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25/11/2020

I fustigatori dei poveri cristi, sempre agli ordini

Nel gioco sporco per trovare sempre capri espiatori al crescente disagio e alla rabbia che salgono dalla società, dentro la crisi pandemica e sociale che scandisce il nostro tempo, non potevano non essere infilati a forza anche i dipendenti pubblici.

Una parte di essi, quelli in trincea nonostante la pandemia, sono stati acclamati “eroi” per un brevissimo periodo e poi lasciati esattamente nel disastro in cui erano anche prima dell’arrivo del Covid-19. Valga per tutti il caso della sanità pubblica. Negli altri comparti va anche peggio...

Un’altra parte di lavoratori pubblici, quella che è stata comandata a lavorare da remoto (decliniamo in italiano questo piffero di smart working) in seguito alla regolamentazione degli accessi agli uffici pubblici (da mesi si entra solo su appuntamento), ha sfornato, non paradossalmente, livelli di produttività più elevati che in condizioni “normali”.

Su quest’ultima parte di lavoratori e lavoratrici pubblici è cominciata da qualche tempo la solita campagna strumentale e diffamatoria, per indicare un nuovo capro espiatorio su cui la classe dominante intende deviare la rabbia sociale e dietro cui nascondere le proprie immense responsabilità.

Hanno cominciato i soliti vecchi tromboni – come Cacciari e Ichino – poi è arrivata la Deutsche Bank, quindi la palla è passata a conduttori e ospiti dei talk show con allusioni sempre più esplicite. Una procedura rodata, ed è facile previsione che presto arrivi nei luoghi decisionali, cioè al governo.

La tesi in sostanza è (sarebbe) questa. “Ci sono settori del mondo del lavoro in seria sofferenza economica e settori che non ne hanno risentito o risentito meno. Ergo, togliamo una parte delle retribuzioni a chi non ha subito danni dalle misure anticovid e destiniamole a chi sta sopravvivendo solo grazie ai ristori”.

Non solo. Costruiamo intorno a questa tesi una “narrazione” che faccia coincidere senso della solidarietà, “denuncia dei privilegi” e necessità di reperire risorse per sostenere chi è in difficoltà.

Questa narrazione potrebbe e dovrebbe essere decostruita facilmente sulla base di dati. Ma contro il senso comune, soprattutto se riprodotto ossessivamente dalla macchina mediatica, ragione e verità patiscono pene indicibili.

In tale contesto, lo sciopero convocato da Cgil Cisl Uil per dicembre (a decisioni prese, insomma), da un lato appare incomprensibile, dall’altro sembra quasi una “marchetta” da offrire ai registi della campagna contro i dipendenti pubblici.

I sindacati più indecenti dell’emisfero occidentale chiamano allo sciopero per maggiori risorse sul contratto del pubblico impiego che attende da tempo di essere rinnovato. Pochi sanno però che gli alti dirigenti pubblici, intanto, il loro contratto separato lo hanno invece già rinnovato in questi mesi di emergenza Covid. E con gli aumenti previsti.

La Corte dei Conti non ha trovato nulla da eccepire e i “castigatori mediatici” dei dipendenti pubblici “di basso rango” non hanno neanche fiatato. Forse perché insieme a questi dirigenti vanno spesso a cena, sui campi di sci, su quelli di golf oppure in barca.

Siamo convinti che lavoratori e lavoratrici pubblici, se chiamati a dare una mano per sostenere altri lavoratori, non si tirerebbero indietro. Non l’hanno mai fatto, in tutti i casi di calamità che hanno colpito il paese.

Ma una volta aperta una breccia, i volenterosi carnefici ci si infilano di brutto ed agiscono per allargarla a dismisura.

Non sorprende che tra questi ci sia anche Milena Gabbanelli, da mesi ormai trasformatasi in fustigatrice dei poveri cristi all’interno del confortevole habitat del Corriere della Sera (quello che era di Rizzo e Stella ai tempi de “La casta”).

L’ex signora Report propone infatti, quando mai dovessero arrivare i fondi del Recovery Fund, di non buttare più soldi sul Meridione ma di concentrarli nelle “aree competitive” del paese.

“Non è pensabile che l’economia italiana decolli tirandosi dietro un pezzo di Paese che vive di sussidi e reddito di cittadinanza” dice. Poi, magari, qualche briciola potrebbe “sgocciolare” anche al Sud, ma solo alle nicchie di eccellenza (che magari coincidono con le filiere delle aziende del Nord). Insomma: un sunto della dottrina leghista, del cinismo del “modello lombardo” e della “inevitabile” asimmetria del paese in un solo colpo.

Si potrebbe far notare, a lei e tutti i colleghi del coro, che la “teoria dello sgocciolamento” (o approccio trickle down, per i palati econometrici) è una bufala da almeno 30 anni. In tutto questo periodo, infatti, i redditi sono evaporati dal basso verso l’alto, fino a consolidare la più grande disuguaglianza sociale che la Storia ricordi.

Dunque, è un po’ tardi per ripetere la stessa favoletta pro-Bonomi e Confindustria. Ha fatto il suo tempo, inventatevene un’altra.

Infine, non certo per importanza o per scantonare dalla domanda su dove reperire le risorse e dove collocarle in questi tempi di crisi, abbiamo provato a fare due conti e qualche ipotesi.

Da un eventuale “contributo di solidarietà” del 2% sulle retribuzioni dei dipendenti pubblici (quel “un euro al giorno” proposto da un oscuro consigliere comunale Pd delle Marche), in un anno si potrebbero ricavare 3,4 miliardi di euro.

Se lo stesso contributo del 2% venisse chiesto – invece, o anche – sui patrimoni finanziari mediamente elevati, in un anno si ricaverebbero più di 23 miliardi di euro.

Ma Don Milani diceva giustamente nella “Lettera ad una professoressa”, che dividere in parti uguali tra disuguali è ingiusto, e in effetti un contributo di solidarietà uguale per tutti sarebbe nella logica perversa della Flat Tax, che non è affatto progressiva né ugualitaria.

Diciamo allora che il contributo di solidarietà per i ricchi con patrimoni finanziari mediamente elevati debba essere del 3%: i miliardi ricavati salirebbero a 34,5, insomma una bella cifra da poter utilizzare per sostenere più di venti milioni di persone che sono in seria sofferenza economica. E che permetterebbe senza sforzo di rinunciare a quelle briciole tolte ai dipendenti pubblici e alle loro famiglie.

Ne vogliamo parlare?

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