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30/11/2020

MES - A volte ritornano...

A volte ritornano...

Il tema della riforma del trattato del Mes, che aveva animato il dibattito politico nei mesi immediatamente precedenti la pandemia e che era stato congelato a seguito dell’esplosione della stessa, torna ad essere di attualità.

Mentre sono palpabili le tensioni all’interno della maggioranza sull’utilizzo del Mes per la sanità e su possibili rimescolamenti della compagine governativa, è previsto per oggi il vertice dei Ministri dell’Economia dell’UE (Ecofin) che dovrebbe dare il via libera alla firma definitiva del trattato in programma per il 27 gennaio. E il Ministro Gualtieri si appresta a dare l’assenso al progetto di riforma avendo ottenuto il via libera anche da parte del Movimento cinque stelle.

Nei mesi precedenti, dalle pagine di questo giornale abbiamo dettagliatamente evidenziato il vero disegno politico che sottende il progetto di riforma del Mes definendolo, non a caso, un fondo che ammazza i paesi del Sud Europa e, al contempo, salva le banche tedesche.

Giusto per rinfrescare la memoria: quali sono le principali direttrici lungo le quali si muove la riforma del trattato del Mes?

Senza addentrarci troppo in tecnicismi, diciamo subito che tale progetto riproduce in pieno quella contrapposizione di interessi, oltre che di struttura economica, che caratterizza il progetto europeista sin dalla sua nascita e del quale abbiamo avuto chiara dimostrazione in occasione del negoziato che ha condotto all’intesa sul Recovery fund.

Di qui la previsione, contenuta nel “nuovo” Mes, di un meccanismo che seleziona accuratamente i paesi a cui corrispondere il prestito. Una linea di credito precauzionale per i paesi “affidabili” in quanto in linea con i vincoli previsti dai trattati europei (di fatto Germania e Olanda) che, quindi, otterrebbero agevolmente e praticamente senza condizionalità la linea di credito magari per giungere in soccorso alle loro banche attraverso le risorse versate al fondo dai singoli Stati; diversamente, una linea di credito rafforzata per quei paesi (in primis quelli del Sud Europa) che, non avendo i fondamentali economici in linea con gli assurdi vincoli europei, dovrebbero, per accedere agli aiuti, preventivamente subire una ristrutturazione del debito resa più agevole e praticabile dall’introduzione delle c.d. Cac single-limb.

Di cosa si tratta in sostanza? Oggi per cambiare le condizioni contrattuali in modo che la ristrutturazione del debito comprenda tutti i titoli occorrono delle maggioranze qualificate, per cui potrebbero formarsi delle minoranze di blocco che ne impediscano l’entrata in vigore. Con la riforma e l’introduzione delle Cac single-limb viene superato il quorum richiesto per ogni singolo titolo, semplificando la procedura di contrattazione finalizzata alla ristrutturazione del debito e coinvolgendo nel processo tutti i possessori di titoli pubblici italiani.

Naturalmente dopo la ristrutturazione del debito il calvario proseguirebbe con la sottoscrizione di un Memorandum, ovvero un piano di riforme sotto la stretta osservazione delle istituzioni europee.

Ma non finisce qui.

La riforma del MES contempla l’allargamento della sua mission attraverso la previsione di un dispositivo di sostegno diretto alle banche, detto back stop, che dovrebbe essere anticipato al 2012-2022.

In sostanza, qualora terminassero i soldi del Fondo di risoluzione delle crisi bancarie, entrerebbe in campo il MES (con un prestito paracadute di circa 70 miliardi) nella qualità di prestatore di ultima istanza nei confronti delle banche.

E le banche tedesche non costituiscono certo il fiore all’occhiello della finanza Ue, con la Deutsche Bank ritenuta da più parti il maggior fattore di instabilità sistemica, avendo in pancia titoli illiquidi ovvero prodotti finanziari derivati in quantità mostruose.

Insomma, i paesi del blocco tedesco si apprestano a portare a casa una riforma del MES che consentirà di gestire le critiche condizioni in cui versano le proprie banche e sul quale potranno esercitare un controllo diretto (non a caso alla guida del Fondo Salva Stati è collocato il tedesco Klaus Regling) sfruttando regole costruite a loro misura.

Non desta particolare meraviglia che il perfezionamento di un meccanismo che, da un lato irrigidisce la sorveglianza economica nei confronti dei paesi del Sud Europa e, dall’altro, punti a condividere le perdite delle banche (quelle tedesche), avvenga nel bel mezzo di una tempesta sanitaria, economica e sociale senza precedenti e della quale non si intravede la fine.

Chi, nonostante l’evidenza dei fatti, ha voluto scorgere nel Recovery fund (se mai vedrà la luce) l’avvio di “un nuovo corso europeo” dovrà tornare sulla terra.

Un progetto politico che sin dalla sua nascita ha fatto della diseguaglianza e della asimmetria il suo tratto distintivo, non può cambiare direzione. Pena il suo disfacimento.

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