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23/11/2020

Rispettiamo la scienza, non le imprese private e questi governi

Andrea Crisanti è uno scienziato autorevole, riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale. Non ha insomma bisogno della nostra difesa. Anzi, conoscendo il mondo drogato dei media mainstream attuale, la nostra difesa potrebbe nuocergli, invece di aiutarlo.

Per fortuna non facciamo parte del mainstream, quindi le nostre parole qui non avranno eco in quel mondo infetto.

Uno scienziato autorevole, dopo la canea reazionaria e imprenditoriale che gli è arrivata addosso, è stato costretto a prendere carta e penna per chiarire ancora una volta che uno scienziato non può essere “contro i vaccini”, specie se il suo campo di ricerca – la microbiologia – è strettamente connesso alla virologia e dunque allo studio di quel che occorre per creare dei vaccini.

Lo fa benissimo, e potete leggere qui sotto la sua lettera inviata al Corriere della Sera.

Quelli che a noi sembrano centrali sono due concetti abbastanza semplici, comprensibili, e che proprio per questo hanno fatto saltare i nervi ai “fedeli di big pharma” e ai membri del Comitato Tecnico Scientifico.

Obbediamo alla scienza o all’industria privata?

Il primo è di carattere epistemologico, e investe il nodo molto contraddittorio tra scienza e industria, tra scienza e profitto.

Nessuno, e tantomeno Crisanti o la comunità scientifica intera, mette in discussione che la ricerca (sui vaccini, in questo caso) debba poi approdare alla produzione fisica vera e propria. E dunque alla fase industriale per mettere a disposizione della popolazione questo indispensabile prodotto.

Si può discutere – e si deve farlo – se quell’industria debba essere pubblica o possa essere anche privata; se il brevetto debba garantire ai ricercatori (o alla società da cui dipendono) royalties pluridecennali oppure se debba essere regalato all’umanità (seguendo l’esempio di Albert Sabin, per quello contro la poliomielite); se il vaccino debba essere messo a disposizione gratuitamente oppure a pagamento (in uno Stato serio, certamente NO), ecc.

Ma la logica della scoperta scientifica e quella dell’industria privata sono completamente diverse. E qui si crea quell’intreccio infame tra interessi privati e bisogno pubblico che genera spesso “diffidenza” verso la scienza e gli scienziati, invece che verso l’industria privata. La quale ha come unico scopo “la creazione di valore per gli azionisti”. Il profitto, insomma. E lo ammette anche!

Qual’è la differenza?

La spiega molto indirettamente lo stesso Crisanti: “ho affermato che non lo avrei fatto [il vaccino annunciato da Pfizer, ndr] fino a che i dati di efficacia e sicurezza non fossero stati messi a disposizione, sia della comunità scientifica, sia delle autorità che ne regolano la distribuzione”.

La scienza procede in effetti in questo modo, molto schematicamente.

1) Uno scienziato o un gruppo organizzato di scienziati “scopre” qualcosa (una nuova teoria, una soluzione a un problema secolare, ecc.) e pubblica i dati salienti del proprio lavoro, indica le metodologie usate, gli esperimenti, le procedure, i problemi e i risultati ottenuti;

2) la comunità scientifica – la parte che ha le competenze specifiche – legge, riproduce gli esperimenti, verifica i risultati e infine approva o respinge quella “scoperta”. Che può anche essere parzialmente vera, ma ancora incompleta.

Nel caso di un vaccino, ovviamente, questa verifica riguarda sia l’efficacia nei confronti del virus specifico, sia l’assenza di “effetti collaterali gravi”.

È evidente che si tratta di conoscenza messa in pubblico, senza “segreti industriali”, senz’altra “competizione” che non sia quella per arrivare alla “verità scientifica”. Che, certo, garantisce fama, onori e anche soldi. Ma come risultato di un lavoro ben fatto, non come scopo unico.

Al contrario, l’impresa privata pretende un profitto ampio e certo, possibilmente in tempi rapidi, necessita di mantenere alcuni “segreti” per tenere lontana la concorrenza, e di registrare i brevetti per garantirsi percentuali di guadagno anche nel caso quella “scoperta” venga utilizzata industrialmente anche da altri.

Nel caso dei vaccini per il Covid-19 fin qui annunciati – pubblicamente – non c’è altro che le dichiarazioni fatte alla stampa da parte degli amministratori delegati delle aziende interessate. Gli stessi, insomma, che sono poi passati subito all’incasso rivendendo parte delle proprie azioni sfruttando il rialzo-monstre provocato dalle proprie stesse dichiarazioni.

È insomma possibile che quei vaccini siano tutti buoni (e c’è davvero da sperarlo, visto come tutto l’Occidente capitalistico ha gestito la pandemia), ma la comunità scientifica ancora non li ha esaminati. Di conseguenza, le varie agenzie del farmaco nazionali e internazionali (non sempre al di sopra di ogni sospetto, bisogna ricordare) non hanno ancora rilasciato il “si produce e distribuisce”.

Dunque un briciolo di cautela, pur sotto la spinta forte della speranza, sarebbe opportuna. Neanche noi, vaccinisti convinti, ci faremmo insomma iniettare qualcosa di ancora non validato seriamente.

La folle gestione della pandemia

Ma il secondo punto toccato da Crisanti è quello politicamente più rilevante. E quello che ha sollevato il “fronte del pensiero unico confindustriale”.

“Altri sono autorevoli membri del comitato tecnico scientifico (Cts) a cui l’Italia si è affidata fiduciosa per prevenire una possibile seconda ondata, tutelare le attività commerciali, favorire la ripresa produttiva e garantire le attività didattiche.

Lascio agli italiani e agli storici il giudizio sul loro operato. Sono ormai settimane che si registrano più di 35mila casi di infezione e circa 700 morti al giorno.”


Qui la critica è alla gestione della pandemia da parte del governo e delle Regioni italiane (cui spetta la competenza per la sanità), ma anche di tutti i governi dell’Occidente neoliberista. Una gestione che, come ci capita di scrivere quasi tutti i giorni, è stata fin dal primo momento orientata a “convivere con il virus” per garantire che le attività economiche – a partire dalle grandi imprese rappresentate da Confindustria – fossero limitate il meno possibile. Con tutto il corollario di milioni di persone in giro per andare al lavoro, su mezzi pubblici o privati, spesso “assembramenti obbligati”.

La pletora di divieti incomprensibili affiancati a “via libera” illogici, oltre a non contrastare più di tanto la diffusione del Covid, ha seminato quella “scarsa credibilità” delle misure del governo che è esplosa poi con la “seconda ondata” (mentre già si discute dell’entità della “terza” a seconda di come verranno regolate le vacanze di Natale). E infine ha distrutto davvero diversi comparti delle stesse attività economiche “imprenditoriali” che si volevano proteggere.

La risposta di Crisanti chiama in causa insomma i vari Cts, ossia gli scienziati che operano da consulenti del governo e che sono stati evidentemente presi dalla necessità di “trovare compromessi” tra quel che sarebbe stato giusto fare dal punto di vista sanitario e quel che chiedevano invece i vari “gruppi di pressione” (Confindustria, Concommercio, Confesercenti, ecc).

Un pasticcio di interessi in conflitto aperto con la scienza, che ha prodotto – finora – 50.000 morti. Una strage da tempi di guerra.

E dunque: “Senza strumenti per controllare l’epidemia a meno di affidarsi a severe misure restrittive e senza una linea di difesa contro una seconda e possibile terza ondata, le opzioni a disposizione sono drammaticamente ridotte. A questo punto tutte le speranze sono riposte nel vaccino come la pioggia per un popolo assetato nel deserto.”

Qui usciamo dalla polemica spicciola ed entriamo in quel che si deve fare davanti ad una pandemia. O si procede con il “metodo Wuhan” (lockdown totale, test su tutta la popolazione entra una determinata area-focolaio), o almeno con il “metodo Corea del Sud” (simile, ma un po’ più lasco). Oppure si assume come unico limite quello del numero dei posti in terapia intensiva e in generale negli ospedali.

Ovvero: si accetta di far contagiare milioni di persone e farne morire decine di migliaia (finora), dichiarando qualche mezzo lockdown “finto” (parzialissimo e spesso ridicolo) soltanto quando le strutture sanitarie si avvicinano al punto di collasso.

I governi neoliberisti occidentali – TUTTI – hanno seguito questa linea, qualcuno con più accortezza, altri con più cinismo (Trump, Johnson, Bolsonaro, ecc). E quindi ora DEVONO garantire che quei vaccini – qualunque di essi o anche tutti insieme – saranno risolutivi (“A questo punto tutte le speranze sono riposte nel vaccino come la pioggia per un popolo assetato nel deserto”). Non hanno più carte da giocare.

Questo spiega ad abundantiam l’alzata di scudi contro lo “scienziato che rompe il velo dell’ipocrisia”.

A noi, sul piano sociale e politico, resta comunque il dilemma. Anche posto che qualcuno di quei vaccini sia efficace, quando sarà possibile usufruirne effettivamente? Le cifre sulle dosi disponibili, fin qui, dicono chiaramente che la vaccinazione di massa sarà possibile solo a primavera inoltrata (minimo a maggio, insomma).

Fin lì che si fa? Si va alla sperindio?

*****

«Le mie parole, le aziende e il dovere della trasparenza»

Andrea Crisanti

Caro Direttore,

in una recente intervista a Focus life, in risposta alla domanda se mi sarei vaccinato a gennaio, ho affermato che non lo avrei fatto fino a che i dati di efficacia e sicurezza non fossero stati messi a disposizione sia della comunità scientifica sia delle autorità che ne regolano la distribuzione.

Ho formulato un concetto di buon senso che non esprimeva alcun giudizio negativo sulla bontà del vaccino né tantomeno metteva in discussione la validità della vaccinazione come il mezzo più efficace per prevenire la diffusione delle malattie trasmissibili.

La mia storia personale e scientifica ne è la testimonianza. La mia dichiarazione, che credo abbia interpretato il sentimento di tanti, è stata ispirata dalla modalità con cui le aziende produttrici hanno comunicato i risultati raggiunti senza accompagnarli ad una adeguata informazione almeno per quanto riguarda la Fase 3.

La trasparenza è la misura del rispetto che si nutre nei confronti degli altri e genera un bene prezioso, la fiducia. In questi giorni le aziende produttrici, invece di condividere i dati con la comunità scientifica, hanno fatto proclami non sostanziati da evidenze.

Noi tutti riponiamo in questi vaccini delle grandi aspettative; se le aziende in questione sono in possesso di informazioni che giustificano annunci che possono apparire rivolti in particolare ai mercati finanziari, queste devono essere rese pubbliche anche in considerazione del fatto che la ricerca è stata largamente finanziata con quattrini dei contribuenti.

La notizia che dirigenti delle due aziende produttrici abbiano esercitato il loro diritto, ne sono certo legittimo, a vendere le azioni per sfruttare i vantaggi legati al rialzo di prezzo non ha contribuito a generare fiducia.

A poche ore dalla mia intervista si è scatenato un inferno senza precedenti: illustri colleghi in coro hanno fatto a gara per censurare le mie parole definite irresponsabili. Secondo alcuni avrei addirittura messo in pericolo la sicurezza nazionale!

I custodi della ortodossia scientifica non ammettono esitazioni o tentennamenti, reclamano un atto di fede a coloro che non hanno accesso a informazioni privilegiate.

«Il vaccino funzionerà», tuonano indignati. Io sono il primo ad augurarmelo, mi permetto tuttavia di obiettare che il vaccino non è un oggetto sacro. Lasciamo la fede alla religione e il dubbio ed il confronto alla scienza che ne sono lo stimolo e la garanzia.

Tra gli indignati si annoverano alcuni che durante l’estate ci hanno raccontato che le evidenze cliniche portavano a pensare che la crisi sanitaria fosse superata e che il virus fosse meno contagioso, e purtroppo possono avere inconsapevolmente incoraggiato comportamenti che hanno dato un contributo importante alla trasmissione del virus in quei mesi.

Altri sono autorevoli membri del comitato tecnico scientifico a cui l’Italia si è affidata fiduciosa per prevenire una possibile seconda ondata, tutelare le attività commerciali, favorire la ripresa produttiva e garantire le attività didattiche.

Lascio agli italiani e agli storici il giudizio sul loro operato. Sono ormai settimane che si registrano più di 35mila casi di infezione e circa 700 morti al giorno.

A partire dal mese di luglio il virus ha ucciso circa 15 mila persone e ne ha infettate 1.140.000: vorrei scriverlo ad alta voce perché per questa strage silenziosa non si indigna nessuno.

Chi racconterà la storia di questa epidemia in futuro non troverà eco delle mie parole di qualche giorno fa, ma rimarranno impietose le statistiche a denunciare questi numeri e a mettere a nudo gli errori commessi.

La mia dichiarazione ha toccato un nervo scoperto. Senza strumenti per controllare l’epidemia a meno di affidarsi a severe misure restrittive e senza una linea di difesa contro una seconda e possibile terza ondata, le opzioni a disposizione sono drammaticamente ridotte.

A questo punto tutte le speranze sono riposte nel vaccino come la pioggia per un popolo assetato nel deserto.

Questo non giustifica la demonizzazione di chi possa avere dubbi, di chi chiede spiegazioni e di chi chiede trasparenza. Continuare su questa strada è il modo migliore per alimentari sospetti e fornire argomenti a chi si oppone all’uso dei vaccini.

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