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08/09/2020

Crollano i consumi, ma che strano...

La schizofrenia sta diventando una malattia pericolosa. Perché ha colpito la classe dirigente di questo paese, la parte politica ma ancor più quella “imprenditoriale”. Dunque è pericolosa perché porta a prendere decisioni di politica economica che provocano disastri, invece che risolvere i problemi.

Prendiamo una notizia di stamattina: l’Istat ha comunicato che nel mese di luglio 2020 le vendite al dettaglio sono calate rispetto a giugno del 2,2% in valore e del 3,1% in volume.

Un disastro, specie se ci si ricorda che in luglio le misure del lockdown erano ormai un ricordo, con la gente che doveva sforzarsi di mettere la mascherina prima di entrare nei negozi. Mentre a giugno la “fase 3” era ancora agli inizi, densa di cautele più che giustificate.

Su “base tendenziale” (la tendenza annuale) la diminuzione delle vendite è naturalmente molto più grave: 7,2% in valore e 10,2% in volume.

Ma quali consumi crollano? I beni non alimentari, soprattutto (-11,6% in valore e -15,8% in volume). Ma sono in calo anche le vendite dei beni alimentari (-1,1% in valore e -2,4% in volume).

Tutto molto logico: se si gira meno e si sta più in casa, rinunciando a gran parte delle abitudini sociali precedenti la pandemia (teatro, cinema, cene al ristorante o con amici, ecc.), calano anche gli acquisti relativi (abbigliamento, articoli da regalo, ecc.).

Disaggregando i dati diventa tutto ancora più chiaro.

A luglio – commenta l’Istat – rispetto allo scorso anno, il calo delle vendite al dettaglio è determinato soprattutto dal comparto non alimentare, in notevole diminuzione sia nella grande distribuzione sia nelle imprese operanti su piccole superfici.

Nella grande distribuzione la dinamica tendenziale negativa riguarda in particolar modo gli esercizi specializzati, mentre gli esercizi non specializzati mostrano una diminuzione molto più modesta. Tra questi ultimi, solo nei discount si evidenzia un segno positivo.

In calo, rispetto a un anno prima, anche le vendite al di fuori dei negozi, mentre solamente il commercio elettronico registra un aumento, seppure in rallentamento rispetto ai mesi passati (con il lockdown è cresciuto il “bisogno” di computer, telefoni, accessori, apparati di rete, ecc.).

Eppure c’è stata un certa “ripresa”, ma a partire dalla situazione tremenda dei mesi in cui eravamo chiusi in casa (tranne qualche milione di lavoratori costretti ad andare in fabbrica o altrove, anche per produzioni non “essenziali”).

Nel trimestre maggio-luglio 2020, infatti, le vendite al dettaglio registrano un aumento del 12,1% in valore e dell’11,5% in volume rispetto al trimestre precedente. Dove però le perdite erano state abissali.

Bene. Dov’è la schizofrenia? Nel fatto che Confindustria e persino le associazioni del commercio chiedono di cancellare i contratti di lavoro (“il nesso orario-salario”, dice espressamente il neopresidente Carlo Bonomi), licenziare senza alcun limite e – di fatto – abbassare i salari, spesso già al di sotto del livello di sopravvivenza.

Evidentemente questi geni dell’economia pensano che i consumi li faccia qualcun altro, al posto dei loro dipendenti che – con questi salari e le minacce di licenziamento a breve – sono obbligati a tagliare le spese. Tutte. Persino, in qualche misura, quelle alimentari.

Data una popolazione impoverita, insomma, le aziende certamente possono risparmiare assumendo meno persone pagandole un niente. Poi, però, quando cercano di vendere il prodotto sul mercato, “scoprono” che sono spariti un bel po’ di “consumatori”.

Ma che strano... ci dev’essere un “pregiudizio anti-industriale”, oppure un complotto...

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