Un programma basato sulla nazionalizzazione delle grandi imprese nel settore industriale e bancario, sulla riforma agraria per l’eliminazione dei latifondi, su misure di contrasto alla povertà e all’analfabetismo.
Un percorso interrotto qualche anno più tardi, quel 11 settembre 1973, dal golpe dell’esercito cileno, finanziato ed appoggiato dalla CIA e dall’amministrazione statunitense di Nixon, dopo aver condotto una campagna di boicottaggio e destabilizzazione del paese, per poi imporre e sostenere la dittatura militare di Augusto Pinochet.
L’attacco contro il Cile di Allende costituì un “laboratorio” politico ed economico che gli USA hanno poi rafforzato ed esteso all’intera America Latina con l’Operazione Condor.
Di seguito il testo elaborato dall’Associazione degli ex prigionieri politici cileni in Francia (Aexppch France) in occasione della commemorazione che ha avuto luogo ieri pomeriggio a Parigi, in Place Salvador Allende, di fronte all’ambasciata del Cile.
L’Aexppch agisce in stretto coordinamento con le organizzazioni per i diritti umani, le associazioni delle famiglie di prigionieri scomparsi e giustiziati politici, così come con gruppi di ex prigionieri politici in Cile.
Tra i suoi obiettivi ed impegni: la lotta contro l’impunità per tutti i responsabili di crimini, sparizioni, esecuzioni sommarie e varie altre violazioni dei diritti umani; il dovere della memoria, contribuendo alla ricostruzione dei fatti nascosti dalla dittatura e mai realmente ripristinati dai governi eletti per quasi due decenni; il sostegno alle lotte per i diritti umani, in particolare per la liberazione incondizionata di tutti i prigionieri politici, vittime fino ad oggi delle leggi ereditate dal regime militare; denuncia permanente dell’attuale quadro della Costituzione di Pinochet, che concede ampi poteri alle forze armate, ai tribunali militari e alle cosiddette leggi di emergenza “antiterrorismo”.
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Salvador Allende Gossens, “el compañero presidente”, ci richiama di nuovo qui oggi, mezzo secolo dopo esser entrato nella Storia, come primo candidato marxista eletto con suffragio universale.
Salvador Allende, colui che Richard Nixon, l’allora padrone della Casa Bianca, aveva definito “il figlio di puttana”, prima di cadere lui stesso nell’oblio, mentre “el Chicho” Allende è ancora oggi considerato uno dei grandi difensori della dignità umana nel XX° secolo.
“Vi chiedo di comprendere che io sono soltanto un uomo”, aveva affermato Salvador Allende dal balcone della Federazione degli Studenti nella notte del 4 settembre 1970, “(un uomo) con tutte le debolezze che un essere umano può avere. E se ho potuto sopportare la sconfitta di ieri per raggiungere l’obiettivo di oggi, senza superbia né spirito di vendetta, io accetto questo trionfo che non ha nulla di personale e che devo all’unità dei partiti popolari e alle forze sociali che sono state al nostro fianco. Lo devo all’uomo anonimo e lavoratore della nostra patria, lo devo all’umile donna della nostra terra. Devo questa vittoria al popolo cileno, il quale entrerà con me nel Palazzo de La Moneda il 4 novembre”.
Nessuno ci ricorda meglio dello stesso “compagno presidente” in questo discorso che il trionfo elettorale di allora fu il frutto di diversi decenni di lotte popolari, vittorioso alle volte, ma più spesso aventi degli esiti di dolore e di morte per i lavoratori. Ovunque ci sono le tracce di sangue, così generosamente versate da uomini e donne del popolo: alla scuola Santa Maria di Inquique, alla raffineria di salnitro de La Coruña, alla mina di El Salvador, come a Pampa Irigoin, a Puerto Montt, tra i tanti massacri commessi principalmente dall’esercito o dai carabineros, fino al 1969.
Queste lotte di minatori, di contadini, di operai e più tardi dei pobladores riuscirono a guadagnare il consenso di larghi settori della società cilena – impiegati, insegnati, studenti – per costruire un vasto movimento con solidi principi di solidarietà, di difesa della loro dignità e dei loro diritti. Le donne cilene, in particolar modo le casalinghe ma anche le lavoratrici, guadagnarono il riconoscimento della loro condizione sociale, dopo generazioni negate dall’oppressione, anche a casa.
Inoltre, alla fine della prima metà del secolo scorso, il popolo cileno si era dotato di potenti organizzazioni sindacali, di operai e lavoratori, così come di partiti politici di sinistra e di centro con decine di migliaia di militanti.
Questi potevano competere con i partiti della destra per la loro capacità di aggregazione. Ogni cileno e cilena della classe operaia poteva sentirsi rappresentato e rappresentata da un sindacato, un’associazione o un partito politico. Ma niente di tutto ciò fu un regalo di chicchessia; l’avarizia della borghesia, ereditiera del colonialismo e rappresentata dai partiti della destra, restava la stessa.
Una rivoluzione socialista nel nostro continente, alle porte del gigante imperialista statunitense, arrivò a donare un grande incoraggiamento alle lotte popolari di tutta l’America Latina. Cuba si liberava dalla sua dipendenza faccia a faccia con l’imperialismo degli Stati Uniti e cominciava a vincere e a sconfiggere i mali inerenti a quello stato di umiliazione storica: la miseria, l’analfabetismo, la mortalità infantile, ecc.
Sapendo che una tale situazione si sarebbe prodotta presto o tardi nel continente americano, i signori del potere statunitense improvvisarono allora una strategia menzognera nel loro “cortile di casa” che era l’America Latina. Così nacque la “Alleanza per il Progresso” destinata a ridurre ogni opzione rivoluzionaria.
In Cile, questa strategia ebbe la sua espressione massima nella “Revolución en libertad”, slogan ingannevole che tuttavia portò il Partido Demócrata Cristiano al potere, con la figura di Frei Montalva, dopo una vittoria elettorale che aveva rappresentato una sconfitta bruciante per il “compañero” Allende.
Non sarebbe possibile spiegare il successo, sei anni più tardi, di Salvador Allende senza constatare che i democristiani, tra il 1964 e il 1967, avevano posto le basi per una società partecipativa, tanto nelle città quanto nelle aree rurali. Ma tutto ciò era sempre nella prospettiva di amputare le rivendicazioni del “comunismo intrinsecamente perverso”, come lo definiva il papa Pio XI.
Comunque, all’interno del Partido Demócrata Cristiano al governo, uomini e donne dai solidi principi cristiani e umanisti applicarono una politica di emancipazione delle masse popolari. Si sarebbero subito dopo aggregati alla Unidad Popular.
Applicando più o meno la vecchia formula della carota e del bastone, gli Stati Uniti furono costretti presto a riconoscere la sconfitta della loro sibillina logica contro-rivoluzionaria e, facendo cadere la propria maschera, passarono alla fase superiore, ovvero quella della promozione di una repressione sanguinosa in diversi paesi tramite ingerenze o interventi diretti e indiretti.
Il Brasile, paese fratello, fu oggetto di un colpo di Stato che fece scattare una repressione contro i progressisti e i rivoluzionari, così come un peggioramento delle condizioni di vita delle masse popolari. In Cile, allo stesso modo, il Partido Demócrata Cristiano perse la sua facciata “progressista” e ancora una volta il sangue del popolo cileno fu versato.
Tuttavia, tanto nelle città quanto nelle campagne, le forze popolari contrastarono questa repressione crescente, guadagnandone in coscienza ed organizzazione. La sinistra vide la sua influenza accrescersi nella società con la nascita di nuovi partiti e movimenti che, insieme ai partiti esistenti, scalzarono i democristiani dai sindacati, dalle federazioni studentesche e dagli altri ambiti, finanche dallo Stato stesso. Il “Chicho Allende” conquistò la presidenza del Senato, dal 1966 al 1969.
Fu in questo contesto che le forze popolari cilene e il loro miglior alleato di tutti i tempi, Salvador Allende Gossens, “entrarono” insieme nel Palazzo de La Moneda, come disse lui stesso quella notte di 50 anni fa.
Mezzo secolo più tardi, dobbiamo constatare che solo la lotta risoluta degli sfruttati e degli oppressi è ciò che permette di abbattere le barriere, imposte dall’inganno o dal crimine. Riteniamo anche che le nostre lotte, passate e presenti, ci permettano di raggiungere gli obiettivi che portiamo avanti in tutti i campi della società. In altri termini, è solo se siamo in grado di guidare tutte le battaglie – legali o illegali, pacifiche o violente, rivoltose o elettorali – che potremmo aprire strade per maggior uguaglianza, per maggiore giustizia sociale, a cominciare dagli ultimi.
Questa è la lezione che si evidenzia dalla vittoria elettorale del 4 settembre 1970, così come quella del 5 ottobre 1988 per il plebiscito di cui il dittatore Augusto Pinochet non ha potuto né ignorare né rovesciare il risultato.
Noi sappiamo che le trattative che ne sono seguite hanno fatto fuori una grande parte di ciò che la resistenza anti-dittatoriale prevedeva dopo la fine del regime nel 1989. Tale negoziazione ha cancellato una parte del programma rivoluzionario che la coalizione popolare aveva elaborato per il periodo presidenziale 1970-1976.
Il popolo cileno ha attualmente la possibilità di imporre alle classi dominanti, per la prima volta nella storia del Cile, la necessità di redigere una nuova Costituzione, con la partecipazione dei cittadini. Non dimentichiamo che è il popolo stesso, che combatte e manifesta nelle strade di tutte le città del Paese, che è riuscito a far piegare la borghesia post-coloniale e i suoi valori e i suoi seguaci di ogni sorta.
La Costituzione di Pinochet, ancora oggi in vigore, è il principale ostacolo all’emancipazione definitiva dei cileni e delle cilene; questa è stata imposta con la “pace” dei cimiteri, delle fosse comuni e dei “vuelos de la muerte”, così come da numerosi altri crimini brutali e studiati.
La Costituzione del 1980 è il principale strumento che ha permesso la rifondazione del capitalismo in tutta la sua ferocia che noi conosciamo con il nome di “neoliberismo” e che fa oggi danni in tutto il pianeta.
Questa creatura di Pinochet, totem dei dirigenti attuali, deve essere seppellita definitivamente il prossimo 25 ottobre e noi ci stiamo già organizzando per farlo. Ma non siamo ancora di fronte ai grandi viali della vittoria perché il cammino è sempre stretto ed impervio e non ne vediamo ancora la fine.
Tuttavia, più saremo numerosi e determinati, meglio saremo in grado di condurre le battaglie future. Queste lotte, il popolo deve vincerle ed anche consolidarne la vittoria, non permettendo a nessuno, che abbia interessi cupi o rivendichi una rappresentanza che non ha, di “negoziare” come in passato le conquiste che “la piazza” ha ottenuto.
Viva la lotta del popolo cileno!
Eliminiamo per sempre la Costituzione di Pinochet il prossimo 25 ottobre!
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