L’operazione che sta dietro al vero o presunto avvelenamento
dell’oppositore del Cremlino, Alexei Navalny, sembra avere fatto nel
fine settimana un passo importante verso quello che potrebbe essere il
suo principale obiettivo. Questa sensazione si è avuta domenica, dopo
che il governo tedesco, nonostante i moltissimi aspetti oscuri, per non
dire assurdi, della vicenda, ha preso una posizione per certi versi
clamorosa collegando per la prima volta il caso del “dissidente” russo
alla costruzione del gasdotto Nord Stream 2.
Quest’opera dovrebbe com’è noto raddoppiare le forniture di gas
naturale russo alla Germania passando attraverso il Mar Baltico e, in
maniera cruciale, aggirare l’Ucraina, la quale perderebbe così
un’importante fonte di entrate dai diritti di transito. Il progetto è da
tempo osteggiato dagli Stati Uniti e dagli ambienti più
irriducibilmente filo-americani in Europa e nella stessa Germania.
Da Washington si sta cercando in tutti i modi di impedirne il
completamento ed esponenti dell’amministrazione Trump hanno più volte
affermato esplicitamente le loro intenzioni. Il Nord Stream 2, a cui
lavora un consorzio che include svariate compagnie europee, è completato
ormai per oltre il 90%, ma le sanzioni dello scorso anno decise dal
governo USA hanno provocato ritardi, così che i governi di Mosca e
Berlino sono stati costretti a cercare soluzioni alternative per
concludere un’infrastruttura da 11 miliardi di dollari.
Molti commentatori, al momento dell’avvelenamento di Navalny, avevano
subito ipotizzato un collegamento tra il suo caso e il Nord Stream 2,
soprattutto dopo che il politico-attivista russo era stato trasferito a
Berlino con il consenso del Cremlino. La cancelliera Merkel, da parte
sua, aveva escluso che i fatti relativi a Navalny fossero da collegare
alla costruzione del gasdotto, ritenuto ufficialmente dal suo governo
un’opera strategicamente indispensabile. Domenica, però, il ministro
degli Esteri socialdemocratico, Heiko Maas, l’ha in parte smentita.
In un’intervista al giornale filo-atlantista Bild, Maas ha invitato
“i russi a non costringerci a cambiare la nostra posizione sul Nord
Stream 2”. Berlino vuole “risposte” concrete sul caso Navalny e, se
Mosca “non contribuirà alle indagini [sull’avvelenamento] nei prossimi
giorni”, la Germania dovrà “consultarsi” con i propri partner europei e
della NATO, per poi valutare, come sempre, possibili sanzioni che
potrebbero riguardare anche il gasdotto.
Forse in conseguenza delle ben note divisioni all’interno della
classe politica tedesca sulla sorte del Nord Stream 2, Maas ha avvertito
che l’eventuale precipitare dei rapporti con la Russia comporterà
pesantissime conseguenze anche per le compagnie tedesche coinvolte nel
progetto. Ancora venerdì scorso, infatti, Bloomberg News aveva scritto
che né i cristiano-democratici né i socialdemocratici, partner di
governo a Berlino, sembrano essere intenzionati a muoversi per
boicottare il Nord Stream 2, vista la crucialità del gasdotto per
l’industria tedesca. Ciononostante, il fatto che importanti esponenti
del gabinetto Merkel siano alla fine venuti allo scoperto sulla
questione testimonia sia delle pressioni anti-russe all’opera in questo
frangente, sia dei possibili tentennamenti della coalizione di governo.
Anche il ministro della Difesa, Annegret Kramp-Karrenbauer, ex leader
della CDU scelta dalla Merkel, nella giornata di domenica ha fatto eco
alle dichiarazioni di Maas. Il malore e il ricovero di Navalny sono
stati sfruttati inoltre dall’opposizione nel parlamento di Berlino, dove
un gruppo sostanzioso di deputati, guidati da quelli dei Verdi, ha
chiesto lo stop alla costruzione del Nord Stream 2.
All’offensiva hanno partecipato anche elementi esterni alla Germania,
come il ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian. Più di
cento europarlamentari hanno invece indirizzato una lettera al
responsabile della politica estera UE, Josep Borrell, per chiedere
un’indagine sull’accaduto, “all’interno delle strutture delle Nazioni
Unite o del Consiglio d’Europa”. Ancora più apertamente, sabato un altro
gruppo di una qualche decina di europarlamentari ha fatto un appello
specifico all’interruzione dei lavori per il completamento del gasdotto
russo-tedesco.
Malgrado le incertezze del governo Merkel, era stata la stessa
cancelliera a dare il via libera all’assalto contro il Cremlino quando
mercoledì scorso, in una conferenza stampa, aveva affermato che per gli
esperti militari tedeschi non vi erano dubbi sul fatto che Navalny fosse
stato avvelenato con una sostanza appartenente alla famiglia del
Novichok.
Una
sostanza simile era stata ufficialmente identificata nel 2018 come
responsabile dell’avvelenamento dell’ex ufficiale dell’intelligence
russa, diventato spia britannica, Sergey Skripal. Anche in quel caso non
vi erano prove delle responsabilità di Mosca e la ricostruzione degli
eventi offerta da Londra sarebbe stata smontata da svariate analisi
indipendenti. Il Novichok, tuttavia, in Occidente è da allora diventato
sinonimo dei metodi gangsteristici del Cremlino per eliminare i propri
avversari, tanto che è stato goffamente riciclato per l’operazione
Navalny.
L’intera vicenda ha l’aspetto di un’operazione costruita a tavolino
appunto per ostacolare il progetto Nord Stream 2 e, più in generale, il
faticoso evolversi del rapporto tra Russia e Germania, anello
fondamentale del processo di integrazione euro-asiatica che, per
l’orrore degli ambienti “neo-con” americani, minaccia il formarsi di un
blocco strategico-commerciale-energetico tra queste due potenze e la
Cina.
Analizzata razionalmente e al di fuori dell’isteria dei media
“mainstream”, la versione ufficiale del caso Navalny fa acqua da ogni
parte. L’interrogativo più grande resta quello della condotta dei russi.
Non è esattamente chiaro, cioè, il motivo per cui, dopo avere tentato
di uccidere per avvelenamento Navalny, il Cremlino abbia dato il via
libera al suo trasferimento in Germania dove, evidentemente, la sostanza
tossica sarebbe stata subito individuata e messa a disposizione di una
nuova operazione di propaganda.
Se, poi, l’intenzione di Putin era quella di uccidere il suo presunto
rivale, molto difficilmente quest’ultimo avrebbe potuto sopravvivere.
L’utilizzo sul suolo russo del Novichok o di altre sostanze simili ha
allo stesso modo poco senso. Se il regime di Putin, come si sostiene in
Occidente, ricorre puntualmente all’eliminazione degli avversari
politici, avrebbe com’è ovvio utilizzato metodi ben più efficaci per
liquidare Navalny. Anche accettando la tesi dell’avvelenamento, non si
capisce la ragione per cui i servizi segreti russi o comunque gli
esecutori materiali dell’operazione abbiano optato per una sostanza che
non solo aveva già fallito nell’uccidere Sergey Skripal e sua figlia nel
2018, ma che, vista la campagna scatenata allora dai governi
occidentali, se scoperta avrebbe fornito automaticamente una nuova
occasione per puntare il dito contro Mosca.
A dir poco sospetta, oltre che ridicola, è inoltre la rapidità con
cui la Germania è arrivata a chiudere il caso. Tanto più che le analisi
sui campioni biologici di Navalny sono state effettuate da un organo non
esattamente indipendente, bensì da un laboratorio delle forze armate
tedesche che, con ogni probabilità, già al momento del suo trasferimento da
un ospedale siberiano a Berlino, aveva nelle proprie mani l’esito
desiderato per scatenare un nuovo polverone contro la Russia.
È interessante anche notare l’ipocrisia e la cattiva fede di quanti
gridano allo scandalo per i metodi brutali del Cremlino minacciando
sanzioni punitive pur in assenza di uno straccio di prova delle
responsabilità russe. Basti pensare a come non ci sia stata nessuna
iniziativa reale, al di là della retorica, dopo altri omicidi nel
recente passato pur in presenza di prove o forti indizi che rimandavano a
personalità e organi di governo. Gli esempi più famosi sono quelli dei
giornalisti Jamal Khashoggi (Arabia Saudita), Daphne Caruana Galizia
(Malta) e Jan Kuciak (Slovacchia).
Un altro aspetto da non trascurare nel caso Navalny è che
l’oppositore di Putin potrebbe effettivamente essere stato vittima di un
tentativo di avvelenamento, ma gli elementi esposti in precedenza e
altri ancora portano a pensare eventualmente a responsabilità diverse da
quelle del Cremlino. Ciò spiegherebbe anche la grossolanità e il
fallimento del piano per assassinarlo.
Navalny non rappresenta in realtà un problema significativo per il
governo di Mosca, perché il suo seguito in patria è minimo. Secondo un
recente sondaggio indipendente, il gradimento popolare di un politico
che, va ricordato, ha legami profondi con l’estrema destra e ha spesso
manifestato sentimenti razzisti, risulta attorno al 2%. La celebrità di
Navalny è piuttosto un fenomeno tutto occidentale ed è determinato, in
larga misura, dai suoi legami con alcuni potenti oligarchi russi.
Navalny potrebbe così essere finito in un gioco di potere che si
spiegherebbe in due modi: col tentativo di eliminarlo da parte di
ambienti da ricondurre a centri di potere regionale contro cui Navalny
ha condotto di recente alcune battaglie politiche o di una fazione
dell’apparato di potere ostile a Putin che cerca di alimentare lo
scontro tra Mosca e l’Occidente al fine di favorire un cambio di regime
in Russia e ribaltare le prospettive strategiche di questo paese.
L’ipotesi
più probabile, soprattutto se si valutano le conseguenze per il
Cremlino, resta comunque quella di un’operazione orchestrata
dall’Occidente, con o senza la collaborazione di elementi russi. Quel
che è certo è che la patetica propaganda di Berlino, Bruxelles, Londra e
Washington non farà nulla per fare chiarezza sui fatti, visto che punta
precisamente a confonderli.
Per il momento, il dato strategico e politico più rilevante che
potrebbe emergere dalla vicenda è la possibile definitiva rottura del
rapporto tra Russia e Germania, peraltro in bilico da tempo. Da valutare
attentamente sarà perciò l’atteggiamento del governo Merkel nel gestire
una crisi che tocca alcuni dei nodi fondamentali per la classe
dirigente tedesca, combattuta tra le pressioni degli alleati, la difesa
degli interessi nazionali e le ambiguità delle strategie con cui intende
imporsi nella nuova realtà globale che guarda sempre più verso oriente.
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