Dopo il fallimento del bolognese F.I.CO, Farinetti ci riprova a Torino con Green Pea, un progetto da 15 mila metri quadri che mira a diventare il centro commerciale in salsa green per eccellenza, un luogo in cui secondo il proprietario di Eataly “i prodotti sostenibili non sono un dovere ma un piacere” e, quando ci sarà stancati di svuotarsi le tasche con lo “shopping sostenibile” di prodotti biologici di Eataly, ci si potrà trastullare in nell’apposito spazio “dedicato al benessere e all’ozio”.
Funzionerà questa volta?
È di meno di un mese fa la notizia che F.I.CO, il parco giochi del cibo Made in Italy aperto in uno dei quartieri periferici di Bologna, non più di 3 anni fa, ha chiuso i battenti “per pandemia”. Se la scusa è stata quella della completa assenza di visitatori e di turisti in arrivo nella città del mattone rosso, la verità è che F.I.CO è una “storia nata e già finita”, un progetto speculativo e fallimentare di “10 ettari di solitudine”, che già l’anno scorso aveva registrato una perdita di 3,1 milioni di euro. Con un 2020 così funesto non avrebbe avuto speranze di riprendersi.
Ma nonostante la realtà abbia evidenziato, al di là della crisi pandemica, che l’idea della Bologna turistificata e resa vetrina sia inconsistente (oltre che dannosa per chi ci vive ed estremamente classista), Farinetti non demorde e torna all’attacco, questa volta nell’elegante Torino, dove l’8 dicembre aprirà Green Pea, il parco giochi dello shopping “sostenibile”. Solo per benestanti sia chiaro.
Se in Emilia Romagna il progetto legato all’agroalimentare ha fallito, in Piemonte si prova quindi con l’agroambientale, pensando forse che basti lanciare le parole d’ordine della sostenibilità perché il progetto funzioni e porti profitti.
La propaganda che accompagna l’inaugurazione del terzo progetto speculativo di Farinetti parla dell’edificio “più bello del mondo, punto di riferimento della sostenibilità, a bassissimo impatto ambientale” dove 200 persone potranno trovare lavoro, molto probabilmente con contratti precari e intermittenti come a F.I.CO, e dove la borghesia piemontese potrà giocarsi le proprie carte per provare a non soccombere.
In Emilia Romagna i maggiori azionisti e compartecipanti di F.I.CO erano colossi legati per lo più al sistema PD, come Naturovo, Antica Ardenga, Camst, Parmigiano Reggiano, e l’immancabile Coop Alleanza (rimasta sola, oggi, con Eataly, a lavorare al piano di ristrutturazione del parco giochi, con la bellezza di altri 4 milioni di euro investiti). Green Pea ospiterà i soliti big tra cui FCA, Whirlpool, Unicredit, Samsung, TIM e – immancabile per il fashion sostenibile – Borbonese.
A Torino il centro commerciale di lusso aprirà al Lingotto, quartiere che storicamente ospitava gli uffici della Fiat in grandi edifici che ora, con la crisi e la svendita dell’azienda Marchionne style, sono stati riconvertiti per fiere, congressi e grandi eventi – come il Salone internazionale del libro – oltre a numerose altre attività commerciali.
L’imprenditore del food si inserisce così in questa città replicando lo schema emiliano, alimentando la dinamica di trasformazione di una città tutta volta alla sua mercificazione, a partire soprattutto dall’opera di gentrificazione delle periferie.
Nella città della Mole, questo significherà abbandonare definitivamente la sua vocazione industriale per appendersi al filo del business del turismo (dal futuro oltretutto incertissimo), e dare spazio all’attività di speculatori e palazzinari, con tutti gli effetti sociali che ne conseguono: precarietà del lavoro, disoccupazione e aumento localizzato dei canoni d’affitto.
Al di là della narrazione che Farinetti fa di sé – e che vorrebbe convincerci delle “promettenti ricadute” occupazionali di Green Pea – in realtà rappresenta bene quel prototipo di borghesia predatrice senza nessuna idea di sviluppo a lungo termine, abituata a speculare sul territorio con l’obiettivo di trarre il massimo profitto nel più breve tempo possibile.
Appena si sgonfierà la bolla di Green Pea, esattamente come per F.I.CO., resterà solo disoccupazione e un’altra cattedrale nel deserto ereditato dagli Agnelli. Magari stavolta votata alla dea Demetra, con tanto di statue in marmo nell’attico.
Forse l’unica cosa “notevole” di questo progetto è l’”ottimismo” di Oscar Farinetti, che magari pensa di giocare di concerto con la rischiosa riapertura natalizia per favorire i consumi, e per la caparbietà nel progetto di spremitura del profitto dai territori che va ad occupare.
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