Se la salute pubblica – addirittura a livello mondiale – dipende dal business, il “conflitto di interessi” è assicurato.
Il mondo intero, in questo momento, sta attendendo il vaccino per il Covid-19 come la manna dal cielo. Tra le aziende di big pharma che ci stanno lavorando si è aperta ovviamente una guerra a chi arriva primo, assicurandosi così la fetta più grossa dei relativi profitti.
Velocità ed efficacia, però, in questo campo difficilmente vanno d’accordo. I vaccini scoperti in passato hanno richiesto anni o decenni per ottenere risultati utili (efficacia nel contrastare il virus, pochi o nulli effetti collaterali pericolosi).
È anche vero che, con l’esperienza accumulata, si può andare più speditamente; così come sono certamente di incentivo i grandi finanziamenti pubblici garantiti a questa specifica ricerca (persino negli Usa, dove Trump ha versato 2,4 miliardi a Moderna). Si può fare prima, insomma, ma non possono essere saltate certe fasi “col pensiero” o il bisogno.
Ma se c’è una gara a chi fa più soldi è sicuro che ci saranno trucchi, problemi, falsi annunci, manovre azionarie, spionaggio industriale, sgambetti, ecc. À la guerre comme à la guerre...
E infatti il caos è stato piuttosto serio. La prima azienda ad annunciare vittoria è stata l’americana Pfizer, il cui Ceo (chief of executive officer, o amministratore delegato) ha garantito un’efficacia al 92%, già enorme per le statistiche vaccinali.
Qualche sospetto è stato avanzato da quel cazzaro di Trump, stizzito per il fatto che l’annuncio fosse arrivato proprio il giorno della prima ufficializzazione della vittoria elettorale di Biden. I suoi sostenitori hanno immediatamente fatto notare che la stessa Pfizer era tra i donatori per la campagna elettorale dei democrats. Primo conflitto di interessi: tra ricerca scientifica e politica.
Il gioco è stato complicato proprio dal Ceo di Pfizer, Albert Bourla, che ha venduto 132.508 azioni del colosso farmaceutico, per un valore di 5,56 milioni di dollari, sfruttando speculativamente la grande crescita delle quotazioni azionarie della sua azienda proprio in virtù del suo stesso annuncio (un caso da manuale di insider trading).
Ma la corsa competitiva non si è per questo fermata. Anzi. Pochi giorni dopo, Moderna (la “prescelta” da Trump) ha annunciato il suo vaccino, garantito “efficace al 94%”, e non bisognoso di essere tenuto alla proibitiva temperatura di -80 gradi (il primo limite di quello Pfizer).
Passano due giorni e il Ceo di Pfizer comunica alla stampa che l’efficacia del suo prodotto è magicamente salita al 95%. Mezzo punto in più di Moderna. In virtù di quale novità? Non è stato spiegato...
Passa ancora qualche giorno e arriva anche l’annuncio per il vaccino prodotto da Astrazeneca e Università di Oxford, con la partecipazione dell’italiana Irbm di Pomezia. Qui l’efficacia garantita è al 90% con la prima iniezione, che sale al 95 con la seconda.
A differenza – sostanziale – dei primi due, il prodotto di Oxford-Astrazeneca è stato esaminato dalla rivista Lancet, considerata la bibbia in campo medico (anche se qualche sfrondone ne ha caratterizzato l’ultimo periodo). In più, viene promesso al prezzo di costo (2,8 euro a dose), e con temperature di conservazione compatibili con la logistica esistente (aerei, treni e camion refrigerati).
Fin qui, possiamo dire (tranne nell’ultimo caso), che siamo alla classica rassicurazione dell’oste sulla bontà del proprio vino. Manca qualsiasi verifica da parte della comunità scientifica (non vi stiamo qui a raccontare la complessità delle procedure che permettono di riconoscere una teoria o un prodotto come scientificamente accettato), nonché una validazione da parte delle agenzie del farmaco più “attendibili”: quella europea e la Fda statunitense (che pure hanno una storia niente affatto immacolata, in materia di farmaci).
A questo “stadio dell’arte”, decisamente vago, il buon Andrea Crisanti, scienziato di fama internazionale e diventato star televisiva dopo aver salvato il Veneto con la sua azione ai tempi del focolaio di Vò Euganeo (uno dei primi, insieme a Codogno), risponde sbrigativamente a una domanda durante il Festival della rivista Focus: “Non farei il primo vaccino anti-Covid che dovesse arrivare a gennaio”.
Apriti cielo... i servi dei media mainstream – e i consulenti scientifici del governo, corresponsabili della disastrosa gestione dell’epidemia fin qui – lo trattano immediatamente come un appestato. Uno che mette in discussione “la scienza” (che non coincide con gli annunci degli amministratori delegati, ci sembra di ricordare), che “semina diffidenza verso i vaccini”. Manco fossero stipendiati direttamente da Pfizer o Moderna…
Sappiamo che il mondo dell’informazione mainstream è gravemente ammalato di disturbo bipolare – ogni notizia o parola deve essere incasellata negli unici due campi, bianco o nero, che conoscono (e conoscono ben poco...) – però ce ne vuole per inquadrare un microbiologo che ha lavorato con l’Imperial College, dirige il centro di genomica funzionale di Perugia, insegna all’università di Padova, dirige il programma Marie Curie dell’Unione Europea, un’infinità di pubblicazioni scientifiche all’attivo... per un “no vax”.
Ma questa è l’italietta dell’informazione drogata e servile.
Qui di seguito l’intervista concessa da Crisanti, ieri, a Tpi. Che ci sembra chiarisca bene come dovrebbe funzionare la testa degli scienziati, senza restare succubi dei soldi o della – orrore vero! – classe politica locale.
Il mondo intero, in questo momento, sta attendendo il vaccino per il Covid-19 come la manna dal cielo. Tra le aziende di big pharma che ci stanno lavorando si è aperta ovviamente una guerra a chi arriva primo, assicurandosi così la fetta più grossa dei relativi profitti.
Velocità ed efficacia, però, in questo campo difficilmente vanno d’accordo. I vaccini scoperti in passato hanno richiesto anni o decenni per ottenere risultati utili (efficacia nel contrastare il virus, pochi o nulli effetti collaterali pericolosi).
È anche vero che, con l’esperienza accumulata, si può andare più speditamente; così come sono certamente di incentivo i grandi finanziamenti pubblici garantiti a questa specifica ricerca (persino negli Usa, dove Trump ha versato 2,4 miliardi a Moderna). Si può fare prima, insomma, ma non possono essere saltate certe fasi “col pensiero” o il bisogno.
Ma se c’è una gara a chi fa più soldi è sicuro che ci saranno trucchi, problemi, falsi annunci, manovre azionarie, spionaggio industriale, sgambetti, ecc. À la guerre comme à la guerre...
E infatti il caos è stato piuttosto serio. La prima azienda ad annunciare vittoria è stata l’americana Pfizer, il cui Ceo (chief of executive officer, o amministratore delegato) ha garantito un’efficacia al 92%, già enorme per le statistiche vaccinali.
Qualche sospetto è stato avanzato da quel cazzaro di Trump, stizzito per il fatto che l’annuncio fosse arrivato proprio il giorno della prima ufficializzazione della vittoria elettorale di Biden. I suoi sostenitori hanno immediatamente fatto notare che la stessa Pfizer era tra i donatori per la campagna elettorale dei democrats. Primo conflitto di interessi: tra ricerca scientifica e politica.
Il gioco è stato complicato proprio dal Ceo di Pfizer, Albert Bourla, che ha venduto 132.508 azioni del colosso farmaceutico, per un valore di 5,56 milioni di dollari, sfruttando speculativamente la grande crescita delle quotazioni azionarie della sua azienda proprio in virtù del suo stesso annuncio (un caso da manuale di insider trading).
Ma la corsa competitiva non si è per questo fermata. Anzi. Pochi giorni dopo, Moderna (la “prescelta” da Trump) ha annunciato il suo vaccino, garantito “efficace al 94%”, e non bisognoso di essere tenuto alla proibitiva temperatura di -80 gradi (il primo limite di quello Pfizer).
Passano due giorni e il Ceo di Pfizer comunica alla stampa che l’efficacia del suo prodotto è magicamente salita al 95%. Mezzo punto in più di Moderna. In virtù di quale novità? Non è stato spiegato...
Passa ancora qualche giorno e arriva anche l’annuncio per il vaccino prodotto da Astrazeneca e Università di Oxford, con la partecipazione dell’italiana Irbm di Pomezia. Qui l’efficacia garantita è al 90% con la prima iniezione, che sale al 95 con la seconda.
A differenza – sostanziale – dei primi due, il prodotto di Oxford-Astrazeneca è stato esaminato dalla rivista Lancet, considerata la bibbia in campo medico (anche se qualche sfrondone ne ha caratterizzato l’ultimo periodo). In più, viene promesso al prezzo di costo (2,8 euro a dose), e con temperature di conservazione compatibili con la logistica esistente (aerei, treni e camion refrigerati).
Fin qui, possiamo dire (tranne nell’ultimo caso), che siamo alla classica rassicurazione dell’oste sulla bontà del proprio vino. Manca qualsiasi verifica da parte della comunità scientifica (non vi stiamo qui a raccontare la complessità delle procedure che permettono di riconoscere una teoria o un prodotto come scientificamente accettato), nonché una validazione da parte delle agenzie del farmaco più “attendibili”: quella europea e la Fda statunitense (che pure hanno una storia niente affatto immacolata, in materia di farmaci).
A questo “stadio dell’arte”, decisamente vago, il buon Andrea Crisanti, scienziato di fama internazionale e diventato star televisiva dopo aver salvato il Veneto con la sua azione ai tempi del focolaio di Vò Euganeo (uno dei primi, insieme a Codogno), risponde sbrigativamente a una domanda durante il Festival della rivista Focus: “Non farei il primo vaccino anti-Covid che dovesse arrivare a gennaio”.
Apriti cielo... i servi dei media mainstream – e i consulenti scientifici del governo, corresponsabili della disastrosa gestione dell’epidemia fin qui – lo trattano immediatamente come un appestato. Uno che mette in discussione “la scienza” (che non coincide con gli annunci degli amministratori delegati, ci sembra di ricordare), che “semina diffidenza verso i vaccini”. Manco fossero stipendiati direttamente da Pfizer o Moderna…
Sappiamo che il mondo dell’informazione mainstream è gravemente ammalato di disturbo bipolare – ogni notizia o parola deve essere incasellata negli unici due campi, bianco o nero, che conoscono (e conoscono ben poco...) – però ce ne vuole per inquadrare un microbiologo che ha lavorato con l’Imperial College, dirige il centro di genomica funzionale di Perugia, insegna all’università di Padova, dirige il programma Marie Curie dell’Unione Europea, un’infinità di pubblicazioni scientifiche all’attivo... per un “no vax”.
Ma questa è l’italietta dell’informazione drogata e servile.
Qui di seguito l’intervista concessa da Crisanti, ieri, a Tpi. Che ci sembra chiarisca bene come dovrebbe funzionare la testa degli scienziati, senza restare succubi dei soldi o della – orrore vero! – classe politica locale.
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(Enrico Mingori – tpi.it) – Andrea Crisanti, di microbiologia dell’Università di Padova, ha scatenato un putiferio per alcune dichiarazioni sul vaccino contro il Covid-19. Intervistato durante il Festival di Focus, ieri, giovedì 19 novembre, il celebre virologo ha dichiarato: “Non farei il primo vaccino anti-Covid che dovesse arrivare a gennaio”.
Professore, davvero a gennaio non farebbe il vaccino?
“Guardi, ho detto una cosa molto semplice, e cioè: ‘Nel momento in cui ci saranno dati che dimostreranno l’efficacia e la sicurezza del vaccino, mi vaccinerò’. Questo ho detto. Mi è stata fatta una domanda a bruciapelo, mi è stato chiesto: ‘Lei, oggi, si vaccinerebbe?’. E io ho risposto: ‘No, oggi no perché ancora non sono usciti i dati’. Niente di più”.
Le è stato chiesto che farebbe a gennaio, quando sembra che in Italia arriveranno le prime dosi.
“Ma stiamo parlando di un vaccino che ancora non è stato approvato! Abbiate pazienza: possibile che una cosa così lineare debba essere strumentalizzata?”.
Ritiene di essere stato strumentalizzato?
“Ho avuto il coraggio di dire quello che penso. Finora noi possiamo fare valutazioni solo su dichiarazioni fatte dalle aziende. E, sulla base di solo queste dichiarazioni, io il vaccino non lo farei. Bisogna aspettare che la comunità scientifica lo approvi. Non mi sembra così insensato”.
Perché, secondo lei, queste sue parole hanno fatto così clamore?
“Non lo so, guardi. Nessuno però si è scandalizzato per il fatto che il Ceo di Pfizer ha venduto le sue azioni dell’azienda il giorno dopo quell’annuncio (quello secondo cui il vaccino prodotto dalla multinazionale insieme a Biontech ha un’efficacia del 90%, ndr). Eppure lui è la persona più informata: perché si è venduto le azioni se pensa che il vaccino sia efficace?”
Lei cosa pensa?
“Che sono queste azioni che minano la fiducia nel vaccino. Non persone equilibrate che fanno un discorso di sicurezza, come ho fatto io”.
Però in effetti lei sembra quantomeno diffidente rispetto a questi vaccini...
“No, non sono diffidente. È che c’è una mancanza di trasparenza. Ritengo che il comportamento del Ceo di Pfizer sia stato censurabile dal punto di vista etico. È lui che ha generato dubbi sul vaccino, non io”.
Le dà fastidio che alcuni l’abbiano accusata di essere diventato un No Vax?
“La mia posizione non potrebbe essere più distante da quella dei No Vax”.
Cosa risponde a chi accusa lei e altri suoi colleghi, quando mettete in guardia su certe situazioni di rischio, di essere dei menagrami o, addirittura, di trarre vantaggio da un clima di paura?
“Io penso che le persone debbano essere giudicate sui fatti”.
La sento molto amareggiato...
“Sono amareggiato, sì. Soprattutto per le reazioni di certi colleghi, che ritengono che quella mia dichiarazione possa avvantaggiare i No Vax. Quando invece proprio quella mia dichiarazione può indurre le persone a vaccinarsi, molto più di certe loro posizioni manichee. Mi hanno trattato come se non fossi uno di loro. Questo mi ha amareggiato molto”.
Alcuni suoi colleghi hanno detto e scritto che i vaccini contro il Covid sono efficaci.
“Beati loro. Si vede che hanno accesso a informazioni privilegiate che io non ho... Io penso solo di aver intercettato in modo corretto alcune delle perplessità della gente comune. Se il 70% degli italiani è scettico rispetto al vaccino, ci sarà una ragione: o sono tutti idioti?”.
I vaccini in produzione sono stati testati in tempi molto brevi, Questo può essere un elemento di rischio?
“Tempi brevi o lunghi, a me non interessa. A me interessa solo che i dati siano solidi”.
Il fatto che le tre fasi siano state svolte in parallelo mina la credibilità di questi vaccini?
“No. In genere queste fasi vengono svolte una dopo l’altra e senza sovrapposizioni, in modo da diminuire i rischi economici. In questo caso hanno pagato i contribuenti e quindi è stata possibile un’accelerazione, che – per carità – è positiva. Però è chiaro che la valutazione di un vaccino su fasi parzialmente sovrapposte è più complessa”.
Ma è vero che per testare un vaccino serve non meno di 5/8 anni?
“No. In genere per sviluppare un vaccino ci volevano dai 5 agli 8 anni, perché le diverse fasi venivano effettuate una dopo l’altra. In questo caso chiaramente hanno fatto prima perché, appunto, le fasi di sperimentazione sono state parzialmente sovrapposte e perché questo è un vaccino genetico, quindi molto più facile da sviluppare”.
Vede profili di rischio particolari?
“Non lo possiamo sapere. Stiamo discutendo di una cosa di cui nessuno sa nulla. Questo è quello che io ho voluto mettere in luce”.
I vaccini che sembrano più vicini all’approvazione sono quelli di Astrazeneca, di Pfizer e di Moderna. Ritiene uno di questi più o meno affidabile degli altri?
“È ancora troppo presto per dirlo”.
E del vaccino russo che ne pensa?
“Su quello, se non altro, stanno iniziando a far vedere qualche dato. E sembra promettente”.
Professore, dopo essere stato accusato di essere No Vax, se ora mi dice che il vaccino di Putin è più affidabile scatena un altro putiferio...
(Ride) “Non ho detto affidabile. Però promettente sì, sulla base di quello che hanno fatto vedere. Se questi dati li avesse fatti vedere una istituzione che ha una reputazione migliore, sarebbe stato meglio”.
Dietro questi annunci sull’efficacia dei vaccini, c’è la spinta delle grandi multinazionali?
“Guardi, non voglio fare questa dietrologia. Mi interessa solo che il vaccino funzioni.”
L’approvazione di un vaccino da parte delle Autorità sanitarie sarà sufficiente per ritenere quel vaccino affidabile?
“Mi fido del giudizio delle Autorità sanitarie e di quello della comunità scientifica. Non ho ragione per dubitarne”.
Quindi, se le autorità scientifiche e regolatorie dei vari paesi approveranno un vaccino e lo riterranno efficace e senza effetti collaterali, lei si vaccinerà?
“Sì”.
C’è troppo entusiasmo attorno a questi vaccini?
“Questo non lo so, non lo posso sapere”.
Il vaccino non è ancora approvato, ma il Governo e Arcuri parlano già apertamente della campagna di vaccinazione. Se lei fosse al governo, si manterrebbe più prudente?
“Se fossi al governo e avessi informazioni privilegiate, le condividerei”.
Non le stanno condividendo...
“Forse allora non le hanno”.
Allora significa che sono troppo avventati?
“Guardi, se non le hanno, non hanno motivo per parlare. Ma mi faccia aggiungere una cosa...”.
Prego...
“Non è che queste grandi industrie si siano inventate questi dati di efficacia sui vaccini. Se li hanno annunciati così, significa che ne sono certi. Tuttavia va detto, per loro stessa ammissione, che sono parziali. Io ho espresso solo una manifestazione di prudenza”.
Fonte
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