo, chi fosse negativo. Questa ricerca se solo si fosse accompagnata a maggiori approfondimenti, se si fossero cercati anticorpi, pensati, presuntivamente inesistenti ma “chi può dirlo”, presso delle eccezioni, con esami di sangue a plasma magari, avrebbe attestato una maggiore precisione metodologica, una maggiore fedeltà ad un metodo scientifico efficace. Il famoso paradosso di Hume sui cigni neri ed i cigni bianchi avrebbe dovuto fare da monito: non si può sostenere che tutti i cigni siano bianchi fino a quando non si sarà dimostrata l’inesistenza anche di un solo cigno nero.
Ebbene, i tamponi vennero impiegati solo per distinguere e sceverare biologicamente la popolazione, portando una distinzione di superficie tra i positivi ed i negativi. Arrivammo così ad un principio di schedatura biologica di massa, che si innestò sulle precedenti differenziazioni di classe. I negativi chiusi in casa, controllati da esercito e polizia e pronti ad essere scaraventati sul fronte del lavoro in caso di insufficienze numeriche nei già impiegati; i positivi ammassati in sorta di Lager, almeno “fino a data da destinarsi”, fino a che non si fosse scoperto un vaccino, lontani dal mondo, in lager di prima classe per positivi ricchi ed in lager miserabili per poveracci. Non tardarono le ribellioni e le prime insurrezioni partirono dalle istituzioni totali: lager per positivi e carceri.
Più tardava l’arrivo del vaccino, più il clima si faceva instabile. Alcuni negativi presi nella panacea del loro reddito di povertà, la maggior parte cioè, inizialmente stettero a guardare e nemmeno poco spaventati da questa “degenerazione”. Nelle stanze però della politica più “avanguardista” non si tardò a capire come nello snodo tra positivi e negativi corresse un senso profondo e cruciale del nuovo conflitto sociale. Da qui in poi il conflitto infatti si generalizzò. In questo momento, in questo scorcio fulmineo di storia Confindustria capitalizzò la circostanza, fece la voce grossa e calò il proprio golpe, realizzando un fascismo nuovo, non ideologico ma tecnico, ovvero prettamente declinato sul dovere di sottostare alle scelte mirate alla sopravvivenza del tessuto economico.
Il vaccino venne infine trovato, ma era ormai troppo tardi. L’economia era completamente depauperizzata e si chiesero nuovi, infiniti sforzi economici alla popolazione. Per ricavare nuovi profitti, all’altezza del “paradiso appena perduto” si tornò a lavorare a condizioni ottocentesche, con sfruttamento intensivo di forza lavoro a fronte di uno sviluppo tecnologico superiore. Questo aspetto della nuova economia consegnò a disoccupazione e fame fette intere di popolazione mondiale, stremata da quello che Marx chiamava “plusvalore relativo”.
L’Italia ed il mondo divennero polveriere, autentiche pentole ad ebollizione. Il conflitto sociale e la “delinquenza” raggiunsero livelli inauditi, gli anni ’70 italiani al confronto impallidivano. Si entrò così in una fase della storia da “tutto o niente”: si cambia adesso o si muore presto; il Capitalismo aveva rivelato orwellianamente il proprio volto reale e le alternative, ormai, non potevano essere che da “dentro o fuori”, dentro l’autodistruzione, con una piccola oligarchia ben scortata militarmente che spremeva fino alla morte le masse sterminate o finalmente, verso una società nuova ed illuminata dalla ragione.
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