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21/11/2020

USA - Follie e strategie di Donald Trump

If you are the dealer
I’m out of the game
If you are the healer
Means I’m broken and lame
If thine is the glory
Then mine must be the shame
You want it darker
We kill the flame

(You Want It Darker, Leornard Cohen)

State of The Union

Ad elezioni concluse, il presidente uscente continua a dichiarare la sua vittoria sullo sfidante Joe Biden. Donald Trump non si arrende, continua sulla strada dei ricorsi legali, pur avendone persi diversi, e spera sempre nel giudizio a lui favorevole se dovesse intervenire la Corte Suprema. La quale, per sua volontà, è totalmente sbilanciata verso l’asse conservatore, grazie alla nomina della giudice cattolica ed ultra conservatrice Amy Coney Barrett.

Nel frattempo The Donald continua con i suoi tweets a rinfocolare gli animi del suo elettorato di riferimento, che proprio lo scorso weekend ha organizzato una manifestazione per solidarizzare con il proprio uomo.

La partecipazione è stata forte, anche se non oceanica come nelle promesse degli organizzatori; non sono mancati momenti di tensione, soprattutto alla sera, mentre la manifestazione stava per sciogliersi; aggressioni più o meno armate ai gruppi antifascisti ed antirazzisti di Antifa e Black Lives Matter da parte dei suprematisti, hanno prodotto una serie di arresti e di denunce ed un uomo accoltellato in modo lieve.

I nazionalisti hanno raggiunto la capitale Washington con ogni mezzo a loro disposizione e si sono mossi anche dagli angoli più remoti del paese.

Questi due modi di muoversi da parte di Orange, apparentemente schizofrenici, rendono questo momento di transizione politica profondamente confuso e caotico; caos che potrebbe continuare ad aumentare il seguito del presidente uscente o che potrebbe rivolgerglisi contro.

Richiamando un vecchio adagio: il gioco può valere la candela? Purtroppo sembra di sì.

Il tycoon sembra persuaso che il fatto di non demordere, anche se non gli permetterà di invalidare le elezioni, lo porterà ad una prossima ricandidatura nel 2024. Nel frattempo, avendo spostato le sue pedine in posti chiave prima dell’insediamento ufficiale dell’avversario, previsto per il 20 gennaio, può continuare a boicottare l’operato di Biden, mettendogli i bastoni fra le ruote per tutti i quattro anni del suo mandato, ad ogni riforma o proposta di legge che potrebbe presentare, con l’aiuto appunto della Supreme Court.

C’è però anche una seconda possibilità: entro l’8 dicembre, gli Stati dovranno aver risolto tutte le controversie per certificare il verdetto dell’urna e stilare la lista dei Grandi Elettori. A quel punto, e solo a quel punto, si avrà la certezza che Biden ha vinto con il numero di Grandi Elettori richiesto dalla Costituzione.

Su tutto aleggia però l’incognita dei possibili infedeli, ovvero di quei Grandi Elettori che potrebbero decidere di ignorare il voto popolare nello Stato di appartenenza, schierandosi con l’avversario politico. Nel 2016 ben 5 di loro tradirono Hillary Clinton.

Quindi soltanto il 14 del mese prossimo (“il primo lunedì dopo il secondo mercoledì di dicembre”), quando il Collegio elettorale voterà si avrà l’ufficialità della vittoria elettorale di Joe Biden.

Pur proseguendo in questa strategia apparentemente innocua, legittima, perché conforme al piano legale, The Orange non disdegna di continuare a strizzare più di un occhio ai movimenti nazionalisti/suprematisti, che sembrano purtroppo destinati a crescere nel paese.

Radiografia di un elettore

Qualche dubbio sull’attendibilità di una possibile ricandidatura di Trump alle elezioni del 2024 è comunque lecita, vista l’età del candidato. Prima perciò di azzardare qualche ipotesi su quale direzione può prendere l’eredità che lascerebbe The Orange ed a chi, sembra utile fare il punto su coloro che hanno appoggiato e finanziato con donazioni le campagne elettorali di The Donald e del suo rivale Biden.

Il saggio diceva che per capire gli eventi è fondamentale seguire l’odore del denaro. Forse il metodo potrebbe tornare utile anche a prevederli.

Per dovere di cronaca si ricorda che, negli Stati Uniti, compagnie ed aziende in genere non possono finanziare direttamente i candidati; i finanziamenti vengono esclusivamente dai “lavoratori” che dipendono da quelle società.

Da una ricerca di Bloomberg apprendiamo che l’establishment ha premiato quasi esclusivamente il candidato neoliberista Biden, uno che – dall’epoca di Bill Clinton fino a quella di Barack Obama – ha appoggiato tutti i trattati di libero scambio che, per la classe operaia americana, sono stati abbastanza disastrosi, perché hanno accelerato la delocalizzazione di fabbriche in paesi a più basso salario.

La lista pone al primo posto le tech companies: Google innanzitutto che, con il 97% dei suoi lavoratori, ha scelto di sostenere Biden e con il solo 3% Trump.

Anche la maggior parte dei dipendenti di Amazon (80%) ha scelto di finanziare Biden. Poi c’è Facebook, di nuovo con il 97%, Microsoft con il 90%, Apple con il 92%. Tutti uniti per Joe Biden.

Al netto dei complottismi, un aspetto comunque da non sottovalutare è che le aziende appena citate influiscono in modo particolare nella vita di tutti noi, proprio perché gestiscono il mercato dei Big Data, dati più o meno sensibili che possono essere utilizzati anche per influenzare eventi importanti della nostra vita, dagli acquisti più innocui a una tornata elettorale.

Ma questa è un’altra storia.

Biden è riuscito a convincere dalle grandi università statunitensi fino ad aziende come Nike, Disney, Uber, McDonald’s e tante altre.

Dulcis in fundo: anche la Pfizer, l’azienda che ha annunciato di aver sviluppato un vaccino anti Covid-19, compare in questa lista.

Tutti acerrimi antagonisti di Orange.

Ma veniamo a Donald Trump. È stato premiato da Walmart (la più grande catena di distribuzione, nelle campagne e nei piccoli centri), in parte dalle compagnie di distribuzione postale (ironia della sorte uno dei “nemici” indicati dal presidente uscente) e dal settore militare.

Nel grafico spiccano infatti la U.S. Marines con il 66% e il NYPD (New York Police Department) con il 69%.

Disaggregando i dati, si scopre che le professioni dei lavoratori che hanno sostenuto il tycoon sono perlopiù legate a lavori manuali: l’84% dei finanziamenti sono pervenuti dal settore legato all’allevamento e dai proprietari di fattorie, il 76% da quello dei camionisti e degli autisti in genere, ed il 75% dai lavoratori edili.

Seguono quelli classificati come “artigiani”: falegnami, elettricisti, idraulici, e così via.

Una voce a parte per la sua peculiarità: il 93% dei disabili, ed il 96% delle casalinghe hanno finanziato la campagna elettorale di uno fra i più potenti imprenditori del paese.

Comparando i dati di questo studio con quelli di un’altra ricerca effettuata nel 2016, subito dopo la vittoria alle elezioni di quattro anni fa, ne vien fuori uno scenario fotocopia, quasi un copia e incolla. Quest’anno c’è stata una flessione verso il basso, ma di poco; Biden ha comunque vinto di misura.

L’identikit dell’elettore “Trumpiano doc“, però, in questi quattro anni non è cambiato. Il tycoon ha riscosso il suo successo e continua a riscuoterlo – in completa contraddizione con la sua persona, non con il suo personaggio – fra le masse più umili, nell’ex “ceto medio” impoverito, fra gli operai ed i sottoccupati, i precari e, cosa ancora più in contraddizione con le infami politiche sull’immigrazione perseguite dalla sua amministrazione, anche fra le minoranze etniche; fra i partecipanti alla “million M.A.G.A. March” di sabato le comunità nere e latinos erano ben rappresentate. Sarà un paradosso, ma tant’è.

Il “Trumpiano” non è più solo un Wasp.

Il “Trumpiano” è un’evoluzione del Wasp, anzi lo sta mano a mano fagocitando.

Il Wasp è un modello poco esportabile, in Europa o altrove; il “Trumpiano” no.

E questo potrebbe essere un pericolo per chiunque.

È un fatto che Trump ha diviso l’America, la propria nazione, questo è pacifico. Ma non tutti si sono resi conto che sostanzialmente ha diviso l’Americano, ha diviso gli individui, gli uomini, a prescindere da quale sia il loro Stato di appartenenza sul territorio a stelle-e-strisce. Se vivono sopra o sotto il 42° parallelo Nord, o sull’Oceano Pacifico anziché sull’Atlantico.

Le masse dei “Trumpiani” nel mondo sono fatte di individui isolati, ostili e con una forma di individualismo estremo. Sono contrari ad ogni forma di appartenenza etichettabile. Monadi indifferenziate e tra loro indifferenti, mosse dalla propria inquietudine (l’aver perso il proprio status e con questo il senso della propria esistenza), facilmente suggestionabili.

Pronti purtroppo però, a seguire un “condottiero” o un bravo “affabulatore” che rifletta il loro “pensiero”.

Donald Trump e la sua eredità portano in una direzione distruttiva, è vero, ma pur sempre “affascinante” per il suo popolo. Invita alla lotta ed il motto è semplice: con me o contro di me.

Ma verso cosa? Il riscatto, è la risposta menzognera.

Questo il ritratto di chi fra quattro anni, sopravvissuto alla pandemia da Covid-19 potrebbe tornare a votare per la stessa idea, nel frattempo seminata come Vangelo. Forse non per lo stesso uomo.

2024: una “terza via” a stelle e strisce?

Rituffiamoci nel quotidiano. È oramai appurato che le battaglie, anche quelle politiche, nel nostro secolo si svolgono sul piano della comunicazione, che si fonda però su un “sottostante” particolarmente solido. Non basta insomma, un bello slogan, bisogna avere una base sociale chiaramente identificata e risorse.

Il presidente uscente, giocando su più fronti, sta perseguendo la via legale ben consapevole che non lo riporterà alla Casa Bianca.

Il suo team diretto da Giuliani sta facendo carte false per favorirlo, ma il terreno è veramente scivoloso ed il margine di successo si va via via restringendo.

Ma il leader repubblicano sta comunque cercando un’alternativa per restare in lizza, malgrado la sua età anagrafica, nella prossima tornata elettorale, fra quattro anni.

Nonostante la sua potenza di fuoco, lo stanno però abbandonando anche i “suoi” media, Fox News in testa, oltre che i social network e la Rete in genere.

The Donald allora corre ai ripari e, in questo periodo di interregno, cerca di dare fondo alla sua riserva di cartucce, sparando alcuni colpi che potenzialmente potrebbero raggiungere il bersaglio. È storicamente accertato che gli ultimi colpi di coda di un nemico sono quelli più pericolosi.

Nei giorni scorsi era stata diffusa la notizia che stava lavorando all’apertura di una rete televisiva personale, ma presto il progetto viene accantonato.

Ad inizio settimana infatti The Orange chiede ai suoi fedeli adepti di emigrare verso altre reti tv. Anziché costruire da zero una sua alternativa alla Fox – la rete di Rupert Murdoch e della destra americana che è stata per anni il megafono di Trump e della sua campagna elettorale, il veicolo che gli ha consentito di cambiare il modo di pensare e di percepire la realtà di una parte importante dell’America profonda, conservatrice – l’ex presidente ha cominciato a spingere i suoi fan verso altre reti tv (soprattutto Newsmax e One America News Network) che ripetono in modo ancor più acritico i suoi messaggi spesso basati su «fatti alternativi»: falsità o realtà del tutto inventate che però fanno breccia in chi mette la fedeltà al proprio leader davanti alla razionalità o si lascia suggestionare dalle teorie cospirative.

Nel medio/lungo periodo l’ex presidente potrebbe anche mettere in agenda di acquistarne una. Secondo il Wall Street Journal, Hicks Equity Partners – un fondo di investimento i cui proprietari sono molto vicini al GOP e anche allo stesso Trump – starebbe raccogliendo almeno 200 milioni di dollari coi quali cercare di prendere il controllo proprio di Newsmax. Per ora comunque consiglia di migrare su quella rete.

In tempi di esodi quasi biblici, assistiamo anche alla dipartita dalle reti social.

Twitter, Facebook ed anche YouTube, da circa due settimane, hanno iniziato a segnalare come non rispondenti ai canoni regolamentari del servizio alcuni post problematici, fino a cancellare del tutto alcuni post politici di Trump dal contenuto palesemente falso, riferiti alla presunta frode elettorale.

Molti sostenitori di The Donald (tra i quali anche gruppi ultraconservatori e milizie paramilitari, come i Proud Boys), hanno cominciato a trasferirsi verso nuovi siti di estrema destra: Gab, MeWe ma, soprattutto, Parler.

Rimaniamo su quest’ultimo. Parler, per chi non lo conoscesse, è una piattaforma della destra “libertaria” lanciata nel 2018 proprio per creare un luogo di free speech estremo.

Nel sito si può sostenere qualunque tesi, anche se aberrante. Deus ex-machina ed amministratrice unica di Parler è Rebekah Mercer, miliardaria già finanziatrice in passato di iniziative editoriali ultra-conservatrici, comprese quelle della alt-right e di Steve Bannon, lo stratega della vittoria elettorale di Trump nel 2016, poi tristemente caduto in disgrazia, dopo essere stato espulso dalla squadra di Orange dallo stesso ex-presidente.

La Mercer sembra essere un’investitrice oculata, ma forse un po’ tirchia: Parler ha appena 30 dipendenti, e fatica moltissimo ad adeguarsi all’enorme aumento dei volumi di traffico. Nell’ultima settimana gli utenti sono addirittura raddoppiati, da 5 a 10 milioni. Ergo, un aiuto economico non verrebbe rifiutato.

Parler sembra dunque essersi affermata come la nuova casa dei conduttori pasdaran di Trump, personaggi del “calibro” di Maria Bartiromo o Dan Bongino, ma anche come il rifugio di estremisti nazionalisti messi al bando dalle altre reti: dal teorico delle cospirazioni, Alex Jones fondatore del giornale online Infowars, agli stessi Proud Boys.

È la chiusura del cerchio: attraverso internet, la radicalizzazione dello scontro politico si è trasferita dalla sede del Congresso alle divaricazioni sempre più profonde nella e della società americana. I social network funzionano da turbocompressore, quindi il proselitismo dell’idea dietro il personaggio, potrebbe attecchire anche in Europa.

Questo graduale spostamento di Donald Trump verso un’area ancora più a destra del GOP può voler dire diverse cose. Ma una sembra essere predominante.

Noi siamo stati abituati a percepire le elezioni americane come un duello all’OK Corral, una sfida all’ultimo sangue fra due soli partiti: conservatori da una parte, progressisti dall’altra.

Repubblicani e Democratici mantengono una sorta di dominio; sono i due partiti “maggiori” e questa sfida, che dura da più di un secolo, ha generato un forte bipolarismo. Quest'ultimo fattore è dovuto anche (ma non solo) a ragioni storiche, che hanno determinato una serie di norme, sia federali che statali, che limitano fortemente lo spazio politico per i cosiddetti “third parties“, i quali oltretutto subiscono anche delle fortissime limitazioni informali per quanto riguarda la loro presenza sui media.

Fra quei “third parties”, il più degno di nota è il Libertarian Party o Partito Libertario. Ma attenzione: il termine può portare fuori strada. Anche se la sua posizione politica viene definita “di centro” o trasversale (economicamente di destra, ma “di sinistra” su alcuni temi etici), a sostegno di una piattaforma politica che fa riferimento al liberalismo classico e al libertarismo di destra, in Usa vuol dire un partito sostanzialmente di destra radicale.

Il Libertarian Party comunque, alle presidenziali del 2016 ottenne 4.489.223 voti (3,3%) e nel 2017 aveva più di 600.000 elettori registrati

In questa tornata elettorale candidata del Libertarian Party era Jo Jorgensen, e i voti da lei guadagnati sono stati più numerosi del margine di vantaggio di Biden su Trump.

Non è affatto detto che, senza la presenza del Libertarian Party, questi voti dispersi sarebbero andati necessariamente a The Donald, ma l’ipotesi non è peregrina.

Trump sa di avere carisma. Lo ha dimostrato. Ha continuato a costruirsi un personaggio in tutti questi quattro anni e, anche se il suo è stato un comportamento schizoide molto sopra le righe, non è detto che dal 21 gennaio 2021, dopo il fatidico concede, se mai riconoscerà l’avversario Biden, non possa provare a costruirsi un suo partito di riferimento, spaccando il GOP e portandosi dalla sua parte quella fazione di Partito Repubblicano che si sente tradita dai moderati, che accarezzano Biden.

Nelle parole di Orange non è difficile trovare John Rawls o altri teorici del libertarismo, o dell’anarco capitalismo.

Vigilare sul “ventre della bestia” dovrà essere la parola d’ordine.

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